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Esempi di crozzonaggine collettiva // Recensioni

Creato il 07 settembre 2014 da Abattoir

2# Palermo da (non) bere, turisti da fottere,  street food da ***are

Esempi di crozzonaggine collettiva // Recensioni

Street food, via Torremuzza (Kalsa), Palermo

Kalsa, ore 20:30, fame di pasta stradale; ci sediamo in quattro (io, A., L. e D.) alla trattoria “Da Salvo, padre Aldo”.
I tavoli sono spartani e in mezzo alla strada, il pesce è esposto sotto le mosche notturne, ma la brace en plein air è invitante, poi ci abbiamo mangiato qualche altra volta (non in estate) e non è stato male.
Forse però ad agostomogliemianonticonosco il lobo frontale (sede delle funzioni evolute) di alcuni siciliani inizia a friggere sotto il sole, condito dal sale fituso delle vicine spiagge di Romagniuolo o del più ricco porticciuolo della Cala.
Sarà per questo che la cena inizia con noi che veniamo scaraventati sul primo tavolo libero e, dopo mezzo nanosecondo dalla nostra seduta, prontamente ingiunti ad ordinare senza un menu.
ALT! “Noi gradiremmo il menu!”
Dopo altre due ingiunzioni nei successivi due nanosecondi per ordinare subito almeno da bere, ci accolliamo vino della casa e iniziamo ad attendere il famigerato menu. Attendiamo il menu… e attendiamo il menu ancora… mentre i camerieri corrono sudaticci ovunque ed io inizio silenziosamente a temere lo sputo nel piatto: troppo tracotante la nostra richiesta di menu in effetti; per questo forse veniamo ignorati tipo suini pur alzando le esili ditina digiune al cielo nell’atto di chiamare a noi un cameriere mosso a pietà dall’altrui fame.

[…]

Okkei, ci hanno visto e ci scaraventano i menu di plastica consunta sul tavolo; ci decidiamo in sette minuti, facciamo qualche altra dozzina di cenni prima di essere degnati di uno sguardo, quindi il cameriere arriva – miracolo! -, poi se ne va lasciando a metà l’ordinazione (!) e ci si avvicina un panzone con la fintapolo blùsporcaoscolorita e l’aria fiera di sé: è Salvo (padre Aldo), un uomo vero, misurato, con l’occhio-a-pampina-da-sicurezza. Non emette un suono, un gesto, né un respiro in più del necessario. È u patruni, iddu.
“Allora.”
Io, tono divertito, ignoro la mia netta sensazione che Salvo padre Aldo sia stizzito.
“Sì, prendiamo due pepate di cozze, due spaghetti alle vongole, un gambero rosso…”
“Scoglio, gamberi e gamberi e cozze.” Lo ingiunge secco Salvo.
“No, volevamo…”
“Scoglio, gamberi e gamberi e cozze.” Riingiunge secco Salvo.
Rimango smarrita. I miei coinquilini di tavolo capiscono, io no, e mi spiegano che evidentemente alle 20:30 di un venerdì ci sono solo quegli ingredienti. Lui ci guarda con sufficienza e noia. Mi chiedo perché “issignorSalvo” (tutto attaccato, lo chiamano così i dipendenti) non ce lo abbia spiegato, invece di ripetere con antipatica indifferenza “Scoglio, gamberi e gamberi e cozze.”, ma per fortuna ho fame e mi arrendo facile all’incomprensibilità de “la megghiu parola è chidda ca un si dici”:
“Allora prendiamo due pepate di cozze, due pasta allo scoglio, una gambero rosso e un’orata!”
“Spigola o sarago.”
“Ah…”
“Spigola o sarago”, ripete monotono, in automatico, Salvo. È un professionista della coercizione, penso.
“…Okkei, spigola… …insieme ai primi…” dice L., disorientata.
Io rido per non abbrutire l’umore dei commensali, ma sono turbata perché “issignorSalvo” mi pare malacarne e noi non parliamo siciliano incarcato (le mamme non volevano), quindi non ci rispetta: in quattro c’è una media di 33,25 anni, eppure veniamo trattati come quei turisti sedicenni a cui potrebbero potenzialmente dare u pisci fituso per aiutarli a passare una splendida notte panormita al Cervello. Paura, e però noi siamo adulti e maturi (!) e ci rassegniamo con classe al menu imposto e al fatto che, come nei migliori film, fino alla fine qualcosa NON va come deve andare: arriva subitaneamente il solo spaghetto (scotto) al gambero rosso. Restiamo straniti, chiediamo spiegazioni col sorriso.
“Perché, voi non avete ordinato un gambero rosso?!?”, fa il cameriere con sufficienza sudacchiata, spalleggiato da Salvo sempre padre Aldo.
“Sì… ma per antipasto la pepata di cozze……”
Silenzio, ci lasciano l’unico piatto di pasta ramingo sul tavolo. A. lo prende in imbarazzo e si accinge a mangiare da solo prima che diventi ‘na crema. Intanto (timore) si riavvicina il cameriere sudacchiato e frettoloso: “Mi scusi, era di un altro tavolo!”; noi facciamo spallucce credendo che educatamente lo porteranno via, ma vediamo Salvo, forse ispirato dallo spirito di padre Aldo, che fa il tipico gesto flemmatico del siciliano chi parra picca e mancia assai: muove la manina grassoccia in aria come a scacciare il vento, tipo a dire “laissa stare, lassaccillu, chi se ne fotte!”
Amen, il piatto resta lì, ben scotto: crema di pasta al gambero rosso, con A. che mangia siddiato da solo mentre arriva la pepata di cozze. Discreta. A. mangia contemporaneamente pasta scotta+cozze+scarpettaconsughettodipepatacozze e non è contentissimo, arrivano a sprazzi gli spaghetti allo scoglio, io e D. ne siamo soddisfatti e crediamo che adesso andrà tutto per come DEVE andare …ma… …la spigola non perviene. L. sta puzzando di fame ed elemosina gli scarti dei nostri piatti, succhiandosi una cozzitella qua e una cozzitella là. Ci informiamo su questa strana attesa, ma non riceviamo risposte, finché la spigoletta, secca secca e lunga, non si palesa dopo circa tre quarti d’ora.

