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Eravamo noi: consigli di lettura

Creato il 06 ottobre 2013 da Diletti Riletti @DilettieRiletti
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Parlare di qualcosa alcuni giorni dopo che è accaduta non è “stare sul pezzo”, gli avvenimenti accadono e si consumano nello spazio del passaparola e, ai tempi di internet, questo spazio è un’infinitesima particella. Parlare dei migranti morti ora, se non per aggiornarne la conta, non avrebbe senso in quest’ottica, eppure… Eppure per metabolizzare qualcosa di così orribile e vergognoso non dovrebbe bastare un giorno, nemmeno il tempo che quei corpi distesi e coperti alla bell’e meglio finiscano sottoterra.

Il coro greco della retorica ha già levato la sua voce, chi doveva piangere in un talk show televisivo lo ha già fatto, i gretti hanno già emesso le loro sentenze, qualcuno ha esultato persino e lo ha fatto pigiando furioso i tasti del suo pc. All’orrore della morte si aggiunge l’orrore dell’offesa, e il secondo spaventa di più.

E tu, dove ti vuoi collocare?, mi sono chiesta. Non che avessi dubbi tra l’una e l’altra faccia di questa meschina umanità, ma scrivo di libri io, di letteratura. Scrivere è un modo di imprimere, che sia su carta o in rete poco importa, un segno che imprigioni un pezzo di memoria. Non dirò la mia perciò, poco importa, svolgerò solo il ruolo che mi sono scelta e parlerò di libri richiamando alla mente mia, e di chi vorrà leggere, dei ricordi che troppi scelgono di bollare, anche questi, come retorica. Due romanzi, due poesie, un articolo, perché quale sia il tempo che avete a disposizione l’importante è fermarsi a riflettere.

Esercizi di memoria

Consiglio la lettura di “L’Orda: quando gli albanesi eravamo noi” di Gian Antonio Stella. Agli inizi del Novecento chi traversava il mare alla ricerca di fortuna in America erano mio zio, tuo nonno, il suo bisnonno. Ma noi siamo diversi, no? Gli albanesi rubano, gli africani spacciano, giusto? Ebbene noi per loro abbiamo trasportato oltreoceano un fenomeno disgraziato e invasivo come un cancro: la mafia. “Non visibilmente negri” li chiamavano, ed erano parenti miei e tuoi. Ma, si potrebbe replicare, le nostre carceri straripano di questi soggetti, anche le loro che per metà erano stipate di connazionali nostri. E sono passati poco più di cento anni. La crisi odierna non fa altro che ingigantire il problema e creare mostri, mostri che sono i nostri vicini, separati da noi da due amici su facebook, che festeggiano questi morti come un po’ di “ladri in meno”. Alba dorata in Grecia, la Lega qui, e fa paura questa xenofobia strisciante che fa vanto di sé vestendosi di uno spirito patriottico che in bocca a dei separatisti fa ridere amaramente. Sporchi, neri, ladri: eravamo noi.

Consiglio la lettura di “Vita” di Melania Mazzucco. Ambientazione e tematiche simili al libro di Stella, assolutamente diversa la forma. Vi disgusta il quartiere della vostra città “colonizzato” da questa gente che non resta a casa sua? Non vi meravigliate, era lo stesso disgusto di cui erano oggetto gli abitanti di Prince Street, quartiere newyorkese abitato da italiani. Sfruttati ed emarginati, esuli non solo rispetto alla terra natia, esuli dentro perché estranei ad ogni luogo. Quando scoprirai di avere un cugino di quarto grado in America forse potrai ricordare che eravamo noi quelli a cui sputavano in faccia e di cui festeggiavano la morte.

Consiglio la lettura integrale della poesia “Gli emigranti” di Edmondo De Amicis, di cui riporto alcuni versi

Cogli occhi spenti, con le guance cave,

Pallidi, in atto addolorato e grave,

Sorreggendo le donne affrante e smorte,

Ascendono la nave

Come s’ascende il palco de la morte.

Come i migranti morti due giorni fa, gli italiani lasciavano tutto, tutta la loro esistenza, ed erano come alberi senza radici: morti. Chi scappa e fugge lo fa sorretto solo da un filo di speranza reciso da chi lo chiama invasore.

Consiglio la lettura della poesia di Dino Campana, “Il Bastimento”, che riporto di seguito, dove l’approdo è l’Argentina, altra terra calpestata da esuli italiani:

Il bastimento avanza lentamente

nel grigio del mattino tra la nebbia

sull’acqua gialla d’un mare fluviale

appare la città grigia e vela

Si entra in un porto strano. Gli emigranti

impazzano e inferocian accalcandosi

nell’aspra ebbrezza d’imminente lotta.

Da un gruppo d’italiani ch’è vestito

in un modo ridicolo alla moda

bonearense si gettano arance

ai paesani stralunati e urlanti.

Un ragazzo del porto leggerissimo

prole di libertà, pronto allo slancio

li guarda colle mani nella fascia

variopinta ed accenna ad un saluto.

Ma ringhiano feroci gli italiani.

Diversa la condizione degli italiani in Argentina, non diverso il sentimento di rabbia (ringhiano feroci gli italiani dice il poeta) di chi va via da casa sua e da ciò che ama.

Consiglio, a chi proprio non ha voglia e tempo, di dedicare pochissimi minuti alla lettura di questa voce di Wikipedia: Pregiudizio contro gli italiani.

Consiglio a me e a tutti di pensare a chi oggi parte da qui e scappa da un Paese, il nostro, che offre solo disgrazia e miseria. Ci fregiamo da tempo di essere un posto ospitale: cretinate. Nemmeno gli italiani sono benvenuti in patria, il potere deturpa da così tanti anni che quasi non gliene si fa una colpa, al sud si muore di cancro, al nord di indifferenza. E noi? E noi respingiamo l’esule e gridiamo evviva in una guerra che vede povero contro povero in singolar tenzone.

Consiglio infine la (ri)lettura de “Il Gattopardo” e consiglio di sviluppare un pensiero critico o saremo uomini soli che altri noi lasceranno morire come quei migranti che, si badi bene, non erano solo corpi sotto lenzuoli.


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