Pie IX, par ses tendances au retour d’un ordre de choses détesté, se trouve dans ce moment, sans se douter, l’agent le plus actif de Mazzini […]. Ainsi la ligne du conduite suivie par le Pape conduira à un desordre d’autant plus redoutable qu’au lieu d’être politique, il sera social et aura pour triste conséquence la destruction du sentiment religieux. Mazzini, de son côté lié aux societés bibliques d’Angleterre et d’Amerique, travaille activement à amener ce déplorable résultat.[1]
Massimo d’Azeglio
La Sacra Bibbia tradotta da G. Diodati
Il dibattito recentemente nato e cresciuto all’ombra della ricorrenza del Centocinquantesimo ha toccato a diverso titolo i temi della coscienza nazionale e della sua costruzione storica; è stato tra l’altro messo giustamente in luce da taluni storici come e quanto gli ideali risorgimentali siano debitori ad un discorso sulla nazione di carattere tendenzialmente universalista, che affondava le sue radici (anche) nella massoneria e nel giacobinismo. Proprio per questo suo carattere “totale”, l’ideale nazionale si è storicamente posto in contrapposizione con altri che si ponevano (pongono?) sullo stesso livello, in primis quello dei culti organizzati: il caso italiano in particolare si caratterizzò per una diretta contrapposizione con il potere temporale dei Papi. Gli atteggiamenti teorici nei confronti della questione furono già all’indomani della Restaurazione divisi tra chi sostenne e difese il ruolo che il Cattolicesimo avrebbe dovuto giocare come motore spirituale e cemento dell’unificazione, chi ritenne ormai compiuto il tempo dell’evoluzione delle forme di associazione spirituale -per cui le religioni sarebbero state pian piano accantonate e i loro ideali compresi e trasfusi in quello nazionale- e chi infine ricercò dall’immediato una posizione anticlericale e anticattolica, identificando il Papa e il suo regime con l’oscurantismo tout-court e i suoi sicofanti come nemici dell’Unità italiana.
Non sfuggirà a nessuno come, dopo la stagione dei Gioberti e dei Rosmini e dopo le speranze e le illusioni riposte in Pio IX, dalla sua elezione almeno fino al 1848, il partito di coloro che credevano nell’opportunità di un processo di unificazione della penisola che non intaccasse il potere temporale del papa si sia trovato improvvisamente in minoranza. Meno ovvia è la lettura che alcuni, alla luce di quei processi, vogliono dare oggi del Risorgimento: sarebbe dunque stato un processo di modernizzazione sociale e politica forzata calato dall’alto su un paese tutto cattolico da parte di èlite massoniche e interessate ad incamerare i beni della Chiesa Romana, cui ad un certo punto si prestarono anche i regnanti di casa Savoia. Recuperando in qualche modo la categoria di “paese reale” che la rivista “Civiltà Cattolica” contrappose al neonato “paese legale” già immediatamente dopo l’Unità, una serie di storici cattolici (ma non solo), prima fra tutti Angela Pellicciari[2], evidenzia -in questo non del tutto a torto- le fratture emerse con il processo di unificazione nelle società degli stati preunitari per quello che pertiene il campo religioso (dalle leggi Siccardi in giù).
Senza entrare addentro a questa polemica, si può però fare notare come anche da una buona parte dello stesso clero cattolico vennero nel 1848 gli elogi a Pio IX e gli appelli all’Unità, che si fecero poi sempre più flebili fino quasi a scomparire del tutto nelle fonti documentarie. Significa questo che quei preti e sacerdoti abbiano tutti aderito subitamente al rappel à l’ordre papale? Oppure che si siano semplicemente tacitati rivedendo forse in parte le proprie idee, ma senza rinnegarle del tutto, pur non osando più pronunciarle ad alta voce (ad un analogo silenzio delle fonti si trovano davanti gli studiosi del movimento modernista del secolo successivo)?NOTA
In realtà, per quanto minoritaria, una sorta di terza opzione passò attraverso l’incontro con le idee dell’evangelismo “risvegliato” e quelle degli esuli e cospiratori mazziniani, che ebbe come esito, tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’50 del secolo XIX, l’uscita di alcuni sacerdoti dal Cattolicesimo e la loro adesione al Protestantesimo, se pur in forme tra loro diverse. Certo, la Chiesa protestante per eccellenza all’interno dei confini d’Italia era da secoli quella Valdese: essa però stava giustappunto iniziando ad uscire – oltre che da una condizione giuridica poco tutelata[3] – dalla propria prevalente francofonia. La storia del protestantesimo italiano nel Risorgimento percorrerà infatti i canali, spesso intrecciati e a volte paralleli, dei tentativi di evangelizzazione della penisola da parte dei valdesi da un lato, dalle cosiddette chiese libere (presbiteriane o congregazionaliste) dall’altro -nonché dei rispettivi sostegni internazionali. Forse nessun libro ha saputo descrivere la particolare atmosfera di quegli animati anni, in cui ad alcuni il sogno di un’Italia libera ed evangelica sembrò davvero a portata di mano, come “Risorgimento e protestanti” di Giorgio Spini, uscito nel 1956[4]. Esso fu il primo ed è tuttora il più ampio affresco in materia, con l’indubbio pregio di gettare luce anche sugli intrecci internazionali della situazione politico-religiosa di metà Ottocento, senza dimenticare i gruppi evangelici nati negli esilî europei.
