Il sordo del Quirinale a cui si deve la tessitura di questa sconfitta della politica, ma del Paese nel suo complesso, forse non ha sentito nulla, gli è sfuggito l’epitaffio per i partiti, per un’era e per se stesso. Il Pd si è suicidato, il Pdl e soprattutto il suo padrone fa finta di essere vivo mentre marcisce: il successo dei cinque stelle non è stato utilizzato per il cambiamento, né, com’era ovvio dai cannibali del Pdl, ma nemmeno da un Pd succube delle culture conservatrici che si è tirato in casa e dei famelici apparati divenuti succedanei delle idee e dei progetti. I grillini stessi hanno fatto di tutto per marginalizzarsi per non impostare una strategia vincente ed è anche comprensibile: inesperienza, confusione, mancanza di un coordinamento politico. Certo, ma almeno stando ai dati che abbiamo paiono in ritirata ancora più evidente rispetto al Friuli salvo che in Emilia Romagna. Come si diceva una volta, Grillo se ne ricorderà, ogni lasciata è persa.
Non possiamo che prenderne atto. Ma le sorti e la presa del movimento di Grillo significano soltanto che altri o loro stessi dovranno essere più determinati e duri, che si annunciano tempi burrascosi per la salvezza di una democrazia suicida per immobilismo cialtrone e artrosi degenerativa. Non possiamo consolarci perché Marino, candidato per altro anomalo nel contesto piddino, è in testa a Roma: in nessun Paese al mondo un figuro come Alemanno avrebbe avuto la faccia di ripresentarsi alla stessa carica che ha disonorato. E’ forse il segnale peggiore, quello di una legittimità che vacilla tra i salvacondotti di Berlusconi e la protervia dei suoi piccoli boiardi di malaffare, tra il tirare a campare di molti e il baratro che si allarga. Se tutto questo non cambia e in fretta dall’astensione, dal suggerimento che i partiti hanno dato e cioè che il voto è inutile, si passerà ai fatti.