Eserciti di lingue e manipoli di orecchie
Creato il 18 febbraio 2011 da Ilgrandemarziano
Poiché comunicare è una delle prime cose che s'imparano, si tende a sottovalutarla e a darla per scontata e acquisita. Invece dovrebbe essere tutt'altro, giacché si tratta dell'abilità fondamentale che, mettendoci in relazione con il mondo esterno, contribuisce nel corso degli anni a costruire, aggregare, impilare, cristallizzare, modellare tutto quel corpus di opinioni, convincimenti, meccanismi di pensiero e circuiti di giudizio che nel loro insieme ci rendono ciò che siamo. Purtroppo però, l'osservazione dell'attuale mondo della comunicazione, sia di derivazione televisiva che informatica, mi ha fatto giungere alla conclusione che il riprodursi selvaggio delle opportunità di scambio di informazioni abbia nello stesso tempo fortemente (e paradossalmente) regredito, quasi atrofizzato, proprio la capacità degli umani di comunicare, al punto da poter essere considerata una facoltà di fatto in via di estinzione.
Le ragioni di questo processo sclerotico che dura da almeno vent'anni, ma che a mio avviso ha subìto un crollo verticale negli ultimi quattro o cinque, forse qualcuno in più, non penso tuttavia debbano essere ricercate inseguendo tesi cospirazioniste. Non credo ci sia dietro una regia occulta che ha voluto manipolare gli esseri umani in questa direzione per promuovere il proprio dominio sulle menti deboli. Ritengo invece si tratti della semplice (ma assai nociva) applicazione delle nuove tecnologie della comunicazione globale alle risposte psicologiche umane, attraverso le regole odierne della politica e dell'economia.
Se è infatti vero che buona parte dei comportamenti degli individui viene condizionato soprattutto dall'emulazione, e in particolare dagli esempi che esprimono forza e autoaffermazione, dunque vincenti, non scopro certo io adesso che negli ultimi anni si sono moltiplicati i modelli di comunicazione degenerata. In poche parole il punto è che non si assiste quasi mai a una comunicazione a due sensi. Anche coloro che dovrebbero confrontarsi, non lo fanno mai realmente, bensì danno vita a una specie di ballarizzazione della dialettica, in cui grazie anche agli artigli di una regolamentazione inselvatichita, lo scopo ultimo è cercare di far prevalere a tutti i costi la supremazia del branco, ovvero l'illusione di essa. E fin qui niente di nuovo. Il punto è che questi modelli hanno trovato terreno fertile alla diffusione popolare (e capillare) attraverso la televisione e alla replicazione attraverso l'information technology, dove fungono a loro volta da esempi, in una reazione a catena involutiva difficile da invertire e dunque potenzialmente (e pericolosamente) senza fine.
È sufficiente osservare le situazioni in cui viene concessa la possibilità di una comunicazione bidirezionale su un qualsivoglia argomento, purché di un qualche interesse comune (è chiaro che in questo caso i temi che funzionano meglio sono quelli di natura etica, sociale e politica, ma anche - per esempio - lo sport). Se prendete dunque a titolo di esempio un blog che ottemperi a queste condizioni, come pure delle discussioni su Facebook o altrove, difficilmente noterete una comunicazione basata sull'ascolto reciproco. La prova ne è il fatto che, tranne rari casi, la gran parte delle volte non nascono dibattiti circolari, ovvero tra i visitatori, ma nella maggioranza delle volte la comunicazione si instaura (e limitatamente) solo con il "padrone di casa" che, nel migliore dei casi, risponde puntualmente a ciascuno degli ospiti, dopodiché tutto si esaurisce lì.
Insomma quello cui mediamente si assiste è una processione di singoli individui che, pur avendo degli interlocutori, finiscono per non comunicare, se non con se stessi, assecondando in questo modo - attraverso la comunicazione - quello che la società fa credere loro che sia importante: il protagonismo, l'autoaffermazione, il successo, perché sono queste le peculiarità che la società promuove rispetto al riconoscimento della validità della propria esistenza. E questo implica anche voler evitare il rischio di dover, a un certo punto, essere costretti ad ammettere le ragioni dell'altro. Ma se da un lato - e con un bel po' di fatica - si può anche concedere di trovare questo approccio quanto meno digeribile quando si tratta di "spettacolarizzazione", ovvero nelle trasmissioni TV, non lo è più nel momento in cui lo si osserva propagarsi come una pandemia fino alla base della piramide sociale, in quanto fa perdere la speranza che la nave possa davvero cambiare rotta.
Perché le sorti di questa società disastrata passano attraverso un confronto vero, reale e leale, fatto di argomentazioni e discussioni non onaniste e dunque - perfino - attraverso la concessione al riconoscimento di una reale possibilità che qualche frammento di verità possa essere sepolto anche nel campo di colui che sta di fronte a noi.
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