Condivido un nuovo articolo della mia rubrica “90’s Memories” pubblicato sul sito di Troublezine e questa volta dedicato a Bill Berry, il mitico batterista dei R.E.M., il mio gruppo preferito in assoluto!
http://www.troublezine.it/columns/20078/90s-memories-bill-berry
Ascolto musica da sempre, non è una frase fatta. I miei primi ricordi “attivi” risalgono a quando avevo 6 anni, e non si limitavano alle mitiche canzoncine dello “Zecchino d’Oro” che mi piaceva imparare a memoria, immedesimandomi in quei bambini provenienti da tutto il mondo, ma spaziavano già in cose “serie”.
Complice sicuramente la passione dei miei genitori e di uno zio molto giovane, potevo già apprezzare band come gli U2, i Queen (che quando avevo 7 anni mi fecero letteralmente impazzire con Radio Ga-Ga), Battisti, i Beatles, Bob Marley, Vasco ma anche De Andrè, Guccini, certi gruppi prog, passione di mio padre.
Questo per dire la base, utile a stimolarmi la curiosità, di scoprire nuova musica, di saperne, di conoscere di più su ciò che stava succedendo, per poi andare a ritroso. Non mi sono più fermato e la musica mi accompagna sempre, anche se talvolta ho pure rischiato di anteporre l’aspetto “critico” al semplice gusto dell’ascolto. Fortunatamente non mi succede spesso e riesco ancora a dare una connotazione di piacere a ciò che ascolto, soprattutto quando mi cimento con le canzoni dei miei amati R.E.M., loro sì in grado di prevaricare decenni e confini musicali, sempre riuscendo a trasmettermi grandissime emozioni. E non ho problemi a definirli il mio “gruppo preferito” all time!
Sono letteralmente cresciuto con loro, la prima volta che li ascoltai in modo consapevole fu nell’87, all’uscita di “Document”, ero un bambino di dieci anni in fondo, ma come detto prima con buoni maestri, in questo caso mio zio Claudio. Mi incuriosivano, specie nella filastrocca It’s the end of the world…, anni dopo mostruosamente massacrata da Ligabue. Inutile dire che il boom di “Out of Time” nel ’91 mi fece piacere, mi sembrava che una mia squadra avesse come vinto uno splendido scudetto, piazzando milioni di dischi ovunque nel globo. Dei R.E.M. adoravo praticamente tutto, la musica in primis, la voce di Michael Stipe, la loro mitica storia, ormai tramandata ai posteri, la loro coesione, la loro unicità, la loro perfetta sintesi di personalità così diverse, la loro sincera, viscerale amicizia che andava oltre il far parte di una band che dagli anni ’90 in poi si ritrovò improvvisamente a dividere con i già citati U2 (con cui si stimavano a vicenda) lo scettro di miglior gruppo del mondo.
Nel loro caso davvero l’equilibrio fra le parti era particolarmente singolare, anche visivamente, come si evince da tante polaroid ormai invecchiate.
Un’alchimia che ha rischiato seriamente di essere messa in discussione per cause di forze maggiori, quando il batterista Bill Berry realmente rischiò di lasciarci le penne, e la cosa successe in circostanze drammatiche, improvvise, senza che prima in fondo ci fossero state delle avvisaglie.
Si era nel 1994, ai tempi del tour di “Monster”, il loro album più rock, più spigoloso con canzoni adattissime a essere riprese live, oltretutto considerando che all’epoca il gruppo, reduce dai due album che li avevano consacrati come star mondiali, mancavano dai palchi in pratica da 5 anni, dai tempi di “Green”.
Quel tour fu “maledetto”, e nel giro di pochi mesi capitarono tutta una serie di incidenti, più o meno gravi, che misero a dura prova lo stato d’animo della band, ma nulla si avvicinò lontanamente al dramma che stava per colpire Bill.
Piccoli segni di stanchezza potevano forse essere evidenti, ma non era purtroppo preventivabile l’aneurisma che lo colpì nella tappa svizzera, a Losanna.
Il fatto di trovarsi per puro caso in uno degli Stati del mondo che può vantare una sanità tra le più evolute ed efficienti fu importante, molto probabilmente decisivo ai fini della sua salvezza.
