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Energia: ambizioni e limiti della Turchia

Creato il 09 dicembre 2013 da Conflittiestrategie

[Traduzione di Redazione da: Turkey's Energy Ambitions and Limitations | Stratfor]

Riassunto

La Turchia spera di approfittare della sua posizione tra Europa e Asia e diventare un corridoio energetico regionale per il petrolio e il gas naturale che da Russia, bacino del Mar Caspio, Asia centrale e Medio Oriente sono destinati al mercato di largo consumo in Europa. Queste ambizioni in gran parte rispecchiano il progetto della politica estera turca di ristabilire il ruolo dominante della Turchia nella sua storica area di influenza. E’ probabile che l’energia sia uno dei punti all’ordine del giorno nell’incontro in programma in Russia il 20 novembre, dove il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan guida una delegazione di funzionari turchi – tra cui il ministro turco dell’Energia e delle Risorse Naturali Taner Yildiz.

Nonostante le sue ambizioni, la geografia della Turchia, insieme alla crescente domanda interna di energia, mette in luce i suoi limiti nel essere un corridoio energetico. La Turchia deve fare affidamento sui suoi concorrenti geopolitici per uno stabile approvvigionamento energetico, soprattutto mentre cerca di evitare turbolenze lungo i suoi confini islamici. Pertanto, Ankara è stretta tra la necessità di diversificare il suo approvvigionamento energetico e le conseguenze derivanti dal soddisfare un tale bisogno. La Turchia rimarrà fortemente dipendente dall’energia russa per il prossimo futuro dal momento che i tentativi di Ankara di perseguire forniture alternative si troveranno ad affrontare vincoli e rischi crescenti di attrito nelle sue relazioni estere.

Analisi

La produzione di petrolio e gas naturale in Turchia è rimasta trascurabile, mentre la domanda interna di idrocarburi è aumentata rapidamente. La popolazione del paese, attualmente sopra i 73 milioni di abitanti, sta crescendo a un tasso annuo di quasi il 2 per cento. Così, mentre la Turchia sta rivedendo le sue aspettative di crescita economica a causa del calo della domanda europea, il suo forte sviluppo economico continuerà a guidare la domanda di energia.

Poiché le risorse energetiche interne della Turchia sono limitate, il paese difficilmente può evitare il peso delle importazioni e, di conseguenza, un crescente disavanzo delle partite correnti. La Turchia importa quasi tutti i combustibili liquidi, il carbon fossile e il gas naturale che consuma. Il carbone, che costituisce circa il 26 per cento del consumo di energia della Turchia, rimarrà parte importante del mix energetico della Turchia nel tentativo di sfruttare meglio le sue riserve nazionali. Tuttavia, la produzione interna di carbone continua a essere inferiore al suo fabbisogno. Incapace finora di attrarre gli investimenti necessari per incrementare la produzione interna di carbone, la Turchia sta importando circa 16 milioni di tonnellate di carbone ogni anno da Australia, Colombia, Stati Uniti, Russia e Sud Africa.

Il gas naturale sarà la principale fonte di spesa nelle importazioni di energia della Turchia. Circa la metà dell’energia elettrica in Turchia proviene da centrali elettriche alimentate a gas naturale, e tale quota è destinata a crescere mentre la Turchia cerca fonti di energia più economiche e pulite. Il consumo di energia turco è già salito da 129 miliardi di chilowattora nel 2002 ai 240 nel 2012 (per confronto, si consideri che l’Italia ha prodotto circa 295 miliardi di chilowattora nel 2012). La maggior parte delle previsioni stimano che la Turchia arriverà quasi a raddoppiare il suo consumo di energia elettrica nel prossimo decennio. Infatti, la Turchia è seconda solo alla Cina nella sua crescente domanda di energia elettrica e di gas naturale per la produzione di energia.

La Russia è di gran lunga il primo fornitore di gas naturale della Turchia, coprendo attualmente quasi il 60 per cento delle importazioni turche di gas naturale – e tale percentuale è destinata a crescere. L’Iran è al secondo posto, con quasi il 20 per cento. Così, la Turchia dipende fortemente da due storici rivali regionali per il grosso del suo fabbisogno energetico. Non si tratta certo di una situazione ideale, soprattutto per un paese che tenta di sfruttare la sua posizione geografica per ristabilire la propria influenza nelle regioni limitrofe. Anche se la Turchia deve assolutamente allentare questi vincoli, una serie di ostacoli minaccia i suoi sforzi per diversificare il suo approvvigionamento energetico e quindi sviluppare una politica estera più flessibile.

