Il duello Erdogan-Demirtas
Il leader curdo Selahattin Demirtas ha insultato in un comizio il presidente turco Erdogan. In risposta quest’ultimo ha denunciato il leader curdo e ha chiuso due televisioni vicine all’opposizione e due quotidiani. E’ un chiaro esempio di come la libertà di espressione in Turchia sia sempre più un miraggio, ancor più in questa guerra fratricida col popolo curdo. Erdogan si manifesta, dunque, come l’emblema di questa libertà violata. Un dialogo inesistente. Una sottomissione violenta. La denuncia contro Demirtas è l’ultima tappa di un cammino segnato dalla censura. In Turchia si sta sempre più cristallizzando il culto della personalità del presidente Erdogan. Demirtas sarebbe stato denunciato proprio perché – nel corso di un comizio nella provincia di Mersin – ha pronunciato “parole ingiuriose e diffamatorie” nei confronti del presidente turco. La denuncia è arrivata direttamente dall’avvocato di Erdogan, Huseyin Aydin.
Le parole incriminate di Selahattin Demirtas
Stando a quanto sostenuto dall’avvocato del presidente, il leader curdo Demirtas avrebbe “adoperato parole offensive che travalicano il concetto di libertà di espressione“, e pertanto infranto l’articolo 299 del Codice penale dove si disciplina il reato di “insulto al presidente”. Sebbene la rigidità del codice turco, per molti il caso di Demirtas rientra a pieno titolo in un atto di libera espressione, che tuttavia è per buona parte ridimensionata dalla legge di Ankara.Il leader curdo avrebbe detto durante il comizio che “Erdogan vuol essere il califfo dell’Islam, ma nessun teppista può essere un califfo“. Insomma, un’analogia che non è stata particolarmente apprezzata dal presidente e ha innescato una denuncia sporta al procuratore della capitale. Nella sostanza le parole di Demirtas avrebbero ferito la dignità e l’onore del presidente, e di conseguenza prive di ogni possibile difesa. Almeno secondo la tesi dell’avvocato Huseyin Aydin, legale di Recep Erdogan.
Due emittenti televisive e due quotidiani
Ma la reazione del presidente non si è fermata alla denuncia contro il leader curdo. La polizia governativa stamani è entrata nelle sedi di Bugun Tv e Kanalturk, due emittenti televisive note per la loro opposizione al governo. La polizia ha dunque comunicato “l’obbligo di interruzione delle trasmissioni“, rendendo operative le disposizioni delle autorità di Ankara. Insieme alle due televisioni sono finiti nel mirino delle autorità anche un paio di quotidiani, Bugun e Millet. Entrambi sono controllati dall’imam Fethullah Gulen, un uomo di potere che inizialmente sostenne la politica di Erdogan per poi schierarsi con l’opposizione.
La guerra di Ankara contro i curdi
E intanto nel sudest della Turchia, nei pressi di Diyarbakir, continua l’operazione anti-terrorismo fra le forze governative di Ankara e i curdi del Pkk, il partito politico-paramilitare ritenuto illegale dalla Turchia e operante anche nel Kurdistan iracheno. L’operazione è ormai giunta al novantesimo giorno e neanche i civili sono stati risparmiati dalle forze di fuoco. “Spesso” dice qualcuno, “i civili si sono trovati in mezzo alle operazioni armate e son finiti vittime degli scontri“. Ma intanto un secondo fronte è aperto anche nel nord della Siria, dove i turchi continuano nella guerra contro i curdi. L’Osservatorio per i Diritti umani ha infatti reso noti gli attacchi alle milizie curde nei pressi di Monbahteh e Tal Abyad. In queste operazioni armate Ankara manifesta pubblicamente di schierarsi contro la coalizione (Usa, Russia ed esercito curdo) che ostacola l’avanzata dello Stato islamico. In questa presa di posizione il governo di Erdogan rende sempre più oscura la propria politica, inimicandosi l’Occidente.
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