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Non c’è più spazio per le nostalgie, e le graffianti ironie del primo periodo sono un ricordo giallognolo. Vagiscono sottilmente le lenzuola al vento. Cadono i vasi con i fiori della gioventù e si perdono nell’aria vaghi accordi di chitarra, come perdute melodie senza più senso. Si staccano dagli alberi fanciulli i frutti nuovi, ma il sapore è quello antico, stantio, una sapore che non ha nome né profumo e che nessuno saprebbe più definire. La primavera si consuma ogni anno e sorride di meno. Passa l’età, passano idee e sogni brillanti, si spengono trionfali discorsi sul nulla che è tutto e viceversa. È difficile brindare con gioia quando il vino è scolorito ed è difficile essere contenti per quel che si ha, perché quel che manca, a volte, sembra essere la vera poesia. L’inganno è svelato e nascosto ogni giorno, s’illudono i bambini che studiano da adulti, cercando di pietrificare i momenti belli per non dimenticarli più. Fatica vana. Per fortuna. Una natura morta in bianco e nero è il dono della noia, e i quadri nelle stanze dei propri giorni lenti cambiano colore ogni momento, ingannando chi li guarda, chi li dipinge e chi ci scrive sopra. Poi i cani abbaiano e tutto finisce: il sogno d’artista, il pensiero alto, l’idealismo adolescenziale, mentre la nebbia primaverile cancella sbadigli e lamenti, e il trapano del falegname rutta come un ossesso perché almeno il sabato, sì, almeno il sabato… I quadri sono tornati al loro posto, multicolori e immutabili e uno starnuto, talvolta, diventa la cosa più interessante della giornata. Fino alla prossima notte.