Non c'entra una mazza con questo blog, ma a me proprio non va giù, mi sembra fasulla e costruita, in mala fede e francamente idiota, un po' come certe visioni del cinema italiano dopo il Festival di Venezia, per cui Crialese è un autore e Gipi un geniaccio, questa nuova moda per cui il rugby è uno sport che piace agli italiani, uno sport seguito e amato come il calcio, sempre affrontato con toni mitici e in home page su ogni sito d'informazione, perché in fondo, lo sanno tutti, è roba da barbari giocata da gentiluomini, mentre quell'altro è l'opposto, roba da gentiluomini giocato da barbari, e perché Clint Eastwood ci ha fatto su un film, per altro con le scene di gioco tutte al rallentatore per cui sai che palle, e poi Saviano ci ha fatto su l'articolo civile ed emozionato, e poi ancora perché i nostri sono sempre degli eroi, pronti a predersi a mazzate in allenamento perché la tensione è quella giusta, e poi capaci a ogni partita importante di collezionare figure di merda, senza mai essere considerati per quello che sono, una squadra mediocre, ma al contrario giustificati e coccolati perché in fondo sono gentili come noi, ragazzi tranquilli che si fanno la birra con gli avversari nel terzo tempo, sempre pronti alla lotta perché il mondo del calcio è per gli stronzi ma quello del rugby per i puri, e se gli altri ci asfaltano a ogni occasione - gli altri che vengono da paesi dove il rugby è davvero seguito e amato quanto e più del calcio - pazienza, loro ce l'hanno messa tutta, oppure erano troppo tesi, i nostri gladiatori che di fronte avevano un'impresa impossibile, che per lunghi tratti sono stati feriti ma non abbattuti e via di linguaggio che in quanto a mancanza di ironia nemmeno la pubblicità dei videogiochi su Italia 1. Ecco, insomma, a me sembra tutta una bella finta, una malinconica voglia di credere in qualcosa di sano, anche se non c'è. Sarebbe stato bello se un giorno Clint avesse potuto raccontasse di quanto quella volta siamo diventati una nazione grazie a Nick Mallet o ad Alessandro Troncon fico e mascellato come Matt Damon: ma non è così e non sarà mai così. I nostri eroi sono altri e quei bestioni lì, per quanto onesti e appassionati e magari anche pure bravi, resteranno per sempre i protagonisti di uno sport che la maggior parte degli italiani, proprio perché non sono neozelandesi, inglesi, australiani, irlandesi, gallesi, sudafricani o francesi, non capirà mai. Poi magari, con tutto il rispetto per i veri appassionati ed esperti di rugby, ce la si può anche tirare perché si sa cos'è una touche, perché si conoscono i passi e gli UUuuuUUUuuu della danza maori o perché si è convinti che un giorno si vincerà una partita al Sei nazioni: ma non venitemi a dire che questa è, per noi, cultura popolare, urlo della foresta in un campo pieno di eroici disperati
Magazine Cultura
Non c'entra una mazza con questo blog, ma a me proprio non va giù, mi sembra fasulla e costruita, in mala fede e francamente idiota, un po' come certe visioni del cinema italiano dopo il Festival di Venezia, per cui Crialese è un autore e Gipi un geniaccio, questa nuova moda per cui il rugby è uno sport che piace agli italiani, uno sport seguito e amato come il calcio, sempre affrontato con toni mitici e in home page su ogni sito d'informazione, perché in fondo, lo sanno tutti, è roba da barbari giocata da gentiluomini, mentre quell'altro è l'opposto, roba da gentiluomini giocato da barbari, e perché Clint Eastwood ci ha fatto su un film, per altro con le scene di gioco tutte al rallentatore per cui sai che palle, e poi Saviano ci ha fatto su l'articolo civile ed emozionato, e poi ancora perché i nostri sono sempre degli eroi, pronti a predersi a mazzate in allenamento perché la tensione è quella giusta, e poi capaci a ogni partita importante di collezionare figure di merda, senza mai essere considerati per quello che sono, una squadra mediocre, ma al contrario giustificati e coccolati perché in fondo sono gentili come noi, ragazzi tranquilli che si fanno la birra con gli avversari nel terzo tempo, sempre pronti alla lotta perché il mondo del calcio è per gli stronzi ma quello del rugby per i puri, e se gli altri ci asfaltano a ogni occasione - gli altri che vengono da paesi dove il rugby è davvero seguito e amato quanto e più del calcio - pazienza, loro ce l'hanno messa tutta, oppure erano troppo tesi, i nostri gladiatori che di fronte avevano un'impresa impossibile, che per lunghi tratti sono stati feriti ma non abbattuti e via di linguaggio che in quanto a mancanza di ironia nemmeno la pubblicità dei videogiochi su Italia 1. Ecco, insomma, a me sembra tutta una bella finta, una malinconica voglia di credere in qualcosa di sano, anche se non c'è. Sarebbe stato bello se un giorno Clint avesse potuto raccontasse di quanto quella volta siamo diventati una nazione grazie a Nick Mallet o ad Alessandro Troncon fico e mascellato come Matt Damon: ma non è così e non sarà mai così. I nostri eroi sono altri e quei bestioni lì, per quanto onesti e appassionati e magari anche pure bravi, resteranno per sempre i protagonisti di uno sport che la maggior parte degli italiani, proprio perché non sono neozelandesi, inglesi, australiani, irlandesi, gallesi, sudafricani o francesi, non capirà mai. Poi magari, con tutto il rispetto per i veri appassionati ed esperti di rugby, ce la si può anche tirare perché si sa cos'è una touche, perché si conoscono i passi e gli UUuuuUUUuuu della danza maori o perché si è convinti che un giorno si vincerà una partita al Sei nazioni: ma non venitemi a dire che questa è, per noi, cultura popolare, urlo della foresta in un campo pieno di eroici disperati
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