Carlo Verdone è un genio e nel suo attento studio dei caratteri umani ha saputo cogliere un aspetto che riguarda molti tipi umani e l’ha raffigurato caricaturalmente nella figura di “Furio”.
“Furio” può avere varie facce e svolgere professioni o mestieri diversi, ma sempre ha una connotazione ossessiva, paradossale che, in percentuale diversa, da un’impronta inconfondibile al suo agire: da lì nasce il personaggio di Verdone che suscita il riso e lo sconcerto perché il suo Autore ne fa, appunto, un’immagine caricaturale, quindi estrema.
Quello che fa ridere di più è il rapporto di Furio con la malcapitata che lo ha sposato, dipinta come una vittima che, nel caso estremo interpretato da Veronica Pivetti, si getta in mare suicida per sfuggire al suo inconsapevole aguzzino.
Oppure, come in un altro episodio, fugge con un bel tenebroso che la insidia lasciando persino i figli o, anche, in una delle prime scenette in cui Verdone abbozzava il personaggio, egli parla alla moglie che non gli risponde ormai più, annichilita dalla sua incapacità di percepire le esigenze dell’altro, e lui si risponde per lei, ottusamente inconsapevole dello stato di depressione in cui l’ha gettata e, in tale scenetta, Verdone interpreta anche il figlio di Furio il quale, uscito il padre, si rivolge con lo stesso metodo alla sempre più annichilita madre che, tristissima, continua a sferruzzare muta, e le dice con foga: “Io con quell’uomo non voglio parlare più, capito? Io quell’uomo non lo sopporto più!” Poi, senza aspettare risposta, esce dimostrando in sostanza di essere “Furio” anche lui.
Ora, come dicevo, ci sono tantissimi tipi umani che hanno in sé in percentuali diverse “Furio”: io conosco una moglie di un “Furio” il quale è posseduto da questa maschera fortunatamente in minima percentuale, ma è anche lui inconfutabilmente un “Furio” !
Vorrei prendere spunto dagli innumerevoli episodi che “La Moglie di Furio” che io conosco vive e racconta per scrivere delle gustose scenette comiche, a volte anche un po’ amarognole, per riderne insieme.
Li chiamerò “Episodi” e darò loro solo un numero progressivo.
La moglie del nostro “Furio” si chiama Elena e lui Gregorio.
Episodio I
Elena ha comperato delle graziose tendine per la cucina. Il disegno riprende i colori delle maioliche del muro. Tutta contenta le sta applicando ai vetri della finestra. Gregorio interviene con una smorfia di disgusto: “Non mi piacciono!” Elena mortificata: “Perché? Il disegno ha gli stessi colori delle maioliche e…” Gregorio insistendo con una punta di stizza: “Non mi piacciono, non mi piacciono, è inutile che insisti! Che mi debbono piacere per forza?!!” Elena sente smorzarsi la sua gioia per l’acquisto. Vorrebbe che suo marito le spiegasse perché non gli piacciono, cosa hanno di brutto. Ma lui si stizzisce sempre più e ripete con voce stizzosa e petulante e le labbra volte all’ingiù che le tendine della cucina a lui non vanno bene, che lui ne avrebbe scelte altre, lasciando la povera donna intristita nella sua ormai spenta piccola gioia. In casa è presente il padre di Gregorio, un vecchio romano da generazioni con un apporto di sanguigno sangue romagnolo, guarda stupito la scena e sbotta: “Anvedi questo!! Ma che mo’ te occupi pure de’ tende da cucina?!! Nun ce posso crede?!!” Ride con un’espressione di sarcastico stupore, mentre il figlio tace con aria risentita ma indomita guardando altrove a naso per aria, allora il vecchio si rivolge alla moglie di Gregorio e ripete ironico: ”Ma questo se occupa delle tende della cucina?” La vittima tace, teme le “furie” di Gregorio che si offende, assolutamente inconsapevole di avere invece mortificato l’innocente gioia di sua moglie criticando senza motivo la sua scelta.