La stretta russa sulla Turchia

La Turchia è il secondo paese destinatario di energia russa in ordine di importanza, e la Russia ha tutte le intenzioni di proteggere i suoi affari. La maggior parte degli scambi commerciali turco-russi è dominata dalle importazioni turche di gas naturale russo, sebbene la Turchia importi anche notevoli quantità di carbone e petrolio russi. La Turchia riceve la maggior parte del gas naturale dalla Russia direttamente attraverso il gasdotto Blue Stream, che passa sotto il Mar Nero ed ha una capacità di 16 miliardi di metri cubi all’anno. (la Russia ha proposto una linea parallela al Blue Stream, che potrebbe portare ulteriori 16 miliardi di metri cubi ai mercati oltre la Turchia, ma non ci sono grandi novità su questo fronte) Il Blue Stream integra un altro gasdotto che attraversa l’Ucraina, la Romania e la Bulgaria prima di raggiungere Istanbul e i suo popoloso circondario. Nel 2012, questo gasdotto ha trasportato circa 11 miliardi di metri cubi in Turchia. In totale quindi nel 2012 la Russia ha fornito 27,3 miliardi di metri cubi di gas naturale alla Turchia, rispetto ai 33 miliardi di metri cubi che ha trasportato in Germania. Poiché la domanda turca continua a crescere, la Russia si aspetta che la Turchia superi la Germania diventando il suo committente di energia più importante.

La Russia fa pagare alla Turchia circa 406 dollari per mille metri cubi – meno di quanto la Turchia paga all’Iran e poco più di quanto la Russia chiede ai suoi principali clienti europei (ad esempio, la Russia chiede alla Germania circa 380 dollari per mille metri cubi). La Turchia ha cercato di ottenere prezzi più competitivi dalla Russia nei suoi contratti di fornitura di gas naturale a lungo termine, lasciando che le sue imprese private negoziassero condizioni migliori al posto della compagnia statale Botas. Tuttavia, la Russia è l’unico produttore di gas naturale della regione in grado di garantire la grande quantità di gas naturale che la Turchia richiede in maniera affidabile e (relativamente) economica. La Russia considera la Turchia come un cliente molto importante, ma dal canto suo la Turchia non può fare a meno dell’energia russa. Mosca ha così il coltello dalla parte del manico nei negoziati energetici con Ankara.

La Russia sta anche attivamente cercando di aumentare la dipendenza energetica della Turchia in diversi modi. La Turchia ha un grande e ambizioso piano, sebbene non del tutto realistico, che prevede la costruzione di 23 centrali nucleari entro il 2023 per diversificare l’approvvigionamento energetico del Paese. La Russia è riuscita ad accaparrasi il contratto per la costruzione della prima centrale nucleare turca vicino Mersin, sulla costa del Mediterraneo, entro il 2019, puntando a rimanere poi il principale fornitore di combustibile nucleare dell’impianto. E’ probabile che questo progetto andrà incontro a numerosi ritardi per motivi sia tecnici che finanziari, ma la vicenda dimostra che la Russia gioca un ruolo anche nei più audaci piani turchi di diversificazione. Cosa ancora più importante, la Russia è in trattative con Ankara per la costruzione di impianti di stoccaggio di gas naturale in Turchia. Gli impianti di stoccaggio sono da considerare tra gli asset energetici più strategici che la Russia ha voluto in tutta Europa per mantenere la sua influenza sul continente. Così, anche se la Turchia insegue progetti per by-passare Mosca, la Russia cercherà di inserirsi in qualche punto del ciclo produttivo per influenzare i flussi alternativi di energia.

La Russia ha applicato la stessa strategia energetica per il Caucaso, uno storico campo di battaglia tra russi e turchi e una regione che l’Europa ha da tempo adocchiato per allentare la morsa di Mosca. Per gran parte dell’ultimo decennio, la situazione di stallo tra Europa e Russia è stata incarnata da due progetti principali: il gasdotto Nabucco a guida europea (e la sua variante minore, Nabucco Ovest) che porterebbe 10-31 miliardi di metri cubi di gas naturale dai paesi della regione, Russia esclusa (Azerbaijan, Turkmenistan, Iraq, Iran ed Egitto), in Europa, e il gasdotto rivale South Stream a guida russa che attraverserebbe il Mar Nero per trasportare fino a 63 miliardi di metri cubi di gas naturale russo verso l’Europa.