A tal proposito, conviene ricordare che furono proprio alcuni dei summenzionati ex-sacerdoti a formare spesso il nucleo di quel non disprezzabile movimento evangelico, di lingua italiana ma nato all’estero, che ebbe i suoi fuochi in tre dei luoghi principali[5] dell’esulato italiano. Quali luoghi? Prima di tutto guardiamo al confine meridionale con Malta, l’isola sotto il dominio inglese così vicina al Regno delle due Sicilie da accogliere, almeno come punto di transito, molti dei fuggiaschi dalle represse rivoluzioni del ’21 e del ’48-’49: essa ospitava anche il mazziniano Nicola Fabrizi (Nota) nonché la base di alcune società protestanti (anglicane e non) per l’evangelizzazione degli italiani e che si proponevano, come per la Società Biblica Britannica e Forestiera, la stampa e la diffusione di Bibbie e opuscoli di propaganda[6]. Sempre a Malta si pubblicò dal 1845 il primo periodico evangelico italiano, “L’Indicatore”, e nacque una piccola comunità composta prevalentemente di esuli. C’era poi il confine settentrionale con la Svizzera: patria dell’Alexandre Vinet che per primo teorizzò quel che si usa riassumere con la formula “Libere chiese in libero Stato”[7], di quel Simonde de Sismondi autore della Storia delle Repubbliche italiane nel Medioevo -che fu uno dei veri testi manifesto del Risorgimento- e il paese che fin dagli anni ’20 conosceva (soprattutto nella sua componente francofona) quel movimento nato in seno al protestantesimo denominato Rèveil e che è stato variamente interpretato dagli storici. Facciamo allora un passo indietro per dirne due cose.
Trattandosi di un movimento ch fu estremamente variegato e a tratti difforme oltre a conoscere varie fasi e dispiegarsi attraverso vari paesi, vale qui solo ricordarne i tratti principali e unificanti, che si possono elencare ne: l’importanza riconosciuta alla pietà personale e al ruolo dello Spirito Santo, anche come reazione al percepito tradimento dell’eredità della Riforma protestante da parte di gerarchie ecclesiastiche troppo impregnate del razionalismo settecentesco; il sentimento dello smarrimento della semplicità di costumi e di dottrine della chiesa primitiva; un forte appello all’unità della chiesa, vista non tanto come istituzione umana ma come l’assemblea dei credenti; di conseguenza, l’enfasi sul momento della Cena del Signore come momento più alto della comunione dei credenti, indipendentemente dalla comunità o denominazione cui essi appartengono; una sottolineatura della traduzione nella società dei princìpi cristiani, tramite il grande impulso dato all’evangelizzazione (anche all’estero, tramite le missioni) e alla promozione delle fasce socialmente più disagiate; una robusta dimensione escatologica e a volte millenaristica[8]. A Ginevra dagli anni ’30 da quella ufficiale si era già separata una cosiddetta Chiesa Libera (che presto si divise ulteriormente in due proprio sulla questione dei rapporti tra la chiesa e il “mondo”).