Il suocero esce dalla cucina sempre ridendo e, giungendo le mani davanti alla sua fronte e muovendole avanti e indietro continua a dire: “E tende da’ cucina!! Ma te rendi conto?!! Questo se impiccia pure de’ e tendine da cucina…!!”
Da: Libero Quotidiano.it - Rubrica "Soggetti Smarriti" di Alessandro Dell'Orto
«Magda mi ha schiacciata. Non ce la facevo piùùù...»
Trent’anni fa ha interpretato la moglie di Furio in "Bianco, rosso e Verdone" «Poi mi sono ammalata e ho cambiato vita. Ma ora avrei voglia di tornare»
Magda, basta il nome. Già, proprio lei. La moglie stressata e sfinita («Non ce la faccio piùùù») del pesantissimo precisino Furio («Magda, tu mi adori? Allora vedi che la cosa è reciproca?») nel film “Bianco, rosso e Verdone” (1981). Un capolavoro. Magda - attrice di origine russa che si chiama Irina Sanpiter - dopo quel successo si è ammalata ed è sparita. Ora guida lo staff organizzativo di un manager che realizza grandi produzioni musicali in tutto il mondo.Irina Sanpiter, anzi Magda. Anzi, Irina e Magda insieme, rieccovi a 30 anni esatti da “Bianco, rosso e Verdone”. Che fine avete fatto? Perché siete sparite?
«In tutto questo tempo ho sempre rifiutato di raccontarmi in tv o ai giornali. E di raccontare Magda. Un po’ perché non avevo capito di essere un mito, non ci ho mai creduto. Un po’ perché il personaggio Magda, così forte, mi ha schiacciata».Ora che è cambiato?«Ho trovato equilibrio. E ultimamente incontro sempre più donne che mi presentano il marito: “Lui è il mio Furio”. Oppure confessano: “Hai raccontato la mia vita, come facevi a conoscerla?”. Sono loro che mi hanno convinta a parlare. E a far riapparire Magda».
Irina che ha fatto in questi anni? Perché non si è più vista al cinema e alla tv?«Difficile da spiegare... Sa...».
Se vuole, proviamo a farlo ora.«Sì, insomma, ho avuto qualche problema di salute. Guai oncologici».
Le va di raccontare? «Nel 1984, al massimo del successo e della felicità, quando tutto è perfetto, una mattina mi alzo con un rigonfiamento sul collo. Faccio finta di niente e lo copro con un foulard. Poi la verità, terribile. Linfoma a soli 27 anni».
Irina Sanpiter oggi, con la locandina di 'Bianco Rosso e Verdone'
Ora come sta?«Lotto, è difficile uscirne. Ho avuto altre ricadute. Ogni 23 giorni devo sottopormi a una trasfusione, sarò costretta a fare flebo per il resto della vita. Ma ho addosso una voglia di vivere che mi fa superare ogni difficoltà. La mia missione, quando sono in ospedale, è dare speranza agli altri, perché un malato si fida solo di un altro malato».
Come fa?«Mi presento truccatissima, con telefonino e computer come se andassi in ufficio. Mi cambio da sola le flebo e poi coinvolgo tutti. Parliamo, scherziamo, ci incoraggiamo. E quando vedo che a qualcuno si illuminano gli occhi sono felice. Fa bene anche a me stessa».
Dal successo di Magda alla malattia. Come ha affrontato un cambiamento tanto devastante?«Vivendolo come un segno di Dio. Non tutte le cose vengono per nuocere».
Cosa intende?«In quel momento, proprio in quel momento, conosco Tony Evangelisti che mi cambia la vita. Mi fa rinascere. Mi sopporta. Mi sostiene. Mi ama. Siamo inseparabili da 27 anni e lavoriamo insieme».
Sposati?«No. Anzi sì».
Tradotto?«Matrimonio in tre. Io, lui e Dio in una chiesa, giurandoci amore mentre ci guardavamo negli occhi e ci tiravamo il riso. Il momento più emozionante della vita».
