E’ da tempo ormai che provo a capirci qualcosa. mi ci sto spaccando la testa. E’ una sensazione che ogni tanto sparisce, ma sempre più spesso riaffiora tra i miei pensieri, in ogni cosa che faccio e dico e soprattutto quando sono in procinto di prendere qualche decisione. E’ una tenaglia che prende testa e stomaco e le butta come in vortice dove io non capisco più cosa sono e dove voglio andare.
Ho sempre pensato che fosse solo colpa mia. Io che mi stufo di tutto, che nella vita ho cambiato mille lavori e altri mille ne vorrei fare, che non riesco a portare a termine nessun progetto e ne inizio a decine. Sono io, solo io la colpevole del mio strano destino. Siamo noi i soli responsabili. Siamo noi gli attori principali del palcoscenico della nostra vita e sta a noi decidere se inscenare una tragedia o una commedia, le quali come tutti sanno si distinguono da come iniziano e da come finiscono.
Però non è solo questo. C’è qualcos’altro e io forse l’ho capito.
Io penso che anche la Storia e la Società ci abbiamo messo il “carico da dodici”. Perchè tra la mia generazione “precaria” e quella passata, quella dei miei genitori, io non vedo solo differenze temporali, non mi basta sapere che loro hanno vissuto il boom economico e stavano bene e noi poveri sfigati siamo cresciuti praticamente nella crisi e con quella dovremo convivere per ancora tanto tempo. Perché la malinconia che abbiamo dentro tutti non deriva dalla crisi economica, dal precariato o altro. Certo, tutto cio’ non pu0′ che influire negativamente sul nostro stato emotivo. Ma io da qualche tempo ho quasi capito che forse non è tutto qui.
C’è una differenza abissale tra noi e i nostri genitori. E me ne accorgo guardando i miei e quelli degli altri, guardando uomini e donne sconosciuti che potrebbero essere coetanei dei miei e appartenere quindi alla loro generazione. Guardo come si comportano e allora forse capisco.
Genitori che hanno lavori semplici e portano avanti il loro tran tran quotidiano: chi ha il negozietto, chi lavora come impiegato, chi ha una piccola azienda famigliare e così via. Lavorano, poi arrivano a casa alla sera, cena in famiglia, un po’ di chiacchiaere e poi a nanna che domani si ricomincia. Il week end si passa insieme alla moglie o al marito e magari i figli li vanno a trovare. Quei figli a cui loro hanno dato la vita e qualche generoso risparmio (capita spesso) messo faticosamente da parte per comprar loro la casetta.
E loro sono contenti così. I figli sono felici e sistemati? Loro sono contenti. Si mangia insieme la domenica? Loro sono contenti il doppio.
Avranno i loro problemi, le loro sofferenze quotidiane e i loro casini. Ma non vivono nel costante affanno in cui viviamo noi. Non vivono nel dubbio della decisione, del tipo vado o non vado, parto o non parto? Accetto quel lavoro o mi tengo questo? Mi sposo o non mi sposo? Lo faccio il bambino o aspetto?
I nostri vecchi non si sono mai fatti troppe domande. La strada era più o meno sempre quella: si trova un lavoro, ci si fidanza, matrimonio, figli, pensione, nonni. E poi via, grazie a tutti è stato bello.
Noi che strada abbiamo? Ne abbiamo una? O ne abbiamo mille? Quante porte aperte, quante opzioni, quanta libertà di scelta abbiamo noi che loro neanche si sognavano?
Fa male avere troppa libertà? Sto bestemmiando, vero?
E io invece penso che forse avrei voluto avere una o due strade a disposizione perchè almeno ero sicura di non sbagliare. Vigliacca che sei, penserete. Forse avete pure ragione. Ma quando hai troppe porte da aprire a disposizione, quando hai troppa libertà di scelta alla fine non scegli davvero o rischi seriamente di sbagliare.
Quanti si sposano sapendo che tanto eventualmente c’è il divorzio? Quanti non prendono precauzioni durante i rapporti sessuali perchè sanno che tanto entro tre mesi si pò’ abortire? Quanti mollano lavori sicuri per andare a fare qualcos’altro di cui non sanno nulla ma solo per lo sfizio di provare e vedere che succede? Quanti cambiano corso di laurea in continuazione perchè sono stufi o prolungano all’infinito la preparazione della tesi perchè tanto ci sono mamma e papà?
Io mi ricordo ancora una mia ex compagna delle medie che avevo incontrato anni dopo all’università: facevamo lo stesso corso di laurea e io mi ero iscritta due anni dopo di lei, anche io vittima delle troppe scelte, ho preferito lavorare subito dopo il diploma ma poi mi sono stufata e mi sono rimessa a studiare….in poche parole, io mi sono laureata prima di lei, benchè avessi iniziato dopo. Perchè? Non ero io il genio, era lei che ( e lo ammetteva pure) la tirava per le lunghe visto che era mantenuta dal papà dottore in una casa stupenda tutta per lei nel quartiere più bello di Genova.
