“Molti interpreti del mio film sono africani e non è un caso, il nostro futuro è nella ricerca delle origini e io penso che in questa ricerca l’Africa salverà noi e non viceversa, perché ci farà conoscere e ci riporterà al punto delle nostre origini. Se abbiamo bisogno di aiuto chiediamolo a loro”. Con queste parole il regista Ermanno Olmi ha parlato del film che sta girando a Bari, ‘Il villaggio di cartone’, che si occupa delle ondate migratorie degli ultimi decenni.
“Il titolo del film – spiega Ermanno Olmi – non è definitivo, ma non dico quello vero per non far spaventare il produttore”. Il set, una chiesa di cui è stato mostrato solo il portale, è stato ricostruito nel Palazzetto dello sport che si trova alla periferia di Bari: “Un set magnifico – ha commentato il regista – l’unico che avesse un’altezza di 15 metri simile a quella di una chiesa”.
Olmi, che si fermerà ancora a Bari fino al prossimo 11 dicembre, ha voluto dedicare il film alla nota sceneggiatrice Susi Cecchi D’Amico. Poi, ha spiegato “come sono andate le cose” che lo hanno portato a realizzare ‘Il villaggio di cartone’. “Ho l’ossessione, alla mia età può succedere – racconta – di ritrovare nei gesti quotidiani il personaggio Cristo. Per questo e avevo in progetto di girare il Mediterraneo per cercare le sue tracce, nella sofferenza e nel disagio del quotidiano, ma un incidente mi ha costretto a letto per 70 giorni”. A quel punto “mi sono chiesto cosa rimanesse del mio futuro come connotazione del cuore e, invece di andare in giro, ho deciso di fissare un punto e far venire lì tutto quello che cercavo: ho immaginato incontri, fisionomie differenti che messe insieme si cercassero e si unissero”.
Al contrario di quanto pensano alcune persone meno intelligenti della Lega Nord, Olmi ritiene che “la diversità è un’opportunità per intrecciare motivi di identificazione comune. Il vero problema è che due mondi – rileva il regista – quello dei bianchi e quello dei neri, sono divisi”.
“Pensare al colore della pelle o alle differenze di religione – sottolinea Olmi – provocherà sempre conflitti: ho così incontrato molti neri, soprattutto africani. E ho capito che noi, a differenza loro, abbiamo perso il senso della vita. Saranno anche poveri ma non sono poveracci, hanno una grande umanità. Io penso che in futuro sarà l’Africa a salvarci, perché ci farà riconoscere e ci porterà alle nostre radici”.
“Il film – ha spiegato – è un’allegoria: parla di un personaggio che ha sempre voluto bene secondo schemi tradizionali, ma quando ha conosciuto e capito cosa è il bene cambia e non ha importanza se questo avviene alla fine della sua vita, è sempre una progettualità per il futuro”.
Alla presentazione del film, realizzato in collaborazione con l’Apulia film commission, c’era anche il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola che ha definito il film “inattuale sia perché parla della solidarietà, sia perché parla di un’etica contro un destino di mercificazione”. Alcuni dei protagonisti extracomunitari presenti, hanno ricordato “che non abbiamo preso questo come un lavoro, ma come la partecipazione ad un cambiamento in Europa. Siamo quasi tutti attori non professionisti, ma partecipiamo a questo film esprimendo il meglio di noi. Questo film è una metafora, è come il seme del baobab che è piccolo come un fagiolo, ma dà vita all’albero più grande della foresta”.
“Con questo film speriamo di cambiare la mentalità degli uomini nei nostri confronti – ha concluso il giovane africano – perché la nostra storia, la storia dell’Africa, è poco conosciuta ma dobbiamo sforzarci di avvinarci per capirci meglio”.
E noi glielo auguriamo davvero di cuore.