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Questo stretto fu chiamato dagli antichi Greci Ellesponto, dal nome di una giovinetta chiamata Elle che, come narra la leggenda, vi affogò. Anticamente l'Ellesponto non era zona desertica, le sue rive erano assai popolate poichè ivi sorgevano numerosi villaggi e diverse cittadine fiorenti: c'era Reteo, Dardano, Abido, Ofrinio, Lampsaco, sulla costa asiatica; Madito, Sesto, Calliopoli sulla costa greca. La vita si svolgeva intensa su quelle rive e gli scambi tra le genti che vivevano sulle opposte sponde, erano quotidiani data la breve distanza che separava i due lidi; inoltre, giacchè lo stretto era il passaggio obbligato di tutti i popoli navigatori che abitavano il Pontus Euxinus (Mar Nero) e la Propontis (Mar di Marmara), i mercanti lavoravano attivamente. Sulle rive di questo braccio di mare fiorì una leggenda d'amore tra le più commoventi e suggestive, una leggenda che, tramandata nelle sue linee essenziali da antichi scrittori, è giunta fino a noi facendo vibrare l'ispirazione di diversi poeti e musicisti di tutti i tempi.
Protagonisti della tragica vicenda furono Ero e Leandro. Ero era una giovane sacerdotessa del tempio di Afrodite che si ergeva a Sesto sulla riva dell'Ellesponto. Di Leandro la leggenda dice soltanto che era un cittadino di Abido, città posta sull'altra sponda propio di fronte a Sesto. Esaminando una carta-storico-geografica notiamo che in quel punto il braccio di mare è molto stretto, naturalmente quindi tra le due città avvenivano scambi commerciali. Era perciò facile che Ero e Leandro un giorno s'incontrassero, e questo avvenne in occasione di una cerimonia religiosa celebrata a Sesto. Leandro vide la bella sacerdotessa e se ne innamorò, felicemente e immediatamente contraccambiato. I particolari del primo incontro non ci sono stati trasmessi dagli scrittori del tempo, ma si conosce il seguito della storia. Leandro ogni notte si recava sulla riva, si tuffava nei flutti e nuotava vigorosamente verso una luce che scorgeva sull'altra sponda: era la fiaccola che Ero teneva accesa sulla sommità del tempio per guidare il suo innamorato; e prima dell'alba Leandro tornava ad Abido, sempre a nuoto.
La leggenda non spiega perchè vi andasse a nuoto invece che in barca, forse per non farsi scorgere dai soliti curiosi che avrebbero trovato a ridire sulle vicende amorose di una sacerdotessa. O forse vi andava davvero in barca, ma la leggenda preferì la traversata a nuoto per circondare il giovane di un alone più romantico ed eroico. Del resto, che ciò fosse realmente possibile, nonostante le forti correnti, lo dimostrò anche il poeta Giorgio Byron il quale si cimentò egli stesso in quella traversata, sia pure con molta fatica. Byron aveva un animo romantico e voleva dimostrare che quella patetica vicenda aveva un fondamento di verità.
Tutto andò bene per i due innamorati fino a una certa notte in cui Eolo, probabilmente per volere di Diana o di Giunone sempre acerrime nemiche di Venere, scatenò i suoi venti nello stretto. Leandro, spinto dal suo amore e dal suo coraggio, affrontò ugualmente la traversata notturna. Egli vedeva la fiaccola agitarsi sull'altra riva come a chiamarlo e a rincuorarlo: ma a un certo punto una raffica di vento spense la luce che lo guidava.
I flutti si fecero sempre più furiosi, cosicchè le correnti lo trascinarono lontano, verso le rocce contro cui si frangevano le onde. Egli giunse fin presso la riva, ma era esausto ed un cavallone più forte degli altri lo spinse violentemente contro le rupi dov'egli trovò la morte. Alle prime luci dell'alba, Ero infine riuscì a scorgere l'amato che giaceva, ormai privo di vita, ai piedi della roccia. Ella non resistette a tale atroce dolore e, presa dalla disperazione, si gettò dall'alto della rupe per unirsi nella morte a colui al quale non aveva potuto legarsi in vita.
Secondo una versione leggermente diversa, Ero avrebbe visto Leandro avvicinarsi faticosamente alla riva e si sarebbe gettata in acqua per porgergli aiuto; ma, raggiunto il giovane, sarebbe stata travolta insieme a lui dalla corrente.
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