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Enrico Calamai, tra Golpe e Diplomazia

Creato il 03 novembre 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

A colloquio con l’ambasciatore Enrico Calamai, l’uomo che durante il golpe argentino del ‘76 salvò centinaia di oppositori politici dagli squadroni della morte.

Molte persone devono la propria vita ad Enrico Calamai, un uomo il cui nome a parecchi dirà poco, ma che tra il ’72 ed il ’78 in Argentina ed in Cile si oppose apertamente a due tra le più sanguinarie dittature degli ultimi cinquant’anni. Eppure la sua storia è ancora oggi poco conosciuta.

Un giovane diplomatico in Sud America.

Iniziata la carriera diplomatica nel 1970 e destinato nel 1972 anno a ricoprire l’incarico di vice-console a Buenos Aires, Calamai visse in prima persona le conseguenze del golpe portato avanti dai militari guidati da Rafael Videla nel 1976. Contribuì, infatti, a salvare da morte sicura centinaia di oppositori politici e fornì loro passaporti, un rifugio sicuro e biglietti aerei per l’espatrio, mettendo a rischio la propria carriera – e, talvolta, la propria incolumità – non chiedendo mai nulla in cambio; il tutto senza l’aiuto dei propri colleghi, (quasi) tutti occupati a non scontentare i propri superiori e a rispettare le direttive del Ministero degli Affari Esteri, secondo cui in Argentina non vi era alcun tipo di persecuzione politica.

Soltanto due persone appoggiarono Calamai, non preoccupoandosi delle conseguenze: Giangiacomo Foà, giornalista del Corriere della serasuccessivamente allontanato dall’Argentina a causa dei propri articoli “scomodi” per il regime –  e Filippo di Benedetto, sindacalista della CGIL.

Nel 1974 l’allora vice-console fu, inoltre, inviato temporaneamente in missione a Santiago del Cile- durante le celebrazioni del primo anniversario del golpe guidato da Pinocheta seguito dell’allontanamento di Roberto Toscano; quest’ultimo, unico giovane diplomatico italiano presente nella capitale – oltre all’incaricato d’affari, Tommaso de Vergottini – fu dichiarato dal regime “persona non grata” ed allontanato; anche in quell’occasione Calamai non si tirò indietro ed andò a vivere nell’ambasciata italiana, fornendo assistenza a decine di perseguitati politici che, in attesa di un salvacondotto, avevano trovato rifugio nella sede diplomatica.

L’inadeguatezza della diplomazia italiana.

Le vicende vissute sia in Argentina sia in Cile sono narrate da Calamai in un libro, intitolato “Niente asilo politico” e pubblicato da Feltrinelli nel 2006; in poco più di duecento pagine l’ex diplomatico mette nero su bianco i propri ricordi, tratteggiando un ritratto impietoso dell’apparato diplomatico italiano, i cui funzionari nel periodo pre e post-golpe preferirono anteporre la propria carriera alla salvezza di centinaia di vittime della repressione, alcune delle quale con doppia cittadinanza italo-argentina.

Retrò Online ha avuto la possibiltà di contattare Enrico Calamai, ponendogli alcune domande su vari aspetti della propria vita, professionale e non.

Una scelta obbligata.

La voce dell’ex diplomatico è pacata, a tratti malinconica. La prima domanda sorge spontanea: perchè la carriera diplomatica? Perchè questa scelta, vissuta fin dal primo giorni al MAE come un fardello? La risposta, come traspare anche dal libro, è semplice: non si trattò di una scelta, ma di un’imposizione; un buono stipendio, una posizione sociale potenzialmente invidiabile e le pressioni della famiglia d’origine fecero di lui un diplomatico. D’altro canto, sopravvivere grazie alla scrittura, grande passione di Calamai, sarebbe stato difficile.