La Turchia – paese di transito fondamentale per i gasdotti di entrambi questi ambiziosi progetti – ha sostenuto tutte e due le proposte, rivendicando il suo ruolo di ponte neutrale tra Oriente e Occidente, in attesa di vedere quale dei due si sarebbe rivelato più fattibile. Ma il tentativo turco di apparire imparziale non ha retto fino in fondo. Il progetto Nabucco aveva già incontrato numerosi ostacoli finanziari, logistici e politici, ma queste difficoltà sono cresciute con la crisi economica europea a partire dal 2009. I due progetti rimasti nel 2013 a contendersi il trasporto di gas naturale azero verso l’Europa sono: il gasdotto ridimensionato Nabucco Ovest, che trasporterebbe 23 miliardi di metri cubi di gas naturale lungo i 1.300 km (circa 800 miglia) dalla Turchia all’Europa centrale, e il gasdotto Trans-Adriatico, molto più fattibile dal punto di vista economico, che si snoderebbe in 500 chilometri dalla Turchia attraverso i Balcani verso l’Italia. Il gasdotto Trans-Adriatico fornirebbe 10 miliardi di metri cubi di gas naturale dal giacimento di Shah Deniz II in Azerbaigian. Alla fine, il consorzio delle società del settore energia che sta sfruttando il giacimento di Shah Deniz II nel bacino del Mar Caspio – tra cui BP, Total e la compagnia statale azera SOCAR – ha scelto il gasdotto Trans-Adriatico, abbandonando completamente il Nabucco.

Naturalmente sulla decisione hanno pesato molto considerazioni di natura economica, ma anche Mosca ha contribuito a influenzare questo risultato. Il volume ridotto e i consumatori finali del gasdotto Trans-Adriatico sono molto meno pericolosi per la Russia rispetto ai piani del Nabucco, che punta all’Europa centrale e quindi alla periferia russa. Non è stato probabilmente un caso che proprio prima della decisione sul gasdotto Trans-Adriatico, la Russia abbia ritirato la sua offerta per una quota di controllo nella società greca DESFA che gestisce il transito di gas naturale, permettendo così a Socar di vincere la gara. La mossa, che è il risultato evidente dell’intensificarsi dei rapporti tra Mosca e Baku, ha potenziato le opzioni del gasdotto Trans-Adriatico ed è stata seguita da altri segni di maggiore cooperazione energetica russo-azera. Russia e Azerbaigian sono già in trattative per trasportare il petrolio russo attraverso l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (il cui solo obiettivo era quello di aggirare la Russia), e di invertire la direzione dell’oleodotto Baku-Novorossiysk per inviare petrolio russo in Azerbaigian. Una presenza russa più pesante nel Caucaso non potrà che rafforzare la dipendenza energetica della Turchia dalla Russia.

Vincoli simili valgono per le speranze turche (ed europee) di trasportare gas naturale dal Turkmenistan attraverso il Mar Caspio, il Caucaso e la Turchia fino all’Europa. Questo piano è in diretto conflitto con l’imperativo russo di mantenere la sua posizione di intermediario per il transito di energia dall’Asia Centrale verso l’Europa. Il governo turkmeno è ancora meno disposto di quello azero a provocare Mosca facendosi coinvolgere in un progetto del genere. Anche se gli ostacoli tecnici, politici e giuridici per la costruzione di un gasdotto sotto il mar Caspio fossero risolti dagli Stati costieri, il Turkmenistan ha già attirato il significativo e crescente interesse della Cina per il suo gas naturale turkmeno, da realizzare attraverso progetti economicamente e politicamente più concreti.

Le alternative e gli ostacoli per la Turchia in Medio Oriente

Avendo storicamente governato il Medio Oriente per quattro secoli, i turchi si ritengono preparati per sfruttare le abbondanti risorse energetiche della regione. Tuttavia, Ankara sta arrivando a capire che le sue ambizioni di garantirsi un approvvigionamento energetico stabile dal Medio Oriente non saranno certo soddisfatte in un futuro molto prossimo.

