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Esclusiva: Rowland Phillips, “non si deve aver paura di sbagliare”

Creato il 10 dicembre 2014 da Soloteo1980 @soloteo1980
Rowland Phillips ai tempi degli Aironi (mia foto)

Rowland Phillips ai tempi degli Aironi (mia foto)

BT Murrayfield (Edimburgo) – Rowland David Phillips ha lasciato un ottimo ricordo ovunque sia stato, come giocatore ma, soprattutto, come allenatore. A Neath, dove ha vinto quattro Premiership gallesi consecutive, è considerato quasi come un eroe, ma anche in Italia, nonostante sia arrivato in un momento storico molto delicato del rugby italiano, con l’ingresso in Celtic League, alla guida degli Aironi finiti malamente dopo solo due stagioni di vita, ha saputo lasciare il segno in tutte le persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo.

Phillips, classe 1965, dopo la parentesi celtica si è fermato a Viadana, diventando allenatore dei Leoni gialloneri in Eccellenza e rimanendo sulla panchina del club lombardo fino allo scorso maggio, quando ha annunciato il suo addio. Dopo un veloce passaggio in Galles, ancora a Neath, da novembre è diventato allenatore della difesa dei London Welsh, club di Aviva Premiership molto ambizioso ma, al momento, in grosse difficoltà in termini di risultati.

Gli Exiles sono venuti ad Edimburgo a sfidare i Gunners nel terzo turno di Challenge Cup in quella che era la loro prima apparizione alla Highland Cathedral; l’ultima volta che i Cymry Llondin erano saliti fin quassù, infatti, avevano sfidato gli Edinburgh Accies in B&I Cup al Raeburn Place, lontano solo un paio di miglia da qui ma, a tutti gli effetti, un altro mondo.

Non manca di certo il coraggio, al buon Rowland, perché assumere l’incarico di coach della difesa di una squadra che, prima del suo arrivo, aveva subìto sconfitte pesantissime in tutte le competizioni, può essere una sfida eccitante ma riserva, sicuramente, più di qualche incognita.

La chiamata dei London Welsh è, per me, una grande opportunità di tornare al rugby professionistico e sono stato contento e orgoglioso di averla accettata. La squadra gioca in Premiership inglese e so che, quando sono arrivato, era ultima in classifica, ma sono consapevole della sfida e mi piace misurarmi in situazioni un po’ difficili, come è stato guidare gli Aironi in Italia”

È davvero molto simile la situazione che ho trovato qui rispetto a quella dell’inizio dell’avventura con gli Aironi; anche i London Welsh sono ultimi in classifica, anche qui abbiamo avversari molto, molto forti come era capitato in Celtic League, con grande esperienza e grande tradizione”, continua Phillips, “ma qui c’è una grande differenza, che tutti parliamo la stessa lingua e ci capiamo meglio. Quando ho iniziato con gli Aironi il mio italiano era un po’ povero ed era davvero difficile spiegare ai giocatori i punti importanti del gioco e anche capirsi con loro“.

Qualche tempo fa, Marius Goosen aveva detto che al Benetton Treviso i problemi di questo inizio di stagione erano dovuti, anche, al fatto che i nuovi giocatori stranieri non parlassero italiano e facessero per questo più fatica ad inserirsi negli schemi. Qualcuno, allora, ha sorriso, ma evidentemente la barriera linguistica è un problema che, nel rugby italiano, c’è da qualche tempo e torna regolarmente a farsi vivo.

Il saluto che i Miclas, tifosi di Viadana, hanno dedicato a Phillips al termine dell'avventura con gli Aironi (mia foto)

Il saluto che i Miclas, tifosi di Viadana, hanno dedicato a Phillips al termine dell’avventura con gli Aironi (mia foto)

Il secondo anno del progetto Aironi abbiamo, dopo aver lavorato tanto su tutti i particolari, facendo piccoli ma continui passi avanti ogni settimana e concentrandoci anche molto sui dettagli, ottenuto risultati importanti, battendo Munster, Connacht, Edinburgh. Qui, stiamo lavorando allo stesso modo. Oggi nel primo tempo non si è visto molto il mio lavoro, perché abbiamo giocato più in attacco, ma nel secondo tempo abbiamo dovuto difenderci quasi per quaranta minuti nei nostri 22m e abbiamo fatto anche bene, ho visto anche oggi dei grandi passi avanti. Mi spiace tanto aver perso oggi, perché la partita è stata equilibrata e abbiamo buttato una grande opportunità per vincere“. I London Welsh, da quando Phillips è arrivato in novembre, non hanno raccolto ancora un successo ma, almeno, hanno iniziato davvero a contenere il passivo non subendo più – match contro gli Wasps a parte – passivi imbarazzanti.

Uno dei problemi più grandi che ho trovato in Italia è stato l’orgoglio dei giocatori, un aspetto positivo che però portava i ragazzi a non volere mai fare un errore e, di conseguenza, a non prendersi responsabilità. Se si ha paura di sbagliare, si preferisce non fare nulla e ‘nascondersi’ nel gruppo, piuttosto che prendersi la responsabilità ma poi sbagliare. I London Welsh sono sotto pressione adesso, siamo in una situazione un po’ delicata per i risultati negativi ma i giocatori hanno una mentalità diversa; non hanno paura di provare e sbagliare, non hanno paura di mettersi in gioco rischiando anche di non fare le cose nel migliore dei modi. Questa, forse, è la differenza più grande che ho notato tra le due esperienze“.