Luigi Desanctis
Come dicevamo dunque, la Svizzera e le idee protestantiche di libertà influenzarono l’evangelismo italiano tramite il loro “ritorno” all’Italia e in particolare alla Toscana, con il circolo culturale fiorentino che comprese, tra gli altri, il letterato Jean Pierre Vieusseux, l’educatrice Matilde Calandrini e il futuro cardinale Raffaello Lambruschini (che pure auspicava l’avvento dei fermenti di riforma all’interno della Chiesa Cattolica), oltre che con la predicazione evangelistica nella cappella svizzera di Firenze (mentre all’epoca il Granducato permetteva solo i culti di comunità straniere per gli stranieri stessi), che fecero tra l’altro un convertito celebre come il conte Piero Guicciardini. Un altro canale del rapporto italo-svizzero sarà quello che influenzò fortemente gli esuli che si troveranno a passare per il paese elvetico e che fonderanno a Ginevra nel 1849 una Comunità evangelica di lingua italiana e di impronta risvegliata -che sarà condotta dall’ex docente di teologia del Sant’Uffizio Luigi Desanctis e dal filosofo e poi deputato della Sinistra Bonaventura Mazzarella.
Il terzo luogo e la più importante destinazione dell’emigrazione religiosa fu il Regno Unito, con Londra in particolare. Conviene anche qui prendersi un attimo per un inquadramento generale della questione: se è ovvio che chi emigra perché dissidente religioso preferisce trovare asilo presso un paese dove si pratica o almeno si rispetta il suo culto d’adozione, occorre ricordare che nella prima età vittoriana (che inizia nel 1837) la capitale inglese stava diventando qualcosa di simile alla capitale dell’emigrazione europea. I motivi per cui tanti sceglievano le sponde inglesi erano svariati, ma i principali possono essere ridotti a tre: allora la Gran Bretagna era un paese dalla fiorente economia imperiale, in cui fioriva soprattutto la stampa periodica e si poteva trovare un ingaggio in un giornale o una rivista; la sua opinione pubblica guardava con simpatia agli eroi “romantici” delle fallite rivoluzioni europee riservando ai più in vista tra loro un accesso al bel mondo[9], senza contare che ciò avveniva quasi senza riguardi per gli orientamenti politici; infine, una legislazione sull’immigrazione dalle maglie piuttosto larghe. Di fatto, almeno fino alla metà degli anni ’30 il controllo nei confronti di chi metteva piede sul suolo inglese era quasi irrisorio e si praticava la tolleranza alle frontiere: la parziale eccezione era costituita dalla sorveglianza poliziesca anche stretta nei confronti dei sospetti rivoluzionari, giacché, nell’ottica di rapporti di “buon vicinato” tra potenze, non poteva passare l’idea che in Gran Bretagna vi fosse licenza di cospirare contro altre nazioni[10].
Proprio sul controllo degli esuli politici per fornire informazioni ai servizi segreti dell’epoca vi sarà nel 1843-1844 una levata di scudi dell’opinione pubblica inglese, avente come oggetto l’apertura della corrispondenza di un esule genovese fino ad allora poco conosciuto nella terra che lo ospitava: Giuseppe Mazzini[11]. Arrivato a Londra dalla Svizzera nel 1837 assieme ad altri tre compagni che ne condividevano la sorte[12], da allora era campato coi pochissimi soldi messi assieme tra quel che gli mandava la madre e qualche articolo su alcune riviste. Il futuro triumviro seppe però sfruttare la campagna stampa anti-austriaca (dietro all’affaire delle lettere c’era direttamente il barone Metternich) per fare pubblicità a sé e alle sue iniziative londinesi e internazionali: tra le prime e le più meritorie vi fu l’apertura di una scuola gratuita per gli operai italiani a Londra situata in Greville Street,5, ad Hatton Garden, zona di Londra che stava rapidamente diventando qualcosa di simile a un quartiere italiano (si calcola infatti che nel 1851 Londra ospitasse poco meno di 5000 italiani).
Si ricordi che, se è vero da un lato che la terra dei fasti dell’antica Roma e del Rinascimento esercitava un grande fascino sui britannici, non era automatico che questa simpatia si riversasse sugli abitanti di quella terra. Ciò vale sia per i viaggiatori inglesi in Italia[13] che per l’atteggiamento nei confronti degli esuli: scrive Carlo Beolchi, senza tema di smentita: “Era singolare l’opinione che gl’Inglesi aveano degl’Italiani prima dell’arrivo degli esuli in Inghilterra. L’Italiano era riputato capace di eccellenza nelle belle arti e soprattutto nel suono e nel canto, ma codardo e atto ad usar il pugnale dietro le spalle. [...] Il contatto con gli esuli cambiò l’ingiusta opinione, e fu forse il principio di quella nazionale simpatia, che nel 1848 conduceva Inghilterra ad applaudire all’Italia nella grand’opera della sua rigenerazione.”[14] Ma si riferiva al 1824, quando chi arrivava sulle sponde inglesi era per lo più esule politico e spesso con qualche mezzo finanziario o titolo nobiliare alle spalle. Nel corso degli anni successivi si andò invece consolidando un’emigrazione di tipo economico, che partiva, con filiere pian piano consolidatesi, da alcune zone ben precise d’Italia: le vicinanze della Val di Taro, la Lucchesia, il Genovesato, la Savoia. Chi partiva erano quasi esculsivamente giovani maschi, diretti verso le grandi città del sud della Francia, Parigi, o appunto Londra: i mestieri che finivano a svolgere erano quasi sempre gli stessi, cioè artisti di strada, manovali, figurinisti, venditori di gelati. La povertà dei guadagni degli italiani di Londra li costringeva ad abitare in uno dei quartieri più poveri, Hatton Garden appunto, dove dormivano di solito anche in 8, 10 o 12 per stanza. Ma a turbare la tranquillità delle brume del Tamigi erano soprattutto i ragazzini ambulanti, che giravano le strade con i loro organetti, talvolta accompagnati da scimmiette[15], creando un immaginario che sarà duro a morire.