Gran parte delle attenzioni della Turchia in Medio Oriente sono state rivolte al Kurdistan iracheno, dove il governo locale del Kurdistan e Ankara hanno deciso di accantonare i loro conflitti passati per perseguire un partenariato reciprocamente vantaggioso. Il governo regionale del Kurdistan sta disperatamente cercando di esportare il suo petrolio e il suo gas naturale contro la volontà di Baghdad, che ha la necessità di contenere al massimo le ambizioni energetiche – e politiche – curde. La Turchia avrebbe concordato con la linea di Baghdad su questo punto, ma ha cambiato strategia quando al governo è salito il Partito della Giustizia e dello Sviluppo. Invece di contenere il separatismo curdo esclusivamente con la forza, la Turchia sta utilizzando la crescente dipendenza economica del Kurdistan iracheno dal suo mercato emergente come politica di contenimento. Altrettanto importante, la Turchia spera di trarre beneficio da un più stretto rapporto con il governo curdo iracheno per facilitare i negoziati di pace con i curdi turchi.

Questa strategia sembrava promettente in teoria, ma in concreto procede con molta fatica. I negoziati di pace tra la Turchia e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan sono in fase di stallo, mentre Ankara si trova di fronte un problema ancora più urgente lungo il suo confine con la Siria, dove i separatisti curdi stanno combattendo contro gli jihadisti. Nel frattempo, il panorama politico nel Kurdistan iracheno sta tornando a essere litigioso, con il partito dell’Unione Patriottica del Kurdistan di Jalal Talabani in crisi interna e il Partito Democratico del Kurdistan di Massud Barzani che cerca di approfittare della situazione di debolezza del suo rivale.

Le obiezioni di Baghdad al gasdotto kurdo pianificato con il sostegno della Turchia

Questi fattori minacciano un progetto ambizioso che la Turchia e il governo regionale del Kurdistan hanno perseguito: la costruzione di un oleodotto dal nord dell’Iraq alla Turchia per esportare circa 250.000 barili al giorno di greggio curdo. Questo gasdotto dovrebbe affiancare quello Kirkuk-Ceyhan gestito da Baghdad, che sta funzionando a un quinto della sua capacità ufficiale di 1,6 milioni di barili al giorno a causa di frequenti attentati, scarsa manutenzione e produzione complessiva inferiore alle previsioni. Dal punto di vista di Baghdad, il progetto del nuovo gasdotto è una grave violazione della sovranità territoriale dell’Iraq, e il governo centrale iracheno ha detto chiaramente sia alla Turchia che alla dirigenza curda irachena che ci sarà un prezzo da pagare se esse cercheranno di completare il gasdotto senza il consenso di Baghdad. Con il gasdotto già in fase avanzata di costruzione e Ankara sotto pressione dagli investitori che lo vogliono vedere concluso, la Turchia deve ora decidere fino a che punto è disposta a provocare l’ira di Baghdad. Qualsiasi compromesso che la Turchia dovesse fare su questo progetto per accontentare Baghdad significherebbe per Ankara continuare ad affrontare ripetutamente ritardi e interruzioni nell’approvvigionamento di energia dall’Iraq a causa delle liti tra Baghdad e i curdi e una costante minaccia dei militanti curdi e jihadisti alle infrastrutture energetiche.

Il dialogo in corso tra gli Stati Uniti e l’Iran peserà sulla decisione della Turchia. Gli Stati Uniti non vogliono che la Turchia eserciti pressioni sul già fragile equilibrio etno-settario iraqeno, il tutto per un gasdotto controverso. L’Iran, inoltre, non vuole vedere il suo storico rivale turco compromettere l’influenza sui suoi alleati sciiti a Baghdad. La Turchia dovrà gradualmente riconoscere questa realtà tenendo probabilmente una posizione moderata per evitare ulteriori attriti tra Baghdad e Teheran.

Inoltre, se Washington e Teheran raggiungessero un accordo, la Turchia potrebbe ricevere consistenti forniture di energia dall’Iran, sempre che giungano investimenti esteri a ravvivare l’indebolito settore energetico del paese. La Turchia ha attualmente un contratto a lungo termine con l’Iran per ricevere 10 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno attraverso il gasdotto Tabriz-Ankara, ma questa linea di approvvigionamento è soggetta a frequenti interruzioni a causa dei limiti tecnici, logistici e di domanda iraniani. Ogni volta che l’Iran non riesce a rifornire la Turchia del gas naturale richiesto, la Russia è sempre pronta a fare la differenza – per ricordare che non c’è nessun altro fornitore affidabile tra i suoi vicini in grado di fornire la quantità di energia di cui i turchi hanno bisogno. Tuttavia, questa situazione potrebbe cambiare radicalmente se l’Iran e gli Stati Uniti raggiungessero un accordo sull’ammodernamento dei giacimenti iraniani e delle loro infrastrutture. La Turchia accoglierebbe con favore le forniture di petrolio e gas naturale iraniani sia per il consumo interno che per l’esportazione verso l’Europa, ma questo scenario è lontano ancora di parecchi anni.

