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Enrico Pea, Storia della fuga – Lammari

Da Paolorossi
Lammari - San Cristoforo

Lammari – San Cristoforo

Offendendo la Provvidenza, il 24 aprile ci mettemmo in viaggio con le masserizie alla volta di Lammari, che è una pianura a sette miglia fuori Lucca. Pianura aperta, distesa fra due opposte sponde di monti: che distano, gli uni dagli altri forse venti chilometri. E mentre quelli dietro cui vediamo sorgere il sole, rimpiattano Ponte a Moriano, i Bagni di Lucca, le strade che conducono al Brennero, gli altri monti dirimpetto a questi, son proprio quelli, e la continuazione di quelli: «Per cui i Pisan veder Lucca non ponno».

Campagna fertile è questa. Intricata di canali rettilinei manufatti dall’uomo, (come si dice siano i canali nella luna), per cui tutta è irrigata la terra del comune più vasto d’Italia, onde, nulla prodotto brucia nel campo durante la torrida estate.

Piccolo, il paese, presso la Chiesa, ché le case in questa campagna sono sparse e non hanno alberi intorno, per via delle aie su cui stendono le granaglie ad asciugare: a incorporarsi di sole e a seccare.

Nemmeno le strade hanno alberi, e d’intorno ai poderi lo stretto numero di piante utilitarie, fanno da pali ai tralci dell’uva, e producono foglia per i bachi da seta.

Lammari

Lammari

(Enrico Pea, “Storia della fuga (La Cincia)”, 1948/1953 – Memorie e fughe 1926-1958 – pag. 78 – Edizioni ETS – 2001)


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