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Epistemologia della morte

Creato il 13 aprile 2014 da Claudia Stritof

La parola morte è una parole difficile da pronunciare. Pochi giorni fa sono riuscita a pensarla per la prima volta dopo tanto tempo. E’ stata la prima volta dal giorno del funerale di mia sorella, ma ancora non sono mai riuscita a pronunciarla. Piuttosto dico: “è andata via” come se fosse in viaggio, e in parte è vero: forse una nuova vita da intraprendere, forse l’inizio, forse la Fine del viaggio. Ancora non l’ho pronunciata, ma il fatto di averla scritta e pensata mi ha fatto riflettere.

Per curiosità sono andata a spulciare la definizione di morte nella Treccani. Una descrizione semplice e scientifica della morte

“Cessazione delle funzioni vitali nell’uomo, negli animali e in ogni altro organismo vivente o elemento costituito di esso: è in lutto per la m. di un fratello; l’afta epizootica ha causato la m. molti bovini [...]. Da un punto di vista biologico, la morte si può considerare come l’estinzione dell’individualità corporea, non tanto dei singoli elementi che la compongono, quanto delle necessarie correlazione tra organi e funzioni”

Tutto così preciso e lineare, l’epistemologia della morte. E’ una cessazione dell’individualità corporea, e fin qui tutto chiaro, il corpo muore perchè le sue funzioni vitali cessano. Ma allora mi sorge una domanda: “perchè è così difficile dire questa parola?”

Quando si entra in contatto con la morte, pronunciare questa semplice parola diventa uno scoglio insormontabile. Le teorie sul dualismo “anima e corpo” sono molteplici e risalgono all’alba dei tempi.

Tante teorie, tante perdite e tante riflessioni sono state fatte nel corso dei secoli. Nel mio intimo ho sempre pensato alla morte e come questa fosse presente nella nostra vita, fin da piccola (all’epoca ero anche una darkettona pensierosa e borchiata) ho riflettuto su di essa ma quando il Tristo Mietitore sopraggiunge con il suo manto nero è sempre inaspettata, a maggior ragione quando essa è prematura.

Allora come si affronta? Come si supera il dolore? Come si trovano le risposte a domande universali? Come si placano i pensieri? Cercando in un blog ho trovato un altro paranoico che come me che si poneva altre domande sulla morte e un tizio ha risposto: “Prima di tutto, scialla! E viviti la vita”. Forse ha ragione lui, così con spensieratezza… espresso con un neologismo alquanto odioso ma che esprime bene il concetto che ognuno di noi dovrebbe ricordare sempre.

Secondo me, l’unica risposta che ci può essere è la riflessione. L’altro giorno sono andata con un mio amico, Giuseppe in un sito archeologico non distante dal mio paese, agli scavi del tempio dorico di Kaulon a Monasterace. All’inizio eravamo un pò increduli dell’erbacce e da come si debba giungere al sito attraversando la statale lasciando la macchina sul ciglio della strada in curva. Nonostante queste incoerenze della terra in cui sono nata, è stato bello. Abbiamo scherzato e fatto qualche deduzione da finti-archeologi e ad un certo punto è arrivato il momento sigaretta ed è lì che mi sono realmente voltata a guardare il mare. All’improvviso mi ha colta una sensazione che non mi capitava da un pò di tempo: di tranquillità e di immobilità atemporale, non quella vissuta fino ad oggi con la paura di quello che sarebbe successo, ma di immersione nella storia senza tempo, il che potrebbe sembrare una contraddizione, ma è stata proprio quella la sensazione.

Il tempio si trova a 100 m. dal mare su una all’altura mettendosi di spalle a quella che un tempo era l’entrata davanti ai nostri occhi si ha la visione dello Jonio in tutto il suo splendore, nonostante quel giorno la giornata uggiosa lo ricopriva da una leggera coltre grigia. Lì ho iniziato a pensare alla storia e di come nel V sec. a.C questa terra era diversa, non c’era la statale e lì era presente quel tempio in pietra che si stagliava sul mare e che meravigliosa visione doveva essere per chi giungeva con la nave a Punta Stilo. Lì per la prima volta ho pensato alla parola morte, mi è sorta così dal nulla. Forse perchè ero tranquilla, forse perchè avevo la mente sgombra da altri pensieri o forse perchè ho pensato alla storia che va avanti e al tempo che mai si ferma.