Nel frattempo, a ovest della Turchia, Israele e Cipro hanno preso l’iniziativa per cercare di sviluppare le loro riserve di gas naturale offshore nel Mediterraneo orientale, escludendo la Turchia. Grecia, Cipro e Israele hanno tutti rapporti di antagonismo con la Turchia. Dei tre, Israele è quello che ha il maggiore interesse a ripristinare un dialogo con Ankara, permettendogli così di ritrovare un alleato strategico in una regione sempre più instabile. Israele ha quindi avanzato la proposta di estendere un gasdotto sottomarino di collegamento tra i giacimenti di gas naturale israeliani e ciprioti alle infrastrutture turche che potrebbero poi far transitare il gas naturale verso l’Europa. Tale piano dovrebbe sostituire il tentativo di costruire un gasdotto sottomarino in acque profonde logisticamente molto più complicato o un terminale di gas naturale liquefatto costoso e tecnicamente complesso nel Mediterraneo orientale.

Per essere coinvolta nei piani di politica energetica del Mediterraneo orientale, la Turchia avrebbe bisogno di trovare una soluzione politica con Israele e Cipro. Anche in tal caso rimarrebbe una serie di difficoltà, tra cui la determinazione della quantità di gas disponibile per l’esportazione, la ricerca di finanziamenti per il progetto e le proteste del Libano che considera le attività esplorative di Israele come degli illegittimi sconfinamenti in una zona di sua esclusiva pertinenza. Per ora la Turchia sta semplicemente cercando di rendere nota la sua presenza nella regione inviando navi per esplorare i fondali al largo della costa settentrionale di Cipro e minacciando di inviare navi da guerra se Cipro procederà con lo sfruttamento dei giacimenti nella zona. La Turchia spera di costringere Nicosia, in serie difficoltà finanziarie, a un accordo sullo status di Cipro settentrionale per convincere gli investitori che la Turchia non interferirà nei suoi piani di sviluppo energetico. Ma la strategia turca finora non ha sortito gli effetti desiderati. C’è poco che la Turchia può fare per influenzare lo sviluppo energetico nella regione, ma le questioni aperte sullo sfruttamento e l’esportazione di queste riserve sono tali che la Turchia non ha comunque bisogno di fare molto. In breve, il Mediterraneo orientale non riuscirà né a minacciare né a favorire significativamente la sicurezza energetica turca in tempi brevi.

Problemi di Ankara nel procurarsi investimenti

La Turchia ha corteggiato diverse grandi multinazionali dell’energia per esplorare il Mar Nero e per indagare i potenziali giacimenti di gas di scisto nel bacino dell’Anatolia nel sud-est e il bacino della Tracia nel nord-ovest della Turchia. E’ però ancora troppo presto per stabilire se queste attività esplorative produrranno risultati. La Turchia sta esplorando il Mar Nero alla ricerca di giacimenti fin dai primi anni 1970 e ha trascorso gran parte degli ultimi dieci anni lavorando in collaborazione con Chevron, Royal Dutch/Shell, ExxonMobil, BP e Petrobras per esplorazioni in profondità. Finora questi sforzi hanno prodotto risultati deludenti e l’interesse degli investitori si è spostato verso la costa romena del Mar Nero.

Gli sforzi congiunti di fratturazione idraulica con Royal Dutch/Shell hanno indicato che il suolo della Turchia potrebbe contenere circa 651 miliardi di metri cubi di gas naturale (anche se queste stime non sono state confermate). Come la Turchia ha bisogno di tecnologie e investimenti occidentali per proseguire queste attività di esplorazione tecnicamente impegnative e costose, così ha tutto l’interesse a fermare la militanza curda nel sud-est, dove molte di queste operazioni saranno concentrate. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan sta finora tenendo sotto controllo la ripresa degli attacchi degli insorti mentre cerca di far pressione sul governo per ottenere concessioni più sostanziali, ma un governo politicamente vincolato – in particolare nel periodo precedente alle elezioni parlamentari e presidenziali nel 2014 – continuerà a zoppicare nel tentativo di raggiungere un accordo di pace definitivo con i militanti curdi in Turchia.

