Mai gli Enslaved ci avevano fatto aspettare tre anni tra un full lenght e l’altro, senza peraltro neanche molcere l’attesa con qualche intermezzo come avevano fatto prima del disco precedente. Non che questo abbia cambiato molto le cose, perché come già detto gli episodi minori della discografia recente degli Enslaved seguono un’evoluzione diversa rispetto a quella della discografia maggiore, diciamo così. In Times è, difatti, il figlio naturale di RIITIIR, di cui prosegue un cammino lungo ormai quasi venticinque anni e che vede i norvegesi proiettati senza freni verso un’unicità che continua a stupire non tanto da un punto di vista strettamente stilistico (di questo ormai non ci stupiamo più da parecchio) ma più che altro per il suo mantenere sempre livelli altissimi senza mai scadere. E così ci ritroviamo nell’anno 2015 a sprecare comparativi assoluti o quantomeno di maggioranza per il nuovo disco degli Enslaved, cosa che facciamo ormai da quando il blog è nato, e anche da prima.
Ci eravamo esaltati per l’opener Thurisaz Dreaming, diffusa online un paio di mesi fa, sperando che fosse rappresentativa di tutto l’album. Così è, ma In Times offre addirittura episodi migliori. Uno tra tutti è proprio la successiva Building With Fire, un perfetto esempio di come gli Enslaved sappiano coltivare la propria vena melodica senza remore ma soprattutto riuscendo sempre a coniugarla sia con la propria parte estrema sia con la propria storia. Una storia che, volendo procedere per categorie temporali, parte da Isa, il primo disco con questa formazione: se anche precedentemente c’era già abbondantemente stata un’evoluzione in senso, non so, avantgarde?, dopo di esso la suddetta evoluzione prende corpo in modo più coerente e inizia a svilupparsi sfruttando anche le caratteristiche dei singoli membri della formazione. Sarebbe impossibile, adesso, immaginarsi gli Enslaved senza Arve Isdal, Cato Bekkevold e Herbrand Larsen: specialmente l’arrivo di quest’ultimo ha dato molta più profondità al sentire degli Enslaved; sia per la sua splendida voce sia per il suo modo molto personale e rarefatto di interpretare l’atmosfera dei pezzi dietro alla tastiera.
Detto questo, io la settimana prossima li andrò a vedere al Roadburn, in cui suoneranno DUE VOLTE. Suoneranno DUE VOLTE anche i Fields of the Nephilim, ma questo è un altro discorso. Non rimango lì a lasciarmi morire solo perché il 6 maggio vengono i Blind Guardian a Roma ed è già uscita la scaletta del tour. Peraltro quest’edizione del Roadburn è stata curata da Ivar Bjornson, quindi Metal Skunk deve per forza presenziarvi, essendo noi l’ufficio stampa non ufficiale degli Enslaved.