La morte di Erich Priebke avvenuta lo scorso 11 Ottobre, ex-capitano (o Hauptsturmführer) delle SS ed uno dei responsabili principali dell’eccidio delle Fosse Ardeatine ha rilanciato nel mondo l’interesse per i fatti della seconda guerra mondiale, soprattutto sull’onda dell’incredibile longevità e buona salute dell’anziano soldato morto a pochi mesi di distanza dal suo centesimo compleanno (festeggiato da alcuni nostalgici e simpatizzanti di estrema destra il 29 Luglio 2013).
Ma chi era veramente Erich Priebke? Molto si è detto e speculato sulla sua immagine, soffermandosi spesso sui soli fatti drammatici che hanno lasciato il segno sulla sua vita e su quella dei parenti e conoscenti delle 335 vittime della rappresaglia delle Fosse: esamineremo la lunga vita dell’ex-capitano, cambiata radicalmente nel 1933 quando aderì al partito Nazionalsocialista.
ITALIA ED ARGENTINA – L’eccidio e la fuga
Poco si sa delle attività di Erich Priebke nel partito e nelle SS fino all’arrivo in Italia in occasione della cosiddetta “Operazione Achse”, ovvero l’invasione pianificata della penisola italiana in caso di resa o di cambio di bandiera da parte del governo italiano, da Hitler ritenuto poco affidabile a seguito dei primi sbarchi Alleati. Dopo l’armistizio italiano dell’8 Settembre 1943, Priebke operò presso l’ambasciata tedesca a Roma fino al mese di Maggio 1944 agli ordini del tenente colonnello (Obersturmbannführer) Herbert Kappler: famoso per la sua risolutezza e determinazione nell’esecuzione degli ordini impartiti, Priebke venne caldamente raccomandato a Kappler come uomo su cui fare affidamento per le missioni di più grande importanza.
Al seguito di un attentato ad opera dei partigiani di Gruppo Azione Patriottica (o G.A.P.) durante il quale persero la vita 33 soldati tedeschi, Kappler diede a Priebke l’ordine di rastrellare civili e simpatizzanti dei partigiani per effettuare una rappresaglia ai danni degli italiani in mano alle SS: l’ordine prevedeva la fucilazione di 10 prigionieri italiani per ogni soldato tedesco ucciso durante l’azione partigiana. Sia Kappler che Priebke furono coinvolti direttamente nell’uccisione di 335 civili e militari italiani, e dopo la disfatta tedesca nel centro Italia fuggirono entrambi verso nord nel tentativo di rientrare in Germania o comunque di spostarsi verso zone ancora in mano all’esercito tedesco.
Priebke fuggì da Rimini (dove era stato imprigionato dagli Alleati) e si recò a Roma per ricevere documenti falsi da membri compiacenti del clero, dei quali si sarebbe servito per trovare rifugio in America Latina dopo una breve tappa a Bolzano, probabilmente effettuata per ricevere ulteriori aiuti da parte dell’organizzazione segreta ODESSA. Rimase in Argentina per 50 anni e non fu mai scoperto, neppure dall’efficiente servizio segreto israeliano MOSSAD (formato da esperti nella caccia ai nazisti fuggiti dopo la guerra).
L’ARRESTO E LA VECCHIAIA – Italia seconda casa
Rintracciato nel 1994, venne estradato verso l’Italia l’anno successivo e fu detenuto nel carcere di Forte Boccea a Roma mentre iniziavano le pratiche per il suo rinvio a giudizio con l’accusa di crimini di guerra (per definizione non soggetti a prescrizione). Fu processato insieme all’ex-commilitone Karl Hass e condannato all’ergastolo nel 1998 dalla Corte d’appello Militare, condanna che scontò fin da subito agli arresti domiciliari a causa dell’età avanzata tra le molte proteste da parte dei parenti delle vittime e di associazioni umanitarie: un’attenuante dovuta principalmente al fatto che, nonostante l’ampia portata del massacro, la stessa fosse stata compiuta a seguito di ordini non questionabili dai superiori, pena l’accusa di tradimento ed insubordinazione e probabilmente condanna a morte successiva.
A partire dal 2007 (con una breve interruzione dal novembre 2007 al maggio 2008) gli venne concessa la possibilità di uscire di casa per effettuare commissioni personali, grazie anche alle ottime condizioni della sua salute fisica e mentale. Poco e nulla si sa della sua vecchiaia trascorsa a Roma, se non che nel maggio 2008 gli venne proposto di partecipare in qualità di presidente onorario alla giuria del concorso di bellezza Star of the Year: la notizia suscitò un certo scalpore e molte furono le proteste a riguardo, mentre Priebke rifiutò cortesemente l’invito dichiarando “mi piacerebbe molto andare ma non posso”. Pochi mesi dopo il suo 100° compleanno muore a Roma per cause naturali, lasciando in eredità il suo testamento umano e politico.
TESTAMENTO ED IMPRESSIONI – L’ultimo nazista
O forse è più corretto parlare di “ultimo nazista famoso”: proprio in questi giorni in Germania è partita per la seconda volta l’operazione “Last Chance” che ha come obiettivo la ricerca e l’individuazione degli ultimi membri ancora in vita del partito Nazionalsocialista (sicuramente tutti oltre i 90 anni), offrendo ricompense fino ai 25.000 euro per chi fornisse importanti informazioni a riguardo. Il testamento lasciato da Priebke è forse il più chiaro metodo che possa dimostrare quanto un’ideologia possa perdurare nella mente e nell’animo di qualcuno, nonostante il tempo passato e soprattutto la rovinosa fine del regime nazista in Germania.
Priebke è sembrato più convinto che mai della sua idea (forte anche delle sue convinzioni negazioniste, ben dichiarate durante l’intervista-testamento) e dimostra la sua totale convinzione di aver agito secondo ciò che più si sentiva in dovere di fare. La sua fuga attentamente pianificata e la successiva vita agli arresti domiciliari d’altronde confermano che non ha mai pensato di ritrattare sulle sue idee e sul suo passato, nonostante le critiche e le proteste che la sua permanenza a Roma ha sempre attirato soprattutto dalla comunità ebraica e dai parenti delle vittime.
Controversa l’idea secondo la quale Priebke avrebbe agito in quel modo perchè formalmente costretto da ordini superiori, idea alla quale si allineò anche il famoso giornalista Indro Montanelli, che gli scrisse nel 1996 ” Certo: lei, Priebke, poteva non eseguire l’ordine ed in pratica suicidarsi. Questo avrebbe fatto di lei un martire. Invece, lei quell’ordine lo eseguì. Ma questo non fa di lei un criminale” (fonte Wikipedia). Conviene a questo punto ragionare sul punto appena espresso: fin dove l’autorità può esautorare la ragione e la pietà? Quei morti erano sulla coscienza di Erich Priebke, e questo fatto niente lo potrà mai cambiare.
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