Nell’ultimo periodo sono stata immobile, solo da qualche giorno ho iniziato a capire. Molti i consigli e le chiacchierate con amici in questo strano periodo; una sera incontrando Natty, un amico passato dal mio paese perchè in tour con la band, lui mi ha fatto capire che il tempo scorreva e che io mi ero immobilizzata nei pensieri, trascurando la mia “anima e il mio corpo”.

Anima e corpo una dualità inscindibile, ma fino ad un certo punto. Sul dove vada l’anima dopo la morte non si sa, ognuno ha la sua fede e le sue credenze ma nel presente queste sono legate in modo univoco. Io stavo trascurando “l’anima vivente”, e così come me molti altri a cui succedono cose inaspettate; ci si dimentica di vivere e si dimenticano le proprie passioni.

Ancora non ho raccolto i miei pensieri, ma da qualche giorno sperimento, faccio cose nuove e cose che per stanchezza mentale non facevo, come semplicemente leggere un libro sotto il sole del sud.

Tiziano Terzani ci spiega la vita attraverso lo yin e lo yang. L’universo e l’armonia degli opposti sono la vita, la regolano e dovremmo sempre ricordarlo, ogni tanto si dimentica, ma leggere e vivere ce lo fa ricordare.

“Non c’e acqua senza fuoco, non c’e maschio senza femmina, non c’e notte senza giorno, non c’e sole senza luna, non c’e bene senza male e questo simbolo dello yin e dello yang è perfetto, perchè il bianco e il nero si abbracciano e all’interno del nero c’e un punto bianco e all’interno del bianco c’e un punto nero. Questa è una faccenda sulla quale non riflettiamo mai, noi che perseguiamo il piacere in ogni modo, non c’e piacere senza sofferenza e non c’e sofferenza senza piacere. Solo quando capisci questo godi del piacere e accetti la sofferenza”.

Queste parole molti le hanno lette, molti le hanno citate, molti non le conoscono ma sono una spiegazione efficace di quella che è la vita, anche se spesso è difficile attuarle perchè il dolore a volte ci fa dimenticare e non vedere il bello e il piacevole. Che sia con una grossa risata o con una sigaretta fumata con un amico di fronte al mare sconfinato o una chiacchierata con un negroni in mano alle due di notte, alcune volte basta lasciarsi andare, anche solo per qualche secondo, per rivedere il bello e risentire la propria anima. Non è detto che questo stato duri ma sono piccole sensazioni che accrescono la nostra vita, la sua accettazione e alimentano i nostri sentimenti.

Molti mi chiedono come riesco a confidare, seppur una piccola parte dei miei pensieri al blog ma la risposta è semplice perchè credo nella condivisione dei sentimenti e dei pensieri, credo che la vita possa far riflettere e credo che le riflessioni egoisticamente mi facciano bene perchè ho avuto sempre l’esigenza di comunicare ciò che mi passava per la testa. Credo che la scrittura come l’arte ci insegni a capire per quel poco che è possibile la vita e i comportamenti umani. Il peso da portare sulle spalle di ognuno di noi cambia da persona a persona, ognuno ha i propri scheletri, i propri ricordi e i propri pensieri, l’importante è che con il tempo si impari a convivere con essi e il loro peso non ci schiacci e non ci tolga il respiro per vivere e affrontare le giornate. Le domande rimangono… e a molte di queste non c’e risposta. Ma alla morte si risponde con la vita, come fosse un calcolo matematico dai risultati impossibili da prevedere. Come sostengo sempre l’arte alcune volte non viene capita ma basta aprire gli occhi e stare in silenzio per poco tempo per lasciarsi trasportare da ciò che essa vuole comunicarci e coglierne gli insegnamenti.

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Marina Abramovic, Carrying the Skeleton” (2008).

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