Eric Serafini, un pittore nato nel 1962 a Les Mureaux, località nei dintorni di Versailles e residente a Correggio.
L’idea di fare il pittore si manifesta come una folgorazione già da bambino quando, nel collegio dove studia, vive un’esperienza inebriante: avere a disposizione una intera biblioteca di libri d’arte. Poi, però, pur studiando in modo sistematico i segreti della pittura, la necessità di conciliare passione e lavoro lo induce, a vent’anni, a trasferirsi a Torino per frequentare Architettura della carrozzeria, scuola di design collegata al gruppo Fiat.
Gli esordi della sua attività si svolgono in una carrozzeria che gestisce i clienti personali dello stesso Enzo Ferrari. Per nove anni il suo compito è riprogettare automobili prestigiose per clienti altrettanto prestigiosi.
Dopo nove anni di lavoro, la Bugatti lo chiama per un progetto di rilancio del marchio, e lui si lascia attrarre. L’incarico dura due anni, al termine del quale, pur continuando a lavorare nello stesso settore, sente comunque l’esigenza di cambiare.
Dal punto di vista artistico, perciò, i suoi interessi si allargano alla figura umana. In realtà sta integrando ed approfondendo ciò che già lo interessava da ragazzo, la copia degli antichi, alla ricerca di soluzioni dei problemi di tipo tecnico; per lui il problema fondamentale è la sfumatura, il cambio di intensità tonale del colore.
La figura chiave su cui si innestano le sue riflessioni adesso, è quella del grande fotografo Edward Steichen.
Secondo Serafini la sua vicenda è emblematica: mentre da una parte, con la celebre galleria 291 di New York, aperta in società con Alfred Stieglitz, Steichen si era fatto promotore di un’idea dell’arte che mirava alla distruzione dell’immagine classica, dall’altra, come fotografo, prima come esponente del movimento Pittorialista, e poi come protagonista della fotografia di moda, non ha fatto altro che servirsi di quella stessa classicità.
Steichen rappresenta, ai suoi occhi, un paradosso: l’immagine classica, scacciata dai santuari dell’arte contemporanea, è stata da lui messa al servizio di una funzione divulgativa, in qualità di direttore di Vogue e di Vanity Fair.
A metà degli anni novanta, prende la grande decisione: dedicarsi completamente alla pittura.
Adesso ha chiarito quali sono i principi su cui impostare la sua ricerca creativa: 1. copiare le immagini fotografiche, di Steichen ma anche di altri, e rinunciare completamente alla invenzione di nuove forme; 2. rinunciare al tratteggio e al disegno preliminare per affrontare la tela direttamente col colore, generalmente bianco e nero. 3. abbandonare i pennelli per avere un rapporto più diretto e fisico con la tela. La sua è una tecnica a levare, nel senso che prima stende una mano di olio e pigmento, e poi, con gli stracci e con le dita, realizza l’immagine prescelta. Infine dà gli ultimi tocchi di luce col bianco.
L’estetica di Serafini, in un certo senso, può essere definita Vintage Pop.
Infatti, come un pittore Pop si appropria delle immagini di dominio pubblico e le ripropone sulla tela, o sulla tavola; alle stesse immagini però cerca di far fare un percorso inverso rispetto allo scopo per cui sono nate, cerca cioè di dar loro dignità artistica, dando loro il calore, l’aura tipica delle opere d’arte della tradizione classica.
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