La Turchia sta anche cercando di capire se un eventuale ingresso degli Stati Uniti nel mercato globale delle esportazioni di gas naturale liquefatto e della produzione di gas naturale in Nord Africa renderà opportuno espandere la propria capacità di importazione di gas naturale liquefatto. La Turchia dispone attualmente di due terminali di importazione di gas naturale liquefatto – uno a Marmara Ereglisi che ha una capacità annuale di 8,2 miliardi di metri cubi e una capacità massima oraria di 22 milioni di metri cubi, e un altro nella città di Aliaga sulla costa egea con una capacità annuale di 6 miliardi di metri cubi e una capacità massima oraria di 16 milioni di metri cubi. Le importazioni di gas naturale liquefatto da Algeria, Nigeria e Qatar e per piccole quantità da Norvegia ed Egitto hanno rappresentato circa il 14 per cento del totale delle importazioni di gas naturale della Turchia nel 2012, la maggior parte delle quali consumati nelle aree industrializzate dell’area di Istanbul nella regione di Marmara.

La Turchia sta valutando la costruzione di ulteriori terminali di importazione di gas naturale liquefatto nel golfo di Saros, vicino ai Dardanelli e a Iskenderun, sulla costa mediterranea. In teoria, l’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto potrebbe offrire alla Turchia una cerchia di fornitori più diversificata e garantirle flessibilità nell’acquisto di gas naturale liquefatto sul mercato spot per fronteggiare eventuali interruzioni dell’approvvigionamento. Ma la Turchia dovrebbe investire ingenti capitali nella costruzione dei terminali di importazione e dei rigassificatori e in un vasto ammodernamento ed espansione della rete di distribuzione turca oltre il nucleo di Marmara. L’industria turca alimentata a gas naturale, relativamente giovane ma in rapida crescita, richiederà anche investimenti significativi in impianti di stoccaggio (attualmente, la Turchia può immagazzinare solo circa 3 miliardi di metri cubi di gas naturale).

Sarà difficile garantire tali investimenti, in particolare ora che la Turchia sta lottando per confermarsi come un mercato emergente degno degli investimenti stranieri. Le profonde spaccature politiche emerse durante le proteste di Gezi Park hanno spinto i potenziali investitori a chiedersi se il Partito Giustizia e Sviluppo sarà in grado di portare a compimento i progetti infrastrutturali a lungo termine.

In questo contesto globale di crescente incertezza degli investitori, ampie fluttuazioni valutarie e tassi di interesse crescenti, i progetti turchi con lunghi tempi di recupero si trovano ad affrontare difficoltà nell’ottenere i prestiti necessari. Ciò ha spinto i leader del governo turco ad accusare le aziende europee che hanno perso precedenti gare d’appalto, di pressioni sulle banche affinché rifiutino i finanziamenti, ma tali accuse di cospirazione sono servite solo a minare ulteriormente la fiducia degli investitori nella Turchia. L’enorme fame di energia della Turchia continuerà ad attirare un certo interesse degli investitori, ma anche gli investitori più ottimisti si muoveranno con estrema cautela. La Turchia dovrà affrontare anche una forte concorrenza per le importazioni di gas naturale liquefatto dal momento che i produttori guardano principalmente all’Asia in cerca di maggiori profitti.

Anche se il gas naturale non garantisce alla Turchia la diversificazione che ha cercato, le forniture russe via gasdotto sono ancora molto più convenienti e stabili rispetto agli altri tipi di investimenti energetici che Ankara sta esplorando. Schiacciata da una serie di vincoli politici, economici e di sicurezza, alla fine la Turchia dovrà rivedere la sua ambizione di diventare uno snodo energetico nevralgico per la regione. Per ora, il bisogno di Ankara di “tenere accese le luci” è più importante dei suoi sforzi per tracciare una politica estera indipendente.

“Le ripubblicazioni tratte e tradotte dal sito www.stratfor.com come del resto da altri siti, hanno l’intenzione di fornire ai nostri lettori materiali che noi giudichiamo interessanti e che pensiamo lo possano essere anche per i nostri lettori. Conflitti&Strategie non supporta necessariamente le idee espresse in tali articoli e può anche essere in disaccordo con essi.”


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