In trappola
di Maciej Sieńczyk
È curioso come quel giorno mi sia rimasto impresso nella memoria come particolarmente lieto. Finiva proprio allora una lunga sequenza di giorni di pioggia e dei forti temporali sembravano promettere un miglioramento. Una gentile ragazza mandata da una certa galleria d'arte era venuta da me a prendere cinque miei disegni che dovevano essere esposti in Slovacchia; nella circostanza mi diede da firmare il contratto. Il giorno dopo mi arrivò una mail dalla galleria: non volevano i disegni che aveva preso la ragazza ma degli altri e bisognava cambiarli. Non ci vidi nulla di male, io stesso mi ero meravigliato che avessero scelto proprio i meno riusciti. Nel frattempo era arrivato il contratto dalla Slovacchia e quando la ragazza venne di nuovo da me lo firmai in sua presenza. Ricordo che scherzammo sul fatto che io non conosco lo slovacco e chissà cosa stavo firmando. Passò qualche giorno. Contrariamente alle attese il tempo non era migliorato e faceva di nuovo freddo. Mi arrivò una mail dalla Slovacchia: era necessaria un'aggiunta al contratto. Sarei dovuto andare all'ufficio del Fisco, prendere e compilare un certificato e mandarlo in Slovacchia. Senza il certificato la trattenuta sul compenso che mi corrispondevano per il prestito dei disegni sarebbe stata del 35%, e col certificato solo il 5%. Il compenso non era gran cosa, sicché mi dimenticai completamente della faccenda. Qualche giorno dopo suonò il telefono: una signora chiamava dalla Slovacchia e diceva qualcosa in inglese. Risposi che scrivessero una mail.
Qualche tempo dopo incontrai il postino che mi diede una lettera dalla Slovacchia. All'interno c'era - di nuovo - il contratto. Probabilmente per via di qualche dimenticanza o incomprensione il precedente non era mai arrivato in Slovacchia. "Mai" - pensai scuotendo la testa con un sorriso - "ho firmato così tanti documenti come per questa faccenduola insignificante". Ristampai di nuovo tutte le pagine, firmai e rimandai indietro. Nel frattempo mi aspettava una mail dalla Slovacchia. Chiedevano del certificato. Risposi che mi trattenessero pure il 35%, perchè non mi andava di girare per uffici pubblici. L'indomani mi risposero che era nel mio interesse pagare il 5% invece del 35. Risposi che il giorno dopo sarei andato a chiedere il certificato.
Questi furono gli ultimi momenti di chiarezza del mio pensiero, il seguito riesco a ricostruirlo solo con enorme difficoltà. Ricordo che andai all'ufficio del Fisco vicino a dove abitavo all'epoca e cercai lo sportello dove, mi sembrava, consegnavano a vista quei certificati. Dietro lo sportello c'era un nonnetto. Avevo scaricato da internet il modulo, l'avevo stampato e riempito e lo diedi al nonnetto. Appoggiato al tavolino e guardando da tutt'altra parte aspettavo che - corredato del timbro - mi ritornasse in mano. Invece di questo, udii una voce gracidante che mi diceva: "Che roba mi sta dando?" "Il certificato" - risposi, completamente immerso nei miei pensieri - "perchè mi serve il timbro dell'ufficio del Fisco". "Che certificato?" - rispose il nonnetto. "Non so, non me ne intendo. L'ho trovato su internet, l'ho stampato e adesso glielo sto dando". "Cioè, devo sapere io cosa le serve?", chiese. Tornato completamente coi piedi per terra e già leggermente infastidito dall'aggressività del nonnetto chiesi allora cosa dovevo fare per ottenere un certificato valido. "Deve compilare una richiesta". "Che richiesta?", domandai stupito. "Cioè, devo sapere io quale richiesta? Scriva che vuole ottenere il certificato". "Non ho fogli di carta con me. Posso scrivere la domanda sul retro del certificato che avevo portato?" "Eccole un foglio di carta bianca". Scrissi che richiedevo il rilascio del certificato etc. etc. Il nonnetto disse "Sono 17 zloty di diritti di rilascio". Tirai fuori il denaro ma il nonnetto rispose: "Io non prendo soldi. Deve pagare sul conto dell'ufficio del Fisco". Chiesi dove fosse la cassa, per pagare immediatamente. Il nonnetto rispose che non c'era nessuna cassa. Poi dopo un po' di esitazione aggiunse di andare in comune, pagare lì e tornare con la ricevuta. Andai in comune e ritornai. Il nonnetto prese la domanda, la lesse, chiese di aggiungere qualcosa e alla fine soggiunse: "Torni fra una settimana per il ritiro". Chiesi com'era possibile che al giorno d'oggi un controllo di dati e l'apposizione di un timbro fossero faccende tanto complicate. Rispose: "In futuro dovrebbe cambiare qualcosa. Ma non per il momento".