Interessante è anche il rapporto che l’ambasciatore aveva avuto con il Sessantotto ed i relativi movimenti di protesta; emerge dal libro e dalla conversazione che abbiamo avuto che Calamai condivise gran parte delle istanze sessantottine, senza, però, prendervi effettivamente parte. Come ci ha raccontato, pur avendo vissuto in prima persona e condiviso gli ideali del Maggio francese – che continuò fino a giugno inoltrato – si sentì sempre un estraneo rispetto agli studenti, agli operai e alle decine di migliaia di altre persone comuni che contribuirono a cambiare così radicalmente la cultura dei decenni a venire. Le sue azioni ai tempi del golpe in Argentina e Cile, comunque, risentirono enormemente di quel periodo, sottolinea.

I golpe in Cile ed Argentina.

Un altro aspetto che affiora chiaramente dal libro è la netta differenza che vi fu nella politica italiana nei confronti dei perseguitati politici in Cile nel ‘73 rispetto a quanto accadde in Argentina tre anni dopo, prima e dopo il golpe.

Pinochet – ricorda Calamai durante la nostra intervista– agì alla luce del sole: è difficile scordare le foto del palazzo presidenziale – al cui interno vi era ancora Salvador Allende – circondato da centinaia di militari, così come le riprese video di stadi calcistici stipati di prigionieri. Immagini così forti, però, presto fecero il giro del mondo e la giunta cilena si ritrovò gli occhi dell’opinione pubblica mondiale addosso; di conseguenza, i governi dei paesi occidentali non poterono ignorare la situazione, portata teatralmente alla luce dai media, soprattutto europei. Ciò costrinse il governo italiano, timoroso di sfigurare agli occhi di milioni di persone, ad organizzare decine di espatri.

La lezione cilena fu ben appresa dai militari argentini, che durante il golpe avvenuto tre anni più tardi evitarono teatrali spargimenti di sangue; dopo aver discretamente avvertito la comunità diplomatica internazionale dell’imminenza di un colpo di stato – eufemisticamente chiamato “Processo di riorganizzazione nazionale” – i militari deposero quasi in sordina Isabelita Perón ed assunsero il controllo di ogni organo statale; il dissenso venne represso tramite la desaparición forzada: nel cuore della notte una Ford Falcon verde senza targa piombava davanti agli usci di chiunque potesse apparire sospetto, specie giovani, che venivano caricati a forza sull’auto e fatti sparire; seguivano atroci torture ed i più venivano uccisi.

Un personaggio scomodo…

Tra interessi economici enormi, il governo italiano che di fatto riconobbe la giunta militare argentina instauratasi dopo il golpe, un’attenzione relativamente scarsa dei media per la tragica situazione politica, e l’ombra della P2 – loggia massonica di cui Calamai allora mai sospettò l’esistenza – l’ex diplomatico non ebbe vita facile; aiutò, sì, centinaia di persone a fuggire, ma ad un prezzo non trascurabile: la propria carriera. Allo scadere del proprio mandato – ci spiega – avrebbe voluto lasciare il MAE, ma la situazione economica non glielo permise; chiese di essere destinato alla sede diplomatica di Madrid – città dove viveva sua madre - eppure la richiesta fu respinta dall’ambasciatore italiano in Spagna, venuto a conoscenza degli atti di “insubordinazione” di Calamai in Argentina; così, qualcuno potrebbe pensare per ripicca, venne inviato nel lontano Nepal con la carica di ambasciatore e successivamente nell’Afghanistan ancora occupato dai sovietici, in qualità d’incaricato d’affari.

…e dimenticato volentieri.

Quella di Enrico Calamai è stata una storia che in molti hanno dimenticato volentieri; il governo italiano – pur  nell’ottica della guerra fredda – fiancheggiò un regime responsabile di sistematiche violazioni dei diritti umani e richiamò in patria chi cercava di arginare una situazione tragica, che ad una ristretta élite fece comodo ma costò la vita a migliaia di persone comuni.

Tale vicenda resta ancora oggi nota a pochi, dimostrando come probabilmente il rapporto tra istituzioni italiane e giunta militare argentina rimanga un capitolo buio della storia recente, con cui in molti non hanno ancora fatto i conti.

Tags:ambasciatore,Augusto Pinochet,diplomazia,sud america Next post

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