Diventare genitori è un'esperienza emotivamente molto forte. Non lo è solo per gli aspetti legati alla nascita di una nuova vita, un figlio o una figlia, ma lo è negli aspetti intrapsichici e relazionali che tratteggiano questa esperienza.
Per tanti avere un figlio significa indossare nuovi abiti, l'abito della madre, l'abito del padre, ed è proprio nel confezionare quell'abito che tanti genitori entrano in crisi con i propri figli.
In tutto questo molti genitori spesso vivono l'essere genitore come l'esorcismo dell'essere stati a loro volta figli. In realtà, come molto spesso accade, diventare genitori consente ad un individuo di vivere una dimensione genitore-figlio per l'ennesima volta, anche se con ruoli diversi. In tutto questo il significato che il nuovo papà o la nuova mamma danno alle proprie esperienze infantili hanno un profondo impatto sul loro modo di essere genitori.
Non esiste una ricetta per essere genitori, ma è certamente vero che genitori che hanno avuto modo di riflettere e di comprendere la propria storia di figli, sono riusciti a costruire una relazione più efficace e soddisfacente con i propri. Essere genitori è il mestiere più duro del mondo: sebbene con una nota di "sacrificio", la rivelazione è che essere genitori non è un mestiere. Per lavorare ci sono sicuramente le vostre postazioni di lavoro.
Nell'affrontare il tema della funzione genitoriale spesso si incontrano delle resistenze: "Non ho niente da capire", o le classiche risposte dal sapore della ruggine "L'educazione dev'essere quella", "Mica sono un bambino che deve pensare ancora a quando mia madre mi lasciava da solo" ... e tante altre.
Quelle esperienze incomprese e non elaborate fungono da bussole per la creazione di copioni che riproducono quello stato emotivo che si è creato allora.
Pensiamo per esempio al pianto di un bambino. Chi ha avuto modo di entrare in relazione con un bambino piccolo conosce questa esperienza. Osservando dei genitori spesso mi sono reso conto che non tutti sono capaci di sintonizzarsi e sincronizzarsi con il pianto del bambino.
Da un punto di vista delle ricerche che sono state condotte in questo ambito è certo che i primi due anni di vita di un bambino sono prevalentemente connotati da una comunicazione di tipo emozionale. Questo è spiegato anche da studi più sofisticati che hanno messo in luce quanto il cervello umano cresca in maniera asimmetrica. Nei primi due anni prevale l'emisfero destro.
Questo apre uno scenario su quelli che sono i caregivers, un termine inglese che significa "coloro che danno cura". Non è solo una questione per le mamme, perché diventano caregivers tutti coloro che in quel momento si stanno prendendo cura del bambino. Queste figure è bene che siano attente e responsabili. Certamente non è solo una questione che riguarda lo stare attenti che i bimbi non si facciano male o che a loro succeda qualcosa. E' un fatto emozionale, la loro capacità di sintonizzarsi con il mondo emotivo del bambino.
Quante volte avrete sentito una mamma dire: "E ora perché sta piangendo?".
La sincronizzazione e la sintonizzazione emotiva organizzano il sistema con cui il bambino costruisce una conoscenza di Sè. E se il bambino piange perché vuol essere consolato e la mamma gli "mette" in bocca un cucchiaio di omogeneizzato, capite bene che parliamo di "antenne emotive da riparare", o da educare.
Lo sviluppo del cervello sinistro è amplificato sino all'adolescenza, per poi riprendere con la parte destra, quella più emotiva. Questo discorso estremamente semplificato, e mi scuso per tutti quelli che leggeranno e avranno sicuramente più nozioni, ma il mio obiettivo non è quello di fare un convegno scientifico. Non è questa la sede. Vorrei solo stimolare le persone a riflettere su come la biologia e anche qualche piccola nozione sullo sviluppo dei nostri figli in realtà possa salvare o perlomeno limitare alcuni errori da non ripetere, e se errori ci sono stati, capire quali sono e rinascere. Ci sono genitori che trattano bambini di 2 anni come se fossero capaci di pianificare, di essere subdoli, di essere capricciosi. Ci sono genitori che hanno un bambino di 3 anni e lo vedono già laureato in medicina e chirurgo.
Ah si, poi questa storia dei capricci me la dovrete proprio spiegare. Sono sempre molto curioso a riguardo.
