Pensare alla figura di Ernesto Che Guevara solitamente porta a costruire nella mente l'immagine di un guerrigliero rivoluzionario, sporco, cencioso, con un sigaro fra le labbra e un discorso travolgente da declamare. Un mito del mondo moderno, sul cui giudizio di solito ci si divide fra ammiratori e detrattori. Eppure, per comprendere e per poter giudicare al meglio l'uomo in questione, è importante conoscere il fanciullo, l'adolescente dietro il mito.
Le origini di Ernesto Guevara
Il 14 giugno 1928 a Rosario, in Argentina, nasce un bambino di nome Ernesto Guevara. Nonostante una grave polmonite che a soli tre anni dalla nascita gli procurerà un asma cronico e molto violento, Ernesto è un bambino abbastanza fortunato. La famiglia è di quelle che non sfigurerebbero in un romanzo di Salgari o di Verne: fra i suoi antenati si annovera un vicerè di Nueva Espana cacciato in modo rocambolesco dopo solo un anno e qualche giorno di governo e che rapì, nella fuga, la moglie in Louisiana. Zii immersi nella febbre dell'oro a S.Francisco e il nonno, agrimensore, protagonista di mille imprese e che fu sul punto un giorno di morire di sete. Celia de la Serna y Llosa, la madre, è una donna straordinaria. Bellissima, elegante, molto colta, insegna al piccolo l'amore per la letteratura, coltivato nei lunghi suffumigi a cui la malattia lo costringe, e il francese. Una donna famosa per il femminismo non militante, semplicemente espresso come necessità quotidiana (" Fu la prima donna a tagliarsi i capelli alla maschietta, ovvero cortissimi sulla nuca; fumava e accavallava le gambe in pubblico", comportamenti assolutamente non appropriati per una donna agli inizi del Novecento), ma anche figlia di un ricchissimo allevatore di bestiame. Di un mondo dunque ricco, detentore di potere, tendenzialmente conservatore. Il padre, Ernesto Guevara Lynch, abbandonata in giovane età la facoltà di architettura, si lancia in una serie improbabile di imprese edili, con risultati più delle volte fallimentari: sarà lui stesso ad ammettere che la cosa più furba che fece in gioventù fu conquistare e sposare la moglie Celia. Bohemien, spericolati, colti, eredi di un'oligarchia giudicata senza timore come passiva e timorosa, i genitori saranno la prima fonte di avventura e romanticismo "salgariano" per Ernesto.
L'infanzia tormentata, tra asma e letture voraci
Ernesto cresce, l'asma lo perseguita e costringe la famiglia a continui spostamenti, facilitati dalla straordinaria sfortuna lavorativa del padre, che però non privano i genitori del piacere di regalare dei fratelli al loro primogenito: nascono Celia, Roberto, Ana Marìa e Juan Martìn, il più piccolo, col quale avrà un rapporto particolarmente intenso, giocato fra l'adorazione del fratellino e l'affetto infinito dell'altro. I primi anni dell'infanzia non sono comunque molto piacevoli. È costretto a regolari iniezioni, suffumigi, e qualsiasi altro rimedio che i genitori, disperati, si fanno convincere a provare. Ma tutte queste ore di noia e sofferenza egli riesce a trasformarle in libri. A decine, romanzi d'avventura in particolare, entrano nella sua giovanissima mente incandescente, completando la creazione nella sua personalità del romanticismo eroico.
" Lasciami dire, a costo di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da sentimenti d'amore."
Non uscirà di casa per anni, a causa dei gravi problemi respiratori. La sua stanza, con le siringhe in un cassetto e la bombola dell'ossigeno vicino al letto, sono il suo dominio, fino a quando la madre, in un momento di tristezza, litiga col padre. Celia non può sopportare che il suo bambino non viva una vita normale. Ernesto è poco lontano, ascolta il litigio e esce di casa urlando: " Ho capito! E se muoio, muoio!". Da quel momento vivrà una vita movimentata, anche se gli amici lo riporteranno a volte a casa in braccio e gli daranno l'ossigeno. Quando l'asma più lo soffocava e non ne poteva più di leggere o giocare a scacchi, si faceva aiutare dalla sorellina Ana Marìa, che gli faceva da sostegno durante delle brevi passeggiate. Comunque non va a scuola, è la madre che gli insegna a leggere e scrivere fino ai nove anni, quando è il ministero argentino a sollecitare Celia.
Curiosità e grinta prendono il sopravvento
La personalità che la malattia sta forgiando è peculiare, affascinante. Con la scuola e le letture alle spalle che aumentano a vista d'occhio, Ernesto sviluppa un senso di sfida nei confronti del mondo e della sua malattia, accentuati dallo sprezzo del pericolo dimostrato in varie occasioni dalla madre, e che lo portano a compiere azioni rischios e e impensabili per un ragazzino malato come lui. Ma i rischi che corre sono calcolati, previsti: un'amica dirà di lui:
" Eppure le sfide di Ernesto alla morte, il suo civettare hemigwayano con il pericolo, non erano impetuosi né esibizionisti. Quando faceva qualcosa di pericoloso o di proibito, [...] lo faceva per scoprire se era possibile farlo e, se sì, qual era il modo migliore. "
non lascia niente al caso e, anche quando sfida la morte e l'asma lo fa anche per un naturale senso di curiosità.
