Il senso di responsabilità è una specie di diploma per il quale studi e apprendi per buona parte della vita fino a un punto che è come l’esame di quinta elementare, un passaggio che non conta nulla, cioè nessuno ti boccia se non sei pronto perché comunque il tempo passa e la tua vita continua e non c’è modo di ripetere l’anno. Perché quando capita lo fai tuo malgrado, quando non ti sei preso le tue responsabilità rispetto a un impegno lavorativo, per esempio, o nei confronti di una persona o addirittura verso la società stessa, per cui ti licenziano, ti mandano affanculo o finisci dentro o peggio. C’è tutta una gamma di controindicazioni all’irresponsabilità perché siamo comunque nell’ambito del diritto naturale, magari non al primo vagito ma appena ti portano a casa da ostetricia e ti mettono sotto una giostra di pesciolini colorati hai già la responsabilità innata di dover far funzionare i due emisferi che hai nella scatola cranica e riempirli di dati. Poi quando sei adulto la cosa più importante è esercitare tale senso nei confronti della prole, e quando c’è qualcosa che non va te ne accorgi, è come quando duplichi un cd originale e non tieni conto che alcune tracce tra loro non devono avere secondi di pausa perché i due brani sono uniti. Finisce il primo e torni con i piedi per terra e hai solo il tempo di capire l’errore che hai fatto perché riparte il secondo, ma intanto il fastidio per il fatto che l’atmosfera si è guastata persiste. Voglio dire, avresti anche tutto il diritto di andare nel panico, di non avere il polso della situazione, di perdere le staffe e farti saltare i nervi, sono tutte cose più che umane e all’ordine del giorno alle quali bambini in ogni latitudine e longitudine assistono dai tempi dell’invenzione della ruota. Ma il senso della responsabilità, o almeno quello che intendo io, è pensare a come ci vedono loro da laggiù, generalmente l’altezza – almeno quella fisica – è superiore, già l’altezza morale è un altro paio di maniche.
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