Molte furono le iniziative degli inglesi contro questo fenomeno, dalla costituzione di apposite società di promozione che facilitassero il ritorno in patria gli adolescenti alla stesura di racconti che ne riportassero le condizioni di vita[16], ma quelle che partirono dagli italiani stessi furono due: per descriverle con le parole dell’ex prete e allora missionario evangelico a Londra Angelo Tacchella, “C’è quello diretto dai signori Mazzini e Pistrucci, 5 Greville Street, Hatton Garden; si apre tutte le sere per dar delle lezioni; alla domenica c’è un discorso nel quale i professori si contentano di diroccare le superstizioni della chiesa di Roma, e di formare buoni ed intelligenti cittadini. C’è l’altro protetto dalla London Italian Society, e sotto la direzione del signor Ferretti, avendo per maestro il signor Bruschi, 7 Sidmouth Street, Grey’s Inn Road. In questo asilo i poveri ragazzi che si trovano per le strade, sono ricevuti, vestiti e nudriti; si dà loro un’istruzione CATTOLICA, APOSTOLICA, EVANGELICA ma non ROMANA. Tal è il carattere del culto che si tiene tutte le domeniche allo stesso stabilimento alle 4 pomeridiane.”[17] In altre parole, la scuola aperta nel novembre 1841 diretta dal Mazzini e che si seppe negli anni valere della collaborazione di vari tra gli esuli italiani più in vista, aveva un carattere patriottico oltre che sociale (la storia e la geografia vi erano insegnate in un’ottica genuinamente unitaria)[18]: lo stabilimento del Ferretti mirava esplicitamente a strappare i ragazzi italiani dalle strade e dare loro un’istruzione evangelica cosicché potessero “rigettare gli errori del Romanismo” e venire alla vera conoscenza di Cristo, secondo le intenzioni del suo fondatore.
Salvatore Ferretti
Salvatore Ferretti era un ex sacerdote toscano, lontano cugino di Pio IX, che, un po’ per la sua formazione di stampo giansenistico, un po’ per via dell’amore per una ragazza, nel 1842 si spretò e scappò dal Granducato in Svizzera insieme a lei e al di lei fratello. Quivi si sposò e, venuto in contatto con le idee del Risveglio, legge la Bibbia in modo nuovo e si converte all’evangelismo; passò l’anno dopo in Inghilterra, dove visse dando lezioni di italiano e con una stamperia. Lo stabilimento che fonda gli vale l’ostilità del clero della cappella cattolica italiana mantenuta da e per il personale dell’ambasciata del regno di Sardegna; il reverendo Melia redige prima una circolare di condanna e poi dà probabilmente l’imbeccata per la comparsa di un opuscolo anonimo dal titolo “L’impostura svelata”che era venduto presso la bottega di un artigiano, Augusto Bazzoni, legato alle società cattoliche di beneficenza,. Il testo prendeva di mira anche il libello “La confessione di fede di Londra”, redatto nel ’44 dallo stesso Ferretti insieme ad altri che avevano fatto più o meno il suo stesso percorso: Raffaele Ciocci, viterbese, che in esilio si era trasferito a Brighton e aveva fatto fortuna con la gotica descrizione dei suoi giorni in seminario; Camillo Mapei, già dottore in Teologia presso il collegio romano e destinato a diventare un vero sodale del Ferretti, era invece di Penne ed era scappato a Malta dopo per divergenze con i suoi superiori a causa delle sue idee liberali e poi di lì di nuovo