" L'atteggiamento era intellettualistico, il movente nascosto la sperimentazione. "
Ernesto ha ormai dodici anni. Ha una cultura, secondo il padre, da ragazzo di diciotto anni, costretto com'è a leggere per ingannare il tempo dei trattamenti medici. A tredici lavora per la prima volta, raccoglie l'uva, senza ottenere una grande paga, e a quattordici sceglie di iscriversi al liceo liberale della regione, non a quello dell'aristocrazia, che avrebbe potuto comunque frequentare. In quel liceo conosce i fratelli Granado, Tomàs e Alberto. Alberto, su sollecitazione del fratello, fa entrare Ernesto, dopo un test fisico, nella squadra di rugby L'Estudiantes. Ernesto gioca, con una furia e una grinta da far invidia a chiunque: ulula, imperversando per il campo, " scansatevi, arriva il Furibondo Serna!" da cui deriverà il soprannome (Fu-Ser) che si porterà dietro per lungo tempo. Questo soprannome è emblematico del personaggio, permette di capire quanto forte era e quanto caratterizzante della sua personalità la grinta e la voglia di rivalsa nei confronti della malattia che lo attanagliava e che, comunque, lo costringeva a giocare con la bombola o l'inalatore a fondo campo.
Nel 1943 in Argentina un golpe porta al potere l'esercito e Ernesto dichiara in classe:
" I militari non danno cultura al popolo, perché se il popolo fosse colto non li accetterebbe. "
Ad ogni modo l'adolescenza di Ernesto Guevara Fuser non è segnata dalla lotta politica. Sarà lui stesso a chiarirlo, aveva altri sogni e altri interessi: sogni di vita quotidiana, anche se venati da eroismo e forza non comuni. Sogna di viaggiare, sogna l'Europa, s'iscrive a medicina con l'idea di diventare un medico ricercatore capace e di regalare le sue scoperte all'umanità intera, sogno condiviso di molti altri suoi colleghi.
Il viaggio che cambiò tutto
" Quando cominciai a studiare medicina la maggioranza dei concetti che fanno parte di me come rivoluzionario era assente dal magazzino delle mie idee. Volevo trionfare, come vogliono trionfare tutti quanti. Sognavo di essere un ricercatore famoso, sognavo di lavorare instancabilmente per ottenere qualcosa che, in definitiva, potesse essere messo a disposizione dell'umanità, ma che in quel momento sarebbe stato un trionfo personale. Ero, come siamo tutti, un figlio del mio ambiente. "
Fuser è uno studente modello: passa dodici ore in biblioteca, leggendo però solo i saggi e gli argomenti che gli interessano. Le restanti letture sono, ovviamente, le stesse che lo avevano formato durante l'infanzia: letteratura, romanzi. Certo, caratteristiche che non lo fanno passare inosservato e che gli procurano serie critiche le possiede già. Ad esempio, non bada in alcun modo al suo abbigliamento, che trascura e lava poco. Si veste di quello che trova e in particolare con una camicia di nylon bianca che chiama la semanera e che lava una volta alla settimana senza mai stirarla. Non era moda, comunque, o semplice ribellione fine a se stessa: nei saggi che aveva letto erano apparsi i grandi nomi dell'India, dal Buddha Gautama al Mahathma Gandhi e Nehru. Alla cugina dice un giorno:
" Sai cosa diceva il Buddha?"
" No."
" Che con un uomo che cambia spesso vestiti non si possono cambiare opinioni. "
C'è anche un amore nella vita del giovane Fuser, Chichina. Simpatica, molto bella, figlia dell'antica oligarchia di Còrdoba: questo gli creerà qualche noia, in particolare quando la relazione sembra trasformarsi in qualcosa di sufficientemente serio da prospettare un matrimonio che preoccupa i genitori di lei. Curioso, come il futuro rivoluzionario, ora solo un grande detrattore di tutto quello che rappresentava la nobiltà, la ricchezza e il potere si sia così facilmente innamorato di un principessa dell'aristocrazia. Non tanto strano che lei lo ricambiasse, dato il suo bell'aspetto e il fascino magnetico derivante da una cultura letteraria ormai sterminata.
C'è un momento preciso in cui le cose cominciano a cambiare sensibilmente. Un giorno di ottobre, a Còrdoba, Ernesto Guevara Fuser va a trovare Alberto Granado, che sta sotto il pergolato di casa sua, per aggiustare una moto oggi famosissima. È la Poderosa II, una Norton 500cc che, ispira subito a lui un altro viaggio, questa volta molto più temerario e impegnativo.
" E se andassimo in Nordamerica?"
" E come?"
" Ma con la Poderosa, no? "
Con queste parole, e, secondo Alberto, con una danza di guerra, suggellano un patto che, col senno di poi, cambiò le sorti di paesi interi, del mondo tutto e segnò le vite non solo di quei due temerari viaggiatori, ma di generazioni di giovani futuri. Perché da quel viaggio Ernesto Guevara Fuser non tornerà mai più. Morirà un poco nelle miniere di rame cileno, un poco nei lebbrosari che visitano e sempre e constantemente negli occhi di tutte le persone vittime di ingiustizie e di soprusi dei potenti incontrati durante il cammino.
" Il personaggio che ha scritto questi appunti [il diario di viaggio "Latinoamericana"] è morto quando è tornato a posare i piedi sulla terra d'Argentina, e colui che li riordina e li ripulisce, io, non sono più io; per lo meno, non si tratta dello stesso io interiore. Quel vagare senza meta per la nostra "Maiuscola America" mi ha cambiato più di quanto credessi. "
Dietro un grande mito del nostro tempo c'è stato un ragazzo, un bambino, con sogni e speranze normali, ma un amore per il genere umano assolutamente straordinario, paragonabile solo al valore attribuito alla dignità in ogni istante della sua vita. Quello che venne dopo non è completamente apprezzabile e comprensibile senza uno sguardo a quello che è stato prima del viaggio: Ernesto Che Guevara non è chiaro senza il sorriso magnetico e l'energia di Fuser, senza lo sport, la letteratura, i viaggi e i sogni di grandezza e di gloria imperitura.