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Esecuzione di Angela Capobianchi

Creato il 08 settembre 2011 da Sulromanzo

Esecuzione di CapobianchiOggi vi parlerò ancora di Sul Romanzo che non desidera essere un’isola, a più tardi con gli aggiornamenti sul Primo festival dei blog letterari. Nel frattempo, tentiamo una nuova esperienza di qualità e di condivisione di contenuti, in altre parole il primo di una serie di post slegati dalla redazione del blog: inviteremo qualcuno a proporre articoli per Sul Romanzo.

Iniziamo con una recensione di Emanuele Pettener, il quale insegna lingua e letteratura italiana alla Florida Atlantic University, a Boca Raton, quaranta miglia a nord di Miami. In Italia e negli Stati Uniti ha pubblicato diversi racconti e saggi.  

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Esecuzione di Angela Capobianchi (Piemme, 2011)

Qualche tempo fa, a Pescara, mi son trovato casualmente a tavola con Angela Capobianchi. Ex-avvocato, ora scrittrice a tempo pieno – malgrado ciò donna avvenente e simpatica. Abbiamo conversato di corbellerie, mangiato pesce delizioso, abbiamo riso, osservato il mare davanti a noi, fumato. Poi, siccome anch’io sono avvenente e simpatico, mi ha regalato Esecuzione, il suo ultimo romanzo fresco fresco di stampa (Piemme, 2011).

Ora, io nutro molto rispetto per i gialli, come lo nutriva Borges: perché il giallista è affezionato ancora a quella vecchia carcassa chiamata trama. Anzi, la pone come prima cosa. Del resto, troppo facile scrivere un libro senza trama.

È vero che talora la trama può diventare catena di schiavo, e l’affannosa corsa a trovare il colpevole può soffocare il respiro del libro e del suo lettore: tutto viene sacrificato sull’altare dell’indagine, un po’ come nella pornografia sull’altare del sesso. Di conseguenza, nessuna divagazione filosofica od estetica, personaggi come figurine, dialoghi artefatti, oblio della bellezza – del paesaggio, dei dettagli della vita, degli avverbi.

Esecuzione va in direzione opposta: il respiro lo allarga, ti tiene incollato alla pagina dalla prima riga e ti diverte sempre, ma al contempo si fa ritratto umano, dipinge protagonisti e comprimari con rara arte psicologica – attraverso particolari, dialoghi drammatici, sfumature coloristiche - non rinuncia a farti sentire gli odori della città di mare dove si svolge la vicenda, non rinuncia a una prosa limpida, al piacere della similitudine, come quando descrive l’ira del Commissario Conti, difficile da controllare come “per un leone a digiuno davanti alla preda”.

Quel Conti. È il detective. Personaggio che ha un mondo in sé, che per fortuna non si chiude: complesso, affascinante, fatto di chiaroscuri. Duro e impuro. Attenzione, perché questa è la novità: la retorica del giallo moderno prevede che l’eroe abbia sì difetti e debolezze, ma difetti e debolezze “gradevoli”, che ce lo rendano ancora più caro, in quanto più umano. I detective di Camilleri e Carofiglio, per esempio, non smettono mai di compiacere il lettore, anche nei momenti meno nobili, e stanno sempre dalla parte politica giusta. Conti non sta da nessuna parte, non adesca il pubblico con la consueta adesione ai più deboli, la Capobianchi elude l’ipocrisia del pathos – e i difetti di Conti son reali, non fanno tenerezza, e la nostra simpatia per l’eroe oscilla pericolosamente: in primis, è un iroso quasi patologico, poi è il classico egocentrico puerile che ha perso la moglie che amava per negligenza, distrazione, forse persino gelosia nei confronti del figlio che lo ha spodestato dal piedistallo: insomma, è un eroe ma è anche un coglione. Si fa amare, tuttavia, quando diventa vergognino d’innanzi lo smascheramento della sua ignoranza, o nei suoi balbettii con l’ex-moglie, e nella preoccupazione per il figlio decenne (i bambini in letteratura, come al cinema, sono sempre insopportabili: la Capobianchi è brava ad evitarlo, anche se in un paio d’occasioni corre il rischio).

La relazione con l’ex-moglie e il bimbo di dieci anni può sembrare una storia parallela, una scelta dell’autrice per rilassare il lettore dai ritmi concitati dell’inchiesta, per illuminare nuove angolature dell’anima in subbuglio di Conti, per dar pepe – sin dall’inizio, infatti, è chiaro il filo erotico teso fra Conti e l’ex-moglie, e anche il lettore romantico vuol la sua soddisfazione!

In realtà, piano piano cominciamo a sospettare che la vicenda personale non è solo parallela, ma integrante a quella gialla, per fondersi in un finale da vivere davvero trattenendo il fiato, temendo il peggio, dandoci una pacca in fronte per non averlo capito prima…

Ma questa storia – ambigua sin dal titolo, lo vedrete - avvince il lettore da subito: una giovanissima pianista viene trovata ammazzata in pineta, con una misteriosa incisione sulla fronte. Le incisioni, ciascuna lievemente diversa dalle altre, torneranno sulle vittime successive (la Capobianchi fa una strage). Topos del romanzo giallo, chiave di volta dell’intera faccenda, le incisioni sui cadaveri sono gli elementi che permettono anche al lettore di indagare, assieme all’accurata analisi psicologica degli indagati – ma non solo, si badi! L’assassino a un certo punto si svela, come nel più celebre dei capolavori della divina Agatha Christie (L’assassinio di Roger Ackroyd) – solo che sia noi lettori che il detective, ossessionati dall’invisibile e ciechi di fronte al visibile, non ce ne rendiamo conto…

Concludendo, davvero una bella storia, fine, tesa, con una scrittura forte che non è solo mezzo, con un mondo di personaggi che restano nella memoria, dalla maestra di piano, altera e carismatica, all’avvocatino untuoso, dal vice-questore idiota allo scaltro e malinconico panzone Rocci, – senza una pagina in più, senza sbrodolamenti, senza trucchetti.

La Capobianchi ha già avuto riscontro del suo talento, ha vinto il premio Gran Giallo Città di Cattolica con Delitto alle Terme, pubblicato nei “Gialli Mondatori”, e I Giochi di Carolina è diventato un best seller in Olanda. Ma scrive meglio di tanti giallisti e soprattutto di tanti non-giallisti, per cui profetizzo molto di più: Camilleri, Carofiglio, Faletti e tutti gli altri - state in guardia!

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