Magazine Rugby
Ireland 24 - 8 England
C'era tanta voglia di Grand Slam in terra albionica. Per un'intera settimana non si è fatto che parlare di quello, prima con piglio di basso profilo, poi, mano a mano che si avvicinava la sfida di Dublino, il tono si è alzato. C'era la storia di coach Martin Johnson, che lo aveva conquistato come giocatore nel 2003, l'anno del trionfo mondiale, e che poteva ripetersi in qualità di allenatore. C'erano le parole di Graham Henry che dalla Nuova Zelanda ha fatto sapere di essere rimasto impressionato dai progressi degli inglesi. E' vero, dalla scorsa estate i bulldog hanno fatto enormi passi avanti, ma alla fine si sono ritrovati sempre ad un passo dalla realtà, anzi: con due piedi dentro. E' successo anche contro contro l'Irlanda che all'Aviva Stadium si è imposta per 24-8, spezzando il sogno. L'Inghilterra questo Six Nations lo ha fatto suo, ma sul più bello ha fatto i conti con alcuni guai da aggiustare in vista della Coppa del Mondo. Un sogno infranto in quaranta minuti di prepotenza irlandese, con i padroni di casa mai così convincenti e vincenti in tutto il torneo: d'altronde, era il crocevia giusto per rimediare ad una prestazione complessiva mediocre, capace solo di sollevare molti dubbi in vista, immancabilmente, del Mondiale perché alla fine dei conti è a quello che si guarda. E lo ha fatto - e continuerà a farlo - anche la compagine inglese, oggi lenta, compassata, smorta, impaurita, incapace di reagire, sbrodolona e nervosa. Segnali usciti allo scoperto già contro la Scozia, ma questa era un'altra storia. Era l'ultimo capitolo del libro.
Intendiamoci: le prestazioni sia contro il Galles che contro l'Italia hanno lasciato chiaramente intendere che l'Inghilterra è la migliore delle europee e non ci piove. Contro la Francia è stato un match a sé, con le due grandi a confronto diretto. Contro gli scozzesi, già detto e ripetuto. Poi è arrivata la sconfitta con gli irlandesi, ma come è vero che ci sono guai da aggiustare, è altrettanto vero che ci sono punti fermi dai quali proseguire. Il problema è che a Dublino, questi punti fermi non si sono visti.
Primo tempo - Il ringhio giusto lo hanno i padroni di casa, che si giocano la reputazione. Assaltano di tutto, in campo aperto e nelle fasi chiuse, vanno a caccia di uomini, armi e bagagli senza fare alcuna differenza. Placcano duro, puntano in alto. Dalla loro un pubblico che li sostiene e non li molla. Si fanno sotto in mischia ordinata, premono sull'acceleratore. E dopo cinque minuti aprono le marcature con il piede di Jonathan Sexton dopo il fischio dell'arbitro Bryce Lawrence per un fuorigioco. E' partita vera, l'Inghilterra si riprende nella seconda mischia, la frenesia che si respira fa in modo che si commettano errori e che il gioco fluido ne risenta, ma non l'emozione. A essere più in balla sono però gli irlandesi, con le Andrew Trimble e Tommy Bowe che vanno a bussare alla porta avversaria, sostenuti dai guardiani Paul O'Connell, Donncha O'Callaghan e da una terza linea in gran forma: David Wallace fa da sostegno propositivo nel senso che attacca bene gli spazi, Sean O'Brien è l'assaltatore per portare palla oltre linea di trincea, Jamie Heaslip è la seconda linea che va a dare il cambio prontamente.
Sull'altro fronte, a risentirne maggiormente, è la linea mediana con Ben Youngs e Toby Flood che tradiscono una certa confusione mentale, mentre Chris Ashton non può essere lanciato in velocità come vorrebbe tanto, anzi: al 14' va a placcare alto l'avversario e Sexton si ripresenta alla piazzola e di nuovo fa centro, tra il silenzio della folla sugli spalti e l'unico suono che si sente è quello del piede a contatto con l'ovale. E' solo una questione di tempo perché gli irlandesi non trovino la via della meta e attorno al 20' la troverebbero anche, con Heaslip che ricicla per Bowe appena dentro i 22, l'ala poi apre al largo per O'Driscoll che va oltre e schiaccia a terra, ma viene ravvisato un in avanti nell'ultima trasmissione. Si torna comunque sul vantaggio precedentemente segnalato e al 22' è 9-0 a Dublino, con Sexton in gran spolvero. L'apertura del Leinster era chiamato da coach Declan Kidney alla prova di maturità e l'ha passata, guadagnandosi il titolo di Man of The Match.
