Dall’11 marzo 2013, quando, con una leggera ma significativa correzione, il blog MOLTINPOESIA (qui) è diventato POESIA E MOLTINPOESIA, ho pubblicato circa 236 articoli suddivisi per categorie (cantieri, discussioni, ricerche, segnalazioni). Ho lavorato da solo, accollandomi sia la responsabilità di valutare il materiale da pubblicare sia la gestione tecnica non sempre facile del blog. Con una certa larghezza e pochi rifiuti (sono per il «criticare ma incoraggiare» e non per il «sorvegliare e punire» da posizioni di forza) ho accolto molti testi poetici inviatimi soprattutto da amici/che; ma anche da persone, che non conoscevo e sono poi diventate amiche. So che questa dimensione amicale è preziosa. Oggi poi, in una società che sopporta tremende spinte disintegranti, può esserlo ancora di più. A patto, però, che il gruppo amicale funzioni da laboratorio di ricerca. Sia cioè luogo che aggreghi intelligenze vere e bisogni reali e non passeggeri o umorali. E si costituisca uno spazio dinamicamente e criticamente aperto verso l’esterno e verso gli altri/e. Altrimenti si rischia la tana, lo spazio chiuso. Magari piacevole, confidenziale, rilassato, consolatorio. Ma ci si può contentare di consumare parole in un reciproco, diplomatico e futile incensamento? Per evitare questi rischi, ho cercato di aprire finestre verso altri blog e riviste, intervenendovi anche con commenti o segnalando ricerche poetiche e discorsi critici, che mi sembravano interessanti da proporre ai frequentatori di questo blog. Mosso, dunque, da curiosità intellettuale e puntando a una cooperazione critica che limiti (visto che non si possono cancellare del tutto) le pulsioni concorrenziali e autoreferenziali o la diffusa sindrome, che chiamerei dell’isolotto dei buoni e degli intelligenti o dei “poeti veri” assediati da una marea di barbari poetastri e di critici venduti e boriosi. Né gli uni né gli altri, in realtà mancano. Il problema è però del che fare in una situazione bloccata. La mia prospettiva, che ho chiamato di poesia esodante (e che ho illustrato qui) mira a prendere atto di una crisi della poesia e a sfuggire sia alle derive solipsistiche sia a quelle populistiche. Non trovo decenti né gli Io dei Grandi né gli io minuscoli o gregari. Anche se non dovessi riuscire mai a costituire un laboratorio di ricerca che condivida questo orizzonte problematico – non sono questi, certo, tempi buoni per scambi dialettici - resto convinto della necessità di fluidificare il rapporto tra i supposti o reali livelli alti e i supposti o reali livelli medi o bassi. E non solo in poesia. O, come più volte ho detto, di contrastare opposti snobismi: “dall’alto” e “dal basso”. Molti miei interventi polemici, passati o recenti, su questo blog lo dimostrano. So che essi possono spaventare o azzittire chi non vorrebbe essere distratto dal lavoro serio da fare sul linguaggio, sui testi, mediante la lettura e lo studio dei pochi autori che in fondo contano per ciascuno di noi. Ma in poesia pesa sia il lavoro in solitudine sia quello delle comunità (istituzioni, corporazioni, scuole, sette, mafie, associazioni) che organizzano la produzione, diffusione e il riuso – critico o annacquato e consumistico – della poesia. E perciò le critiche argomentate mi paiono una barriera minima contro l’ipocrisia, l’approssimazione, gli opportunismi, i maneggi presenti in tutti gli ambienti, non solo in quelli letterari. Quanto ai commenti, che costituiscono per tutti i blog un vero e proprio problema (si veda qui una puntuale riflessione), li ho sempre lasciati aperti a tutti/e, ma sono intervenuto contro l’uso di questi spazi pubblici per discorsi divaganti o narcisistici o petulantemente distruttivi. Ho cercato sempre di fare (e indirizzare altri a fare) commenti di riflessione critica. Proprio per arginare la tendenza alla chiacchiera, all’effimero, alla batttuta di spirito o di sfogo, al cinguettio dei complimenti. Perché sono convinto che non è la forma-blog o la forma-commento a neutralizzare automaticamente l’efficacia di qualsiasi critica. È la rinuncia di molti – poeti o critici o lettori “comuni” – a sviluppare seriamente la funzione critica che fa prevalere la chiacchiera troppo amicale o banalizzante o inutilmente cannibale. È vero che non sempre gli autori ( talvolta soprattutto gli amici!) sopportano i commenti (specie se severi e ben argomentati). Ma bisogna essere tenaci. Se si crede di avere del vino buono, lo si metta in tutte le botti possibili. Le critiche, le buone critiche, fatte con sincerità e portando argomenti da discutere (non da prendere o lasciare), costruiscono una diversa mentalità; e non sono affatto distruttive. E poi certe cose vanno davvero distrutte. Nulla di solido si può costruire su basi scadenti o fragili.
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