Ci sono genitori che parlano di capricci, e non guardano gli occhi del bambino che in realtà esprimono disperazione e chiedono consolazione, o altro. Oppure quelle terribili frasi: "E, ora che abbiamo lui/lei, non possiamo più fare niente".
I bambini, quando sono piccoli toccano le cose attorno a loro, perché è il loro modo di entrare in contatto con la realtà, di conoscerla, di manipolarla. E basta con queste tutine in ordine e bambini imbalsamati.
Tutto questo è il modo in cui comunicate con i vostri figli, e questo ha un forte impatto sul loro sviluppo.
Ritengo che libri sul "Come essere genitore in 100 pagine" o "Mestiere papà", "Mamma in dieci passi" o i consigli, che alcune pazienti mi hanno fatto scoprire, delle tate in tv, siano semplicemente un bicchiere di ansiolitico. Ti sedano, ma non ti aiutano a risolvere la difficoltà di entrare in contatto. Non è con regole che si impara ad esserlo e sopratutto essere genitori è una funzione, non una croce, non un calvario. E' un'opportunità di crescita. Voi insegnate delle cose ai vostri figli, ma vi siete mai chiesti di quante cose loro insegnino a voi?
Pensate ad un bambino di 2 anni su un prato, che accanto a voi scopre le margherite, e ve ne da una. Un grande insegnamento. E pensate a quanto spesso ci ritroviamo davanti a tanti adulti che non sanno dire nemmeno "Grazie".
Capisco che nella Babilonia infuriata della nostra società tutto questo potrebbe sembrare noioso. Lo so.
La capacità di sviluppare e stabilire comunicazioni empatiche e attente alle esigenze del bambino lo aiuta a sviluppare un senso di sicurezza e gli fornisce una base importante per affrontare il mondo.
E basta piangere sul "non essere una buona mamma", "non essere un buon papà". Se si conosce la clava, avete usato tutto quello che avevate per poter stare in relazione con vostri figli, ma si può cambiare se sarete capaci di utilizzare tutte le risorse che vi si presentano davanti. Avere dei figli è un modo per conoscere se stessi, per visitare nuovamente quella relazione genitore-figlio, che vi ha fatto soffrire, o di cui non ricordate più niente. Oppure tutte quelle cose che nella freddezza di un abito da papà non vi tocca più.
Eppure le storie di vostri figli parlano di voi bambini, di come avete vissuto. Non potete cambiare ciò che è successo, ma si può cambiare il modo di pensare a quegli eventi e superarli.
Se si riesce a liberarsi dai vincoli creati dal passato si potrà essere maggiormente in grado di offrire ai propri figli delle relazioni intense e spontanee che li aiutino a crescere, e aiutano voi a crescere. Non siate presuntuosi. Non avete niente da insegnare ad un bambino che si meraviglia davanti ad una farfalla. Potete accompagnarlo, e crescere con lui, e accompagnarlo a cercarne altre. I vostri figli sono li a raccontarvi qualcosa di voi, un pezzo della vostra storia.
Anna, una donna manager di 50 anni, decise di rivolgersi allo psicologo per uno stato di malessere. C'era qualcosa che non andava bene nella relazione con suo marito, e poi aveva iniziato a soffrire di ansia, sopratutto la notte, e il suo umore era sempre giù o talvolta irritabile.
Dopo il primo colloquio decise di fissarne un altro. Parlò di suo figlio, 11 anni, di quanto fosse indisciplinato, di quanto non si impegnasse a scuola, di quanto lei si sentisse male per tutto ciò. In realtà, dal suo punto di vista, lei ce la stava mettendo tutta e non capiva perché con questo figlio le cose non andassero per niente bene. Anna era poco empatica, distaccata, e fragile.
Provate a chiedere ad Anna cosa ne pensa dei suoi anni di scuola media. La stessa età di suo figlio.
Anna diventò quasi di ghiaccio. Mi guardò e disse:
"Dottore, io sto venendo qui per parlare di quanto è maleducato mio figlio. Quegli anni che lei mi chiede sono per me chiusi. Voglio interrompere qui.". Anna si alzò, mise i suoi occhiali in tartaruga con la catenella.Il rumore del pugno sui tre giri di perle al collo. Andò via, alla sua seconda seduta.