Trascorse una settimana. Una mattina dalla cornetta del telefono sentii una voce tremolante: era il nonnetto. "Sono arrabbiato con lei perchè non mi ha detto che era residente a Lublin. Qui mi hanno rimproverato di aver accettato la sua domanda, mentre lei doveva rivolgersi presso il suo luogo di residenza. Ma va bene così: ho mandato la sua domanda a Lublin, chiami pure loro". Mi dispiacque per il nonnetto, di sicuro i suoi colleghi più giovani lo avevano non poco sfottuto; ma nello stesso tempo ero arrabbiato con lui perchè faceva tanto sciattamente il suo lavoro: avrebbe dovuto verificare i dati al momento, e non venirmi a rompere la testa adesso.
Dopo qualche giorno telefonai all'ufficio del Fisco di Lublin, col presentimento che il certificato si allontanava da me a mò di un messaggero cieco in una notte tempestosa che cavalcava all'indietro un cavallo spinto dagli speroni. L'impiegata mi rispose che la collega che si occupava di quei certificati quel giorno era assente, e che richiamassi l'indomani. Telefonai quindi il giorno seguente: dopo una serie infinita di collegamenti con persone sempre diverse, mi fermai infine in una sorta di terra di mezzo servita da una donnetta. La donnetta cominciò a chiedermi dove avevo la sede. Risposi che la mia sede era sia a Varsavia che a Lublin e che facevo la spola fra le due città. Ma che nella domanda avevo già specificato la mia residenza e il posto in cui pagavo le tasse. "Non si tratta di questo" - replicò. "Dov'è che abita per più tempo, dov'è la sua sede? Dov'è che paga l'affitto, la luce, il gas?" Risposi che pagavo affitto, luce e gas in entrambe le città. "Davvero, mi è difficile stabilire con esattezza dove ho la sede", aggiunsi, sperando che una risposta formulata in questo modo potesse soddisfarla. La donnetta mi chiese nome, cognome e PESEL (l'equivalente polacco del codice fiscale, ndt) che le compitai faticosamente lettera per lettera, al che lei rispose seccamente: "Qui non è arrivata nessuna richiesta". Sentii il terrore lentamente diffondersi nelle mie dita. Avevo già sentito diverse storie su varie istituzioni, ma le avevo sempre ascoltate malvolentieri o le avevo attribuite alla nostra inguaribile tendenza a lamentarci. A volte avevo addirittura riso alle spalle degli infelici che raccontavano in pubblico simili esperienze. E ora eccomi lì, io stesso con un sorriso ebete in faccia, immerso in un tino pieno di sego che andava rapprendendosi. Per staccare la spina, andai a letto e mi addormentai. Il giorno dopo richiamai il nonnetto per chiedergli se davvero aveva spedito la mia domanda. Mi rispose una donna che mi disse che il nonnetto non c'era e che richiamassi il giorno dopo. L'indomani mi svegliò il telefono: era una donna dall'ufficio del fisco di Varsavia. Disse che chiamava per il certificato e mi passò il nonnetto. Sentii un po' di fruscio e poi una debole voce ormai a me ben nota. Il nonnetto mi ripetè quello che mi aveva già detto, cioè che aveva mandato tutto a Lublin e che da quel momento avrei dovuto chiamare lì. Non ancora del tutto sveglio, risposi che il giorno prima avevo appunto chiamato lì e mi avevano detto che non era arrivato nulla. "No beh" - rispose con voce tanto impotente quanto gentile - "bisogna aspettare. Dovrà aspettare".