Irina, diceva del lavoro.«Tony è un manager producer, organizza grandi produzioni musicali con i cantanti più famosi a livello mondiale. Io faccio da consulente per gli artisti e, quando riesco, guido lo staff organizzativo. Ho la fortuna di conoscere i personaggi per davvero, come sono realmente senza barriere».
Qualcuno che non dimenticherà mai?«Billy Preston, il Quinto Beatles. È morto quasi di fame, abbandonato da tutti. Lui che ha composto “Let it be”...».
Beh, veramente l’avrebbe composta Paul McCartney.«Me l’ha confidato Billy. Raggiunge gli altri in sala d’incisione mentre stanno cercando di impostare il brano, ma senza riuscirci. Lui si mette al piano: “Ma è così facile, sentite qui!”. E trova l’armonia che conosciamo tutti».
Urca. Altri incontri da sballo?«Nel 1987 io e Tony rientriamo dagli Usa e c’è da organizzare un concerto in Italia. Proponiamo un gruppo sconosciuto, ci prendono per matti. Ci imponiamo e nasce il successo dei Gipsy King. E da quel momento mi innamoro della cultura gitana fatta di rispetto per gli anziani e attaccamento alle origini. Ma quella volta con il Papa...».
Cioè?«Nel 2000 stiamo preparando il Giubileo Giovani e andiamo ad un incontro con Wojtyla per presentare il progetto. Spieghiamo che avremmo pensato di fare musica gospel. Ci guarda scuotendo la testa. “No, a me serve che i giovani si avvicinino alla Chiesa e per farlo bisogna parlare la loro lingua. Ma quale gospel? Voglio che organizziate un concerto rap!”».
Meraviglioso. A proposito di giovani, torniamo alla piccola Irina Sanpiter.«Nasco a Mosca il 27 settembre 1957, figlia unica, brava ragazza».
Famiglia povera?«Come tutte, un pezzo di pane per pranzo e cena. Ma grande voglia di cultura. A 13 anni, alla mia scuola, cercano una comparsa per un film, mi scelgono ed entro nel vortice del cinema. Per lavorare però sono obbligata a studiare, così mi diplomo presso il Theatre Maly e a 22 anni sono obbligata a laurearmi in Scienze Politiche, 64 esami che in Italia mi valgono tre lauree».
Scusi, perché obbligata?«Quelli sono gli anni di Breznev. Del comunismo. Il regime pensa che un attore, interpretando diversi personaggi, dia sempre un messaggio politico e dunque debba essere preparato».
Altre imposizioni del comunismo?«L’essere atei. Tra i 64 esami universitari sono obbligata a dare anche quello di ateismo!».
Come si vive in quella Russia?«Bene, giornate frenetiche e intense, nessun tempo per andare in disco. E poca tv, perché ci sono solo i tre canali di Stato...».
Perché decide di venire in Italia? «Mio zio Giorgio Arlorio vive a Roma e fa lo sceneggiatore: come premio per la laurea mi regala un viaggio qui».
Primo impatto?«I profumi. Quelli dei fiori, dei pasticcini e della mortadella».
E la giovane Irina a Roma che fa?«Vado a spiare le riprese de “La città delle donne” di Fellini, poi vado a vedere la scuola di Proietti. Finché un giorno mi dicono che stanno cercando una ragazza russa per fare la comparsa nel film “Bianco, rosso e Verdone”, per l’episodio di Mimmo e la scena dell’interprete all’Autogrill. Mando due fotografie in bianco e nero, terribili. E mi scartano».
E poi che succede?«Anche se brutte, sono le uniche due foto che ho e mi servono. Così vado a Cinecittà per riprenderle. Busso, c’è una riunione. Apre Sergio Leone e mi fa aspettare. Dopo un po’ riappare, parla da solo. Borbotta: “Non riusciamo proprio a trovare la protagonista, no”. Alza la testa e mi vede ancora lì: “Ti va di provare? Il tuo turno è tra quindici minuti”. Capito? Mi offre a sorpresa la possibilità di fare la protagonista!».