Io sono infastiditissima, friggo sulla seggia di plastica bianca, odio queste ingiustizie. Vabbé, finito, stop, manciati sta spingula che stiamo per alzarci.
“Il conto per favore!”, e iniziamo in gruppo a pensare che sicuramente ci offriranno un caffè-di-perdono. Il conto, invece, ci viene comunicato a voce (sulla fiducia) dopo altri infiniti minuti su minuti; ci sembra sbagliato e chiediamo la nota. Stizziti, ce la portano e chiedono scusa frettolosi: “era il conto di un altro tavolo” (!!!).
Le nostre facce ormai sono dipinte da Munch, siamo mortificati da cotanta coglionaggine e paghiamo (neanche poco) senza nessun caffè-di-perdono; in compenso aspettiamo 5 euro di resto per un quarto d’ora. Qui mi urto sul serio, li chiedo –  sfacciata quanto loro – al cameriere sudacchiato che cade dalle nuvole, ce li portano tutti stropicciati, ce ne andiamo e sequestro pure i 20 centesimi che A. lascia sul tavolo trovandoseli in tasca.

Commenti:
La tipica inculata che i furboni siculi rifilano ai turisti per incoraggiarli a tornare in Palemmo. E siccome noi non parliamo siciliano incarcato, per loro siamo turisti.
Intristiamoci allora in gruppo per il maltrattamento che i poveri turistini sprovveduti ricevono nella nostra terra amata e disgraziata di paste col forno, sarde e crozzoni …per i quali, appunto, l’aggettivo “TURISTA” è ormai sinonimo di inculata o, più finemente, di pigghiata pu culu. …Ché siamo un paese in via di inviluppo noi del futti futti (tanto Dio perdona a tutti , oh yeah).
E con questa consapevolezza torniamo a casa sicuri che, a causa di Salvo padre Aldo, molti milanesi non solum non torneranno più in Sicilia, sed etiam voteranno Lega Nord.

 

P.S.:
Questo pezzo è un tentativo di raccolta-prove per un’indagine psico-sociale: 
mira a sperimentare se Salvo padre Aldo è uno con le mani in pasta e la grossa faccia tagliata o ne ha solo l’aria.
Se non avrete più mie notizie, LO E'.
(Venite a cercami in via Torremuzza: no, non è capretto pre-pasquale; sono le mie natiche servite su succulente griglie stradali.)

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