Magazine Diario personale
Era Meglio morire da piccoli. (Non avremmo dovuto rispondere in eterno alla solita, inopportuna, impertinente domanda).
Da Danielabigi81In genere nemmeno da grandi, lo sappiamo mai, cosa vogliamo fare da ancora più grandi (...De senectute, quindi?)
Non capisco anche questa pessima abitudine che la gente ha di farcela da piccoli LA domanda, aumentando notevolmente la difficoltà di risposta.
Almeno, se ce la facessero da grandi, qualcosa da raccontare lo troveremmo.
O comunque potremmo improvvisare. Insomma, qualcosa da dire ti viene. Anche solo per un dovere etico verso il proprio ego. Per dovere di cronaca. Unitamente a qualche conoscenza/esperienza in più in merito alla gestione dello stress, alla risoluzione dei problemi e a un comportamento sociale politicamente corretto.
O anche solo perchè ti insegnano che alle domande bisogna rispondere. (Non mi è mai piaciuto chi barra la casella: "non sa/non risponde").
Io, a 14 anni, non lo sapevo cosa volevo fare da grande. E nemmeno ora, a 29, lo so cosa voglio fare da grande. (Sperando intanto che questo "grande" non arrivi entro breve, chè potrebbe cogliermi impreparata, con tutta probabilità).
C'è pero' che, a 29 anni, se ti chiedono cosa vuoi fare da grande (ahimè non te lo chiede mai nessuno, nel momento che forse ci salti fuori con la risposta. D'altra parte è sempre così, la vita) riesci perlomeno a delimitare meglio il campo, o comunque a dare meno possibilità direzionali al tuo destino: magari sono "solo" 2 o 3 misere opzioni e non più, come a 14 anni, una ventina: la dottoressa, la circense, la disegnatrice di tatuaggi, l'avvocato, la sindacalista o, eventualmente, l'insegnante di nuoto.
Delimiti di piu' il campo, sì, ma non perchè hai deciso, a 29 anni, no, non hai ancora deciso un cazzo di niente, semplicemente perchè hai visto che il tempo stringe, ti corre dietro come in una maratona infinita.
Hai dovuto e voluto provarti la temperatura, hai voluto vedere fino a quanto lontano riesci a correre e quanto veloce lo fai, hai dovuto entrare nella vita e rimboccarti le maniche, hai dovuto fare vedere che sai essere indipendente-autonoma-forte-determinata e - di conseguenza - hai fatto delle scelte che ti hanno portato verso una direzione che, nel suo diventare, ne ha escluse, impedite (e cancellate per sempre, con grande rammarico) centinaia di altre.
Agli albori della mia infanzia, avrei voluto aprire una cartoleria, in quanto amante di quaderni-blocchi-biro-pastelli e tutto ciò che serve per scrivere e disegnare. Poi, vedendo quello di fianco a scuola - che doveva sorbirsi tutte le lamentele dei genitori dei bambini che reclamavano il lapis numero 3 HD con punta medio-fine e il tratto-pen con il codice H7UYF - proprio quello eh - decisi che no, non faceva per me.
Dopo, mi venne la grande idea di fare la disegnatrice di tatuaggi e lavorare come assistente a Lauro Tattoo. Possibilità scartata nel momeno in cui capii che sarebbe stato troppo truce per me vedere tutte quelle operazioni di tatuamenti, scarnificazioni e innesti di piercing in ogni parte del corpo.
Mi viene un po' il vomito, ecco.
Poi optai per filosofa, chè io lo amo Kant e tutta la stirpe dei grandi pensatori.
C'è che non fa per me la vita da eremita. Ho paura di stancarmi, lassù sulla montagna, se non venisse poi a trovarmi nessuno. Vivrei di ortaggi e frutta di mia coltivazione (quindi, di stenti), poi - passati quei 6 mesetti buoni - andrei al Lidl a fare scorta di superalcolici e finirei distesa nella prima siepe a cantare Loredana Bertè. Non voglio mica la luna. No.
Un pochino, mi conosco.
Successivo fallimentare periodo in cui decisi di fare l'artista, ma - ahimè - scelsi la scuola magistrale, senza peraltro essermi mai fatta sfiorare dall'idea di insegnare Qualcosa a Qualcuno. Perlamordidio.
Dopo i miei 2 giorni e mezzo di supplenza alla scuola materna, e la mia brava settimana alle elementari, anche qui capii, in un arco di tempo che duro' 6 minuti netti, che non faceva per me. Non sapevo le filastrocche, non sapevo da che parte girare i neonati per cambiargli il pannolino, e i bimbi più grandi mi chiedevano aiuto a risolvere le funzioni esponenziali. (Eh? Ai miei tempi, secondo me, non si facevano. Oppure ero a casa con la varicella, quel giorno).
L'indirizzo socio-psico-pedagogico (pedagogico a parte) sentivo che era quello per me.
Eh, come no.
Fisica, matematica, latino, geometria. No, grazie.
Psicologia, sociologia, filosofia, italiano. Qui già meglio.
Alla fine, considerando le attitudini-interessi e andando un po' per esclusione (dai, chi non lo fa, di andare per esclusione con la tecnica della scelta del meno peggio, siamo sinceri. Tutti avevate già il bersaglio preciso preciso?) arrivo' l'illuminazione decisiva, anche se non proprio vincente (in quanto poi non realizzata - ma questo lo ometto, chè devo fare bella figura adesso che sono quasi trentenne) - decisi di fare la: Psicologa.
Cioè, intanto, di iscrivermi alla Facoltà di Psicologia.
Da lì a là, poi, ne passa.
Infatti.
Ho seguito un cammino irto di pericoli e ostacoli alla Facoltà di Psicologia di Parma, accompagnata ad un utilissimo soggiorno vacanze in azienda - di un anno - con l'obiettivo di imparare a rimpicciolire/ingrandire fotocopie gratis (non sembra, ma i tirocini, insegnano un sacco sulla tecnologia in fatto di stampanti, fotocopiatrici, collegamenti, porte USB, scanner).
Anno necessario per fare l' Esame di Stato. Chè se no non hai abbastanza competenza, eh.
Poi è successa una cosa.
Ho capito che no, la Psicologa io non la volevo fare.
Nè da piccola, nè ora.
Ne ho già abbastanza dei miei, di problemi
[...sapere riconoscere i problemi è il primo passo verso la guarigione...]
E poi, c'è un' altra cosa.
Ve l'ho mai detto che da grande avrei voluto scrivere?
Per dovere di cronaca, c'è anche chi ha sempre avuto le idee molto chiare in merito a cosa avrebbe voluto fare da grande.
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