O si reagisce ora o non si reagisce più, sembrano dirsi gli inglesi che hanno già il fiatone. La reazione è a portata di mano, con il tallonatore Dylan Hartley e il pilone Alex Corbisiero che duettano su un calcio libero, liberando per la prima volta Ashton. Questa volta la difesa irlandese si fa cogliere in fallo, ma non c'è nulla da fare: Flood calcia a lato, gli ospiti rimangono inchiodati allo zero. Esce intanto Tom Palmer, in seconda linea è già il momento di Simon Shaw. E' solo l'antipasto a quanto si vedrà nel secondo tempo. Prima però viene il bello, si consuma l'attimo in cui tutto si fa più chiaro: arriva la meta irlandese e stavolta non ci sono passaggi in avanti che tengano. Ben Foden deve spazzare sulla pressione portata dagli avversari, con i suoi che partono davanti a lui. L'Irlanda annusa l'odore del sangue, sa che è il momento buono per infierire e Sexton allora gioca veloce la punizione, l'ovale giunge al largo dove c'è Bowe che arriva fino in fondo. L'imbarcazione inglese sbanda, anche se Sexton non trasforma la conversione, ma nel giro di nemmeno mezz'ora, l'Irlanda è sul 14-0. Che fosse tutto qui. No, anzi. Dicevamo della terza linea Wallace in precedenza: è protagonista di due cavalcate come si comandano, porta i suoi ad un soffio dal touchdown. E' pure l'artefice dell'azione che significa cartellino giallo per Youngs al 35', perché il mocciosetto si fa tanare in modo lampante mentre getta via l'ovale a ridosso della linea dei cinque metri per impedire di giocare veloce la rimessa.
Ha talento il ragazzo, inutile starci sopra a discutere. E' cresciuto in un club come il Leicester, quindi da cosa voglia dire stare ai piani alti. Ma quell'errore disciplinare gratuito è come la nota sul registro che può inguaiare da un momento all'altro anche il migliore della classe e rimane a referto. L'indisciplina che tante volte è costata cara alla classe di Johnson, eccola di nuovo che fa capolino. Flood al 31', per la cronaca, schioda finalmente i suoi con un penalty. L'azione tipo degli inglesi è però piatta, non ha abrasione, non trova gambe in movimento al momento del passaggio. In più si finisce in quattordici, con Foden mediano in prestito. A proposito: quando ormai la barca aveva cominciato ad imbarcare acqua, Hartley e Youngs avevano inscenato un curioso siparietto, con il tallonatore che si lamentava con il mediano perché impiegava troppo a infilare la palla nel corridoi al momento dell'ingaggio in mischia. Youngs da parte sua aveva provato a giustificarsi, ma la sbuffata finale di Hartley era valsa più di mille parole. Si va negli spogliatoi sul 17-3, con Sexton che continua a timbrare il cartellino.
Secondo tempo - Nella ripresa, la prima cosa da segnalare è che Youngs nemmeno rientra allo scadere dei dieci minuti di castigo, perché Johnson lo sostituisce con Danny Care. Il resto è sempre affare irlandese. Il pilone Cian Healy acciuffa una rimessa inglese, ricicla per O'Callaghan che fa strada, prova a disfarsi del pallone per un compagno, ma rimbalza a terra. Poco importa, c'è Brian O'Driscoll nei paraggi ed è meta al 46'. E' la meta che mette la parole fine a tutti i discorsi in ballo ed è la meta numero 25 che fa del capitano irlandese il miglior realizzatore nella storia del Championship. Con un sorriso sulla faccia che la conta giusta: la soddisfazione personale e la soddisfazione di averla fatta contro l'Inghilterra. 24-3 con la conversione di Sexton.
Fuori Flood, dentro Jonny Wilkinson. Fuori Hartley, dentro Steve Thompson. Fuori Dan Cole, dentro Paul Doran-Jones. Johnno prova a raddrizzare il destino affidandosi a due esperti e, guarda caso, è proprio Thompson a marcare visita, infilandosi in una rimessa irlandese sulla trequarti campo avversaria e correndo verso la meta con i suoi 115 chili, inseguito da Eoin Reddan che non lo raggiunge. Wilkinson invece non infila i pali e allora, dopo il sussulto, cala di nuovo la notte. Il risultato non cambierà più da qui alla fine, dal 53' in poi. L'Irlanda controlla, abbassa il ritmo, torna a commettere quegli errori messi in mostra nelle settimane precedenti, ma non corre grandi rischi. Piuttosto, continua a difendere duro. O'Brien, dopo aver targettato in un paio di occasione Mark Cueto facendosi esplodere il pallone tra le braccia piombandogli alle spalle, riserva la stessa medicina al nuovo entrato David Strettle.
E' tempo di passerella, invece. Esce tra gli applausi Sexton che si becca le pacche sulle spalle dei compagni e l'abbraccio di Ronan O'Gara, che avrebbe una gran voglia di marcare anche lui agli inglesi al momento dell'ingresso, al 69'. Si renderà in pochi secondi protagonista di una sfuriata con Ashton dopo che non intende mollare l'osso in ruck, nonostante il fischio di Lawrence. L'ala avversaria lo solleva di forza, lui gli si attacca al colletto e tutte e due le squadre si danno appuntamento nei pressi. Gli applausi tornano nel finale per salutare le sostituzioni di Gordon D'Arcy, O'Connell, Rory Best e Reddan, che abbandonano il campo sorridenti e beffardi. O'Gara nel frattempo si diverte a calciare nei ventidue avversari in modo chirurgico. Pure Wilko porta i suoi ai cinque metri, ma l'effetto non è lo stesso.
Al fischio finale, la festa è tutta per i padroni di casa. I volti degli inglesi sono contratti, sbattuti. Si presentano sul terreno di gioco sia Mike Tindall che Lewis Moody in giacca e cravatta per rinforzare l'animo: sono comunque i vincitori del Six Nations, anche se al momento il Galles deve ancora giocare a Parigi, ma la sostanza non potrà cambiare. Otto anni di attesa che svaniscono in ottanta minuti. L'Inghilterra torna alla realtà, con una squadra che non ha trovato il bandolo della matassa. Però è tornata a vincere. E anche quello è un fatto.
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