E lei?«Terrorizzata, vedo passare Ornella Muti e Isabella Rossellini, che hanno appena finito il provino. Non so che fare. Parlo male italiano e in quindici minuti non riuscirò nemmeno a capirla, la scena. Figuriamoci impararla a memoria. Chiedo di leggerla ad alta voce a un aiuto regista. Poi vado in bagno, mi specchio e vedo in me una donna sfatta, disperata. In quel momento nasce Magda».
E la prendono.«Recito la scena dell’albergo con Angelo Infanti, lui è bravissimo e mi aiuta, mi tranquillizza. Leone è soddisfatto. Alla fine dice: “Ok, vai di là e leggi il contratto».
Molti soldi?«Pochissimi. Sufficienti solo per comprarmi un divano».
Quanto durano le riprese di “Bianco, rosso e Verdone”?«Dovrebbero essere quattro settimane, ma in autostrada ci rubano tutte le attrezzature, il maggiolone, le roulotte. E ritardiamo. E poi c’è la complicazione salute».
In che senso?«Io e Carlo ci ammaliamo, febbre alta. E a turno facciamo tappa in ambulanza per le punture di penicillina».
Un personaggio o una scena particolare da raccontare?«Antonluca e Antongiulio, i pupi. Insopportabili, esattamente come nel film! Io e Carlo ogni tanto cambiamo le battute e loro, subito: “Eh noooo! Il copione non è così!”. Terribili».
Irina, parliamo di Magda.«L’opposto di come sono io. Quando giriamo mi sembra di essere Mr Bean, devo dire solo una battuta - “Non ce la faccio piùùù” - e poi tante emozioni interiori ».
Personaggio meraviglioso, però.«Al momento non capisco che faccio ridere, sono insicura. Si girano le scene una sola volta, senza riprovare, a presa diretta, e penso sempre di non essere all’altezza. Quando mi annunciano che sarò doppiata è un sollievo».
La voce è di Solvejg D’assunta.«Bravissima. Idea geniale di Leone, l’accento piemontese fa la differenza e rende il personaggio più succube».
Magda, stressata dal marito Furio, alla fine del film fugge con il play boy Raoul, cioè Angelo Infanti.«Persona meravigliosa, Angelo. Indimenticabile. Non ho avuto il coraggio di andare al suo funerale».
Irina, torni per un attimo nei panni di Magda. E provi a immaginare quello che sarebbe successo se il film fosse andato avanti con la storia...«Guardi, Magda sarebbe stata con Infante al massimo una notte. Ma senza fare sesso. Poi sarebbe tornata da Furio».
Lo racconta come se lei non condividesse la sua scelta di fuggire.«È così. Come si fa ad abbandonare due figli?».
Irina, il film è subito un boom. La soddisfazione migliore?«Proiezione privata a casa di Monica Vitti. Restiamo io e lei, sole, in cucina. Mi confida: “Irina, potresti essere la mia erede”».
Complimenti. Dopo “Bianco, rosso e Verdone”, però, non si ripete.«Resto imprigionata in un personaggio importante. Unico. Inarrivabile. Accetto altri lavori, come la Lucia de “I promessi sposi” per la tv. Un flop. Poi una serie di commedie Anni ’30 francesi fatte in diretta su Rai1 la domenica pomeriggio, con Celi e Dapporto. Meravigliose. Dopo tre anni, però, la malattia. E mollo tutto».
Ultime domande. 1) Attrice preferita?«Monica Vitti».
2) Qualcuno che vorrebbe riabbracciare?«Mio padre Igor, morto un anno fa».
3) Rapporto con la religione?«Serio. Sono stata atea fino al ’93, poi ho incontrato la prima volta Papa Wojtyla ed è cambiato tutto».
4) Paura della morte?«No. Ci sono stata vicina già due volte. Sono preparata».
5) Rapporto con il sesso? «Divertente».
Ultimissima. Irina Sanpiter ha un sogno?«Aiutare l’Associazione oncologica, in qualsiasi modo. Magari rispolverando proprio Magda. Sarebbe bello festeggiare i 30 anni del film facendola apparire ancora con Carlo. Oppure in uno spot pubblicitario. O, perché no, a una trasmissione tipo “Ballando con le stelle”».