Mi girai sul fianco e caddi nel dormiveglia Il sogno non era ancora terminato, quando fui svegliato di nuovo dal telefono. "Da dove mi sta chiamando?" chiesi, strappato di nuovo al sonno, "da quale ufficio?" Da una inaudita lontananza mi arrivò la risposta che dall'ufficio del Fisco, dopodichè la donna cominciò a parlare velocemente e confusamente. "Sì, ma dall'ufficio di Varsavia o da Lublin?" domandai, forse un po' troppo rudemente. Venne fuori che era Lublin. Era appena arrivata la mia domanda proveniente dall'ufficio di Varsavia. La donna cominciò a farmi le domande standard su dove avevo la sede. Poi aggiunse che il modulo era incompleto, perchè alla domanda bisognava aggiungere altri due non so bene quali documenti e che il meglio era che li richiedessi personalmente. Risposi che il signore che aveva accettato la mia domanda non mi aveva detto nulla di ulteriori documenti. Ma ormai non me ne fregava più nulla. Dissi che avevo intenzione di ritirare la domanda, visto che ormai era fin troppo tempo che aspettavo il certificato. Aggiunsi che tutto doveva concludersi con reciproca soddisfazione, visto che io avevo pagato e loro in cambio dovevano limitarsi a fermare l'emissione del certificato. Ma la donnetta si ostinò, disse che per ritirare una domanda non bastava dirlo. Lo disse con enfasi, forse anche con fierezza. Aggiunse che se quella era la mia intenzione dovevo inoltrare un'altra domanda con la richiesta di annullare l'emissione del certificato e sarebbe stato meglio che l'avessi scritta subito e mandata con raccomandata prioritaria, altrimenti mi sarebbe arrivata una richiesta di chiarimenti e sarei dovuto andare a presentarmi personalmente. "Posso essere sicura" - chiese - "che scriverà la domanda di annullamento"? Risposi che al momento lavoravo, ma appena avessi finito avrei scritto la domanda e l'avrei impostata. "Ma la manderà in giornata, così mi arriverà domani?" Mi curvai sotto quella voce gentile e risposi che l'avrei spedita immediatamente. Imprecando mi tirai su dal letto, scrissi la domanda e andai in posta a spedirla. Incapace di liberarmi di quel febbrile stato d'animo, corsi anche all'ufficio del comune e pagai 200 zloty in tasse immobiliari.Due settimane dopo ricevetti una telefonata da mia madre: aveva ricevuto una lettera dall'ufficio del Fisco con la conferma che avevo inoltrato una domanda per ottenere il certificato. Le chiarii brevemente la questione, e le dissi che avevo già mandato un'altra domanda che probabilmente avrebbe annullato la domanda precedente. Tre giorni dopo verso le otto del mattino mi chiamò la signora dell'ufficio del Fisco. Voleva accertarsi che avessi effettivamente inviato la domanda per annullare l'emissione del certificato. Mi sembra di aver risposto di sì.
Dalla visita della ragazza dei cinque disegni erano passate tre settimane. Nonostante i miei quarantatre anni sono ormai un uomo ingrigito e tremante, che manda intorno sguardi supplichevoli con occhi acquosi. Ad ogni istante potrebbero chiamare per il certificato, quindi scrivo queste righe di fretta, ranicchiato in un angolo del letto. Del tutto inaspettatamente, da questa esperienza ho imparato a gioire delle piccole cose. Passeggio per la città e sorrido alle coppiette e ai bambini che si affrettano verso la scuola. Loro vedono un signore ingobbito che a volte si ferma o siede su una panchina e dà da mangiare briciole di pane ai piccioni. Ogni tanto ripenso al nonnetto. Forse una volta era un uomo normale, poi è impazzito, si è identificato con l'ufficio del Fisco e adesso ci lavora gratis e illegalmente. Sentendo delle tante cose orribili che succedono al mondo, dei bombardamenti, delle decapitazioni, mi rallegro che la sorte si sia rivelata tanto clemente con questo angolino di mondo. E che nonostante le difficoltà di cui è lastricata l'esistenza quotidiana nulla sia in grado di arrestare il flusso della vita.