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Enrico Pea, Cinquale

Da Paolorossi
Cinquale

Cinquale

E alle falde del monte c’erano due polle in attività, se non fosse bastata l’acqua dei fiumi e dei fossi a impaludare quel bel terreno, per fortuna senza malaria, che di là si stendeva fino al mare. In questa palude crescevano le cannelle e il falasco, e nei fossi i giaggioli selvatici. Alberi pochi: dove il terreno era più alto, dov’era un po’ più asciutto, qualche bel pioppo. Ma il resto era brullo, per tutta la striscia di terreno che era proprio confine delle due province, dal mare fino alle polle del monte.

(Enrico Pea, La maremmana, Vallecchi, 1945, pag.8-9)

Ai confini della spiaggia versiliese, che è la plaga più bella del mondo, c’è una palude che par Maremma, senza malaria, distesa tra il mare e i monti che non sono lontani. I monti Apuani paurosi, con le visibile cave aperte: squarciate caverne insanguinate lungo i costoni. […] Sulla montagna bella dintorno, tutta color viola al tramonto. Da quelle viscere escono da secoli i marmi per le statue, per gli altari alle chiese, ornamenti ai palazzi, tombe per i grandi e per i cari.

 (Enrico Pea, “Maremma del Cinquale”, 1938 – Memorie e fughe 1926-1958 – pag. 21 -  Edizioni ETS – 2001)


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