Il momento più bello in Italia? Ce ne sono tanti, sono contento di aver avuto occasione di allenare e vivere in Italia. Il primo anno abbiamo vinto due partite, contro Biarritz in Heineken Cup e contro Connacht in Celtic League, poi nella seconda stagione abbiamo vinto più gare e questi sono davvero momenti belli, perché vedi i risultati sul campo del lavoro che hai fatto con la squadra, vedi la mentalità dei ragazzi che vogliono vincere. Quando abbiamo provato a costruire una nuova struttura e i ragazzi ci seguivano, questa è davvero una cosa piccola ma che mi riempie di orgoglio. Battere Munster in casa è il risultato finale che tutti vedono, ma siamo arrivati a quella vittoria attraverso il duro lavoro durante le settimane in allenamento. Io ho provato, quando ero in Italia, non solo a costruire il gruppo con il lavoro quotidiano, ma anche a cambiare la mentalità dei giocatori; quando lavori coi giovani hai terreno fertile, perché i ragazzi giovani sono pronti a cambiare e hanno la mente più aperta. Queste sono le cose che mi fanno dormire bene la sera, piccoli risultati che aiutano il gruppo a crescere“.

Il tempo passato in Italia, alla guida di una delle due squadre professionistiche impegnate in Celtic League, ha anche dato l’opportunità a Phillips di entrare in contatto con molti giocatori nell’orbita della nazionale italiana. Nonostante il grande amore per l’Italia, o forse proprio per questo, il coach pensa che la Nazionale tragga giovamento dall’esperienza all’estero degli elementi migliori. “Se un giocatore resta sempre in Italia non riuscirà mai a cambiare, soprattutto dal punto di vista della mentalità, e qui torneremmo al discorso fatto in precedenza. Prendiamo Masi o Castrogiovanni, due giocatori che in Inghilterra hanno fatto benissimo; loro si sono inseriti in un nuovo ambiente, in nuove strutture, sia dal punto di vista professionale che personale e questo li ha aiutati a crescere, ad essere persone più estroverse, a provare qualcosa di difficile senza paura. Per me è importante che i giocatori italiani che hanno occasione di andare all’estero vadano senza esitazioni, per confrontarsi con altre culture. Io in Italia ho visto tanti ragazzi preoccupati per delle cose piccole, senza grande importanza, che impiegavano troppo tempo a recuperare mentalmente da errori banali. All’estero, avrebbero opportunità di dimenticare in fretta le cose irrilevanti e a concentrarsi sugli aspetti più importanti”.

Un altro aspetto che, forse, aiuterebbe il rugby italiano nella sua difficile crescita sarebbe l’introduzione del doppio tesseramento – che in UK è una realtà e aiuta i giocatori, se non inseriti nei 23 della squadra ‘pro’ di riferimento, a mantenere il ritmo partita giocando nel campionato domestico.

Assolutamente, questo è un aspetto importantissimo. Faccio un esempio; agli Aironi avevamo un pilone, Andrea De Marchi, che nella prima stagione ha giocato solo due partite. Per un pilone, questo è impensabile; un pilone deve giocare ogni sabato, tutte le settimane. Questa sarebbe un’innovazione da apportare subito nel rugby italiano, una delle più importanti. Un altro esempio: gli Ospreys hanno una prima squadra, hanno altri dieci giocatori che sono appena sotto ma che si allenano con la prima squadra e fanno parte del gruppo allargato, poi ci sono quindici giocatori dell’Accademia che tutte le settimane giocano in Principality Premiership (il campionato domestico gallese) con Neath, Swansea e le altre squadre della Region. Giocano, mettono minuti nelle gambe, hanno possibilità di mettersi in mostra. Quando ero head coach degli Aironi, questo aspetto è stato uno dei più frustranti della mia esperienza; se io parlo con un giocatore, durante tutta la settimana, gli faccio i complimenti, vedo che si impegna ma per me non è ancora pronto e non lo inserisco nei 23, lui resta fermo quella settimana e non ha occasione di farsi vedere e di giocare. Se capita così per un mese, un mese e mezzo, lui in tutto quel periodo non vede mai il campo. Quando deve giocare, non è mai pronto. Questa è davvero una cosa che deve cambiare subito“.

L’Eccellenza italiana, comunque, non è lontana dagli standard della Principality Premiership. Calvisano, Rovigo, Mogliano e anche Viadana sono assolutamente al livello delle migliori squadre gallesi e qualcuna di queste è anche più forte, soprattutto dal punto di vista della mischia chiusa che in Eccellenza è un aspetto molto curato. La grande differenza è che in Galles nelle squadre di Premiership giocano un sacco di ragazzi giovani, di teenagers, con qualcuno un po’ più vecchio ed esperto, mentre in Italia giocano tanti giocatori vecchi ed ex professionisti che creano una sorta di ‘blocco’ per i giovani che non trovano spazio. Agli Ospreys abbiamo dato (con Neath) più di qualche ragazzo che poi ha debuttato in prima squadra e questo era il nostro obiettivo; se io riesco a crescere un ragazzo che debutta con gli Ospreys e poi in Nazionale io ho raggiunto il mio target e sono soddisfatto di aver fatto qualcosa di buono per questo ragazzo, per la sua crescita. In Italia l’obiettivo è vincere l’Eccellenza, vincere il campionato per mettersi lo scudetto sul petto o una medaglia al collo ma senza una programmazione per il futuro“.


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