La sua ripresa fu prodigiosa, tanto che riuscì a riprendere dopo poche settimane il suo posto dietro ai tamburi, nonostante le molte precauzioni dei medici.
Si può dire, come ha affermato poi più volte in seguito lui stesso, che fu proprio la musica la sua medicina più efficace, il fatto di non voler in quel momento abbandonare i suoi compagni, quelli con cui si era instaurato un rapporto fraterno, specie con Mike Mills, amico dai tempi del college.
Bill fu presente nel successivo “New adventures in hi-fi”, scritto praticamente tutto durante il tour di “Monster”, nelle pause o durante il soundchek, tanto che il gruppo lo ha spesso definito un vero album on the road.
Il batterista sembrava tornato in piena forma ma in realtà qualcosa si era ormai spezzato in lui. Le fatiche dei tour, i continui viaggi, i frenetici spostamenti, la routine, probabilmente anche la paura… fatto sta che nel ’96 Bill decise di abbandonare definitivamente la band, lasciando in tutti un forte senso di vuoto e sgomento.
Dapprima le reazioni dei compagni furono identiche, tutti concordi nel non continuare come R.E.M. , essendo venuto a mancarne un elemento cardine, in quello che da subito si era presentato come un’entità assolutamente democratica con ogni diritto d’autore ripartito in parti uguali, indipendentemente dall’apporto reale a questa o quell’altra canzone.
Bill disse che se lasciare il gruppo sarebbe equivalso a vederlo sciogliere, non l’avrebbe fatto: gli sarebbe pesato troppo essere poi ricordato come colui che fece infrangere un sogno musicale, causando un brusco scioglimento.
Alla fine i R.E.M. continuarono, con Bill Berry che però non tornò indietro nella sua posizione, ritirandosi di fatto a vita privata, nel vero senso della parola, visto che fu come non toccò mai più il suo strumento. Per tutti i fans del gruppo era evidente come Bill non fosse “solo” un bravo batterista ma molto di più, visto che tante delle idee musicali partirono da sue felici intuizioni, lui che di fatto era a tutti gli effetti un polistrumentista (erano soliti i tre musicisti del gruppo a scambiarsi gli strumenti, specie in esibizioni unplugged, accompagnando Stipe alla voce).
Berry fu poi artefice principale del primo vero concerto della band, quando il nome in pratica era ancora vacante. Fu lui il tramite con l’amica Kathleen O’Brien, che in occasione del suo ventesimo compleanno aveva intenzione di coinvolgere una band a suonare. La location fu una chiesa sconsacrata di Athens, da dove loro provenivano. Erano in fondo una neonata college band, come molte ne stavano nascendo in Georgia in quel periodo. Berry, poi visto al più come schivo e taciturno, a quanto pare era anche il playboy del quartetto, nonché in grado di scippare la O’Brien al chitarrista Peter Buck. La versione è certamente romanzata, anche perché a distanza di 35 anni da quel 1980, tutti si ricordano di un periodo particolare all’insegna dell’edonismo piuttosto sfrenato e di una certa promiscuità sessuale, ma è indubbio che, come ama ricordare nostalgico e divertito Michael Stipe, a colpire le ragazze era soprattutto il mitico monociglio di Bill Berry, il motivo per cui fu voluto a tutti i costi nella band dall’istrionico leader!
Da 19 anni a questa parte le notizie su Berry sono molto frammentarie, per non dire inesistenti. Vive in una grande casa di campagna, lavora la terra, ed è rimasto in buoni rapporti con tutti i ragazzi della band, nel frattempo sciolta onorevolmente dopo un’altra manciata di buoni album, anche se sempre meno ispirati.
Il contraccolpo subito dopo il suo abbandono fu tale da “costringere” in pratica i ragazzi a cambiare completamente sound, affidandosi a suoni elettronici, molto vintage, specie nei due successivi alla sua dipartita: “Up” e “Reveal”, passati ai posteri come album sicuramente interessanti ma che risentono inesorabilmente di un vuoto, di quel suono pulito, secco, ordinato, di batteria che aveva da sempre contrassegnato i loro pezzi più belli, grazie all’apporto magnifico di un musicista che rimarrà per sempre nel mio cuore.