1914 - 1918: anni terribili che videro scoppiare quello che, fino alla Seconda guerra mondiale, fu il più grande conflitto armato mai combattuto. 2014 - 2018: gli anni del centenario (ricordiamo che l'Italia entrò in guerra solo nel 1915), importante anniversario che si spera possa aiutare a capire meglio cosa accadde e soprattutto a non dimenticare.
Tra tante commemorazioni, manifestazioni, mostre, e quant'altro utile a rendere attuale quel periodo, anche l'editoria ha contribuito al "ricordo" con alcune nuove opere, ma anche con tante ristampe di quelli che sono a ragione considerati i "cult" sulla Grande guerra e con cui, negli anni dell'adolescenza, a scuola o per diletto, siamo quasi tutti venuti a contatto.
In questo contesto va inserito senz'altro Nelle tempeste d'acciaio (Guanda - traduzione di Giorgio Zampaglione) di Ernst Jünger, magari non famoso come Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque o Addio alle armi di Ernest Hemingway, ma considerato, non a torto, una delle opere più importanti e vive sulla Prima guerra mondiale.
Ernst Jünger prese parte al conflitto, finendolo con il grado di tenente, nel reggimento "Gibraltar" di Hannover, di cui era originario, e partecipando a quasi tutte le maggiori battaglie sul fronte occidentale, dalla Somme a Cambrai, da Passchendaele alle Fiandre, fino alle ultime grandi offensive del 1918. Fu ferito ben quattordici volte.
Accorso entusiasta come volontario, come tanti studenti dell'epoca, il suo comportamento in prima linea divenne leggendario, elevandolo al rango di vero eroe tedesco, tanto da venire insignito di tutte le onorificenze previste nell'esercito germanico, compresa quella più importante: l' Ordre pour le mérite.
Amante della letteratura, e grande osservatore, Ernst portava sempre con sé un taccuino su cui era solito appuntare, con stile freddo ed asciutto, tutto quello a cui assisteva e partecipava; il padre lo spinse, dopo il conflitto, a trarne un libro, che, pubblicato nel 1920, avrebbe voluto intitolare, in onore del suo amato Stendhal, Il rosso e il grigio, dai colori mesti ed uggiosi della guerra nelle trincee, salvo poi scegliere Nelle tempeste d'acciaio ispirandosi ad un poema medioevale islandese.
Il volume che ne è uscito fuori si può a ragione definire come la più agghiacciante testimonianza sulla Prima guerra mondiale, testimonianza resa con acuto, sovrumano, senso di osservazione, e raccontata con una prosa fredda e cristallina, a tratti quasi imbarazzante nel suo partecipato distacco.
Nelle pagine di Jünger non si trovano richiami politici o dissertazioni filosofiche, come in tanta della prosa successiva al conflitto, ma solo una raccolta di immagini e sensazioni assolutamente schiette, vere, crude, talvolta anche asettiche, che il giovane colleziona, da soldato ormai incallito.
Tutto viene annotato come se stesse passando attraverso l'obiettivo di una telecamera, senza quasi alcuna partecipazione emotiva, le scene, cruente ed orribili, degli scontri e delle morti, si susseguono, quasi senza soluzione di continuità, alternandosi con le quasi bucoliche scene di vita nelle trincee, quando la battaglia è solo un rombo lontano, o con quelle quasi "normali" dei momenti passati nelle retrovie, ospiti, più o meno sopportati, delle case degli abitanti francesi e belgi del luogo.
Non c'è spazio per le debolezze, né per i sentimenti: il cameratismo che sappiamo essere il cemento che permette di vivere le tragiche esperienze di guerra, facendo di un gruppo di soldati qualcosa di simile ad una famiglia, si respira tra le righe ma senza mai diventare protagonista, benzina che permette di sopravvivere.
Non ci sono, come ad esempio in Niente di nuovo sul fronte occidentale, degli "altri" che assurgono a personaggi reali, ma solo una lunga sequenza di cognomi, da Kjus a Haller, dal "piccolo" Schultz a Schlager, che accompagnano, per momenti più o meno brevi, il nostro eroe, ma di cui nulla sappiamo in più di quel che Ernst ci racconta durante le azioni. Lo stesso nemico è quasi un'entità astratta, che sia inglese, francese, indiano, scozzese, neozelandese, è sempre e soltanto quello che sta dall'altra parte, da ammirare e rispettare certo, ma da abbattere e distruggere senza alcun tentennamento quando se ne ha l'occasione. Non ci sono, dunque, parole o incontri o momenti di solidarietà in cui l'altro diviene uomo di carne ed ossa.
Nelle tempeste d'acciaio mantiene una sua omogeneità inconfondibile, grazie anche alla sua cifra stilistica che è chiara e lineare, regalandoci una tensione costante resa dalla fredda sequela di avvenimenti, azioni, pensieri. L'autore si pone di fronte alla realtà e ce la restituisce, pari pari, senza nulla concedere all'enfasi, alla retorica, alla partecipazione emotiva, conferendole un'autonomia di cui solo il genere epico è capace. Per questo e tanto altro l'opera godette di alterne fortune ed ambigui entusiasmi tra gli anni Venti e Trenta, confermandosi in ogni caso come una pietra miliare, un unicum nell'ambito della letteratura di guerra.
Per la sua specificità il libro in Germania fu molto letto ed analizzato sia durante la Repubblica di Weimar che durante il periodo nazista, in cui la figura dell'Ernst soldato verrà esaltata e idolatrata, finendo per divenire il simbolo dell'ariano tedesco, impavido, obbediente, affidabile, letale, asettico, intrepido. In Italia l'opera apparve, per dirla tutta, solo nel 1961, circolando prevalentemente in ambienti e circoli di destra come testimonianza di un Reich eroico ed invitto.
Jünger scrisse in seguito tante altre opere, alcune, come Boschetto 125 e Fuoco e sangue, ancora legate alle sue esperienze di trincea, riuscendo pian piano ad essere considerato vero letterato (le sue indubbie doti di acuto osservatore, dallo stile impeccabile, ne fanno uno dei massimi autori tedeschi del Novecento) e a liberarsi di quel ruolo scomodo di eroe senza macchia, a lungo strumentalizzato per fini politici.
Nelle tempeste d'acciaio è dunque un volume da leggere tutto d'un fiato, sapendo già di doversi preparare a vivere in uno stato di tensione emotiva costante, chiamati ad osservare l'asettico orrore di quell'immane mattatoio che fu la Prima guerra mondiale.