Io non parlo della crisi del nostro sistema che ci ha reso precari nel mercato del lavoro. Io penso che siamo precari dentro. L’equilibrio è precario perchè tendiamo in tutte le direzioni, abbiamo tante possibilità da cogliere, tante porte aperte e vorremmo entrare in tutte e poi magari tornare indietro e aprirne altre senza farci male.
Abbiamo paura delle conseguenze, qualsiasi esse siano, per questo non entriamo da nessuna parte con la giusta convinzione.
Me la sono immaginata tante volte questa scena. Giovani messi di fronte a tante, troppe porte.
Mettiamo un piede avanti all’altro, giriamo la maniglia della porta scelta sudando freddo, la apriamo di qualche centimetro, sbirciando dentro per vedere che c’è e tenendo ben saldo uno dei due piedi nella stanza dove siamo adesso e che ci da in qualche modo sicurezza. Poi decidiamo di entrare. Piano, lentamente, con passo incerto apriamo la porta quel tanto per passare e la chiudiamo dietro di noi adagio, per non fare rumore.
E una volta dentro avanziamo incespicando e proviamo a vedere che succede. Mai con convinzione, mai con determinazione. Sempre sull’equilibrio precario che pure mentre siamo a metà ormai di quella stanza ci fa voltare indietro verso la porta che ci siamo chiusi alle spalle, per vedere se magari si puo’ rientrare…oppure ci guardiamo avanti per vedere se c’è qualche altro uscio da varcare. E nel mentre ci perdiamo la stanza dove siamo adesso, non capiamo quello può darci perchè sappiamo che ce ne sono tante altre da scoprire…. e pensiamo che la vita è una che diamine! E uno non vuole vivere di rimorsi o rimpianti, giusto? (e chi mi fa la domanda se è meglio vivere di rimorsi o rimpianti lo insulto perchè è la domanda più stupida del mondo).
Magari mi sbaglio, ma se fossimo un po’ più sicuri di noi stessi e di quello che ci piace, se avessimo ben chiari in testa quali sono i nostri obiettivi forse non vivremmo in questo costante limbo, in questo perseverante timore di non fare la scelta giusta e non poter più tornare indietro per rimediare.
E io sono la prima a cui rivolgo questi pensieri. Perché non passa giorno in cui io non rifletta su queste mie insicurezze, paure, timori…ma di cosa? Di cosa vorrei sapere! Di sbagliare? Tutti sbagliano, tutti cadono e poi si rialzano e ricominciano…ma qual’è il problema?
Vorrei sapere davvero dove sta il problema, dov’è il marchingegno nella mia testa che ha smesso di funzionare e perchè ha smesso di funzionare.
Venerdì sera sono scoppiata in lacrime davanti al mio ragazzo perché non capivo la fonte di tutta questa malinconia. Pensavo alle scelte che ho fatto in passato, ai mille lavori che ho cambiato invece di tenermene uno ben saldo e provare a crescerci dentro. Ho vissuto dall’altra parte del mondo per cercare serenità ma alla fine sono tornata indietro. Sempre con la solita malinconia, con quel senso di insoddisfazione latente che si trasforma in ansia e ti fa vedere cose che non ci sono o capire cose diverse da come sono in realtà.
E non ditemi che è il paese, il governo ladro, la crisi etc…questi sono contorni che aggravano, ma non sono la causa. Perché anche chi ha tutto, sta male. Anche i nostri coetanei che hanno il lavoro, la casa e la macchina, stanno male. Vivono anche loro questo senso di inquietudine.
Non siamo mai contenti. Siamo la generazione degli insoddisfatti perchè abbiamo troppo da soddisfare e le cose semplici non ci bastano più.
Siamo affamati e pazzi, proprio come ci vorrebbe il defunto Steve Jobs (non devo dirvi chi è, vero?
). Solo che lo siamo nel modo sbagliato…non giriamo questa fame verso quello che vogliamo davvero, verso un obiettivo unico, ma la disperdiamo nella brama di dover assaggiare un po’ di tutto, senza mangiare davvero mai nulla sul serio, assaporarlo fino in fondo e solo allora decidere di rigettarlo o mangiarne ancora perché ci fa star bene. Noi ci fermiamo prima. Noi nemmeno gustiamo quello che abbiamo in bocca che subito vogliamo assaggiare qualcos’altro, perché la tavola delle occasioni e delle opportunità per noi figli del terzo millennio è imbandita ben bene…ci sono troppi piatti da scegliere, troppi menu, troppe combinazioni, ma alla fine quello che rimane in bocca è un gusto amaro, amarissimo.Vorrei avere poche combinazioni da scegliere, poche porte da aprire. I miei vecchi mi direbbero che sono stupida, che magari loro avessero avuto le opportunità che abbiamo noi, che loro avevano i denti senza il pane e noi il pane senza i denti.
Ci mancano i denti, perché di pane ne abbiamo fin troppo secondo me. Ci mancano le palle, direbbe qualcun’altro. E forse è vero.
Perché oggigiorno scegliere una strada e seguirla fino a che non ti porta a qualcosa di buono, senza abbandonarla durante il tragitto, senza disperdere le tue energie in altre cose, è una missione impossibile. Ci vogliono, per l’appunto, le palle. I denti.
Chiamateli come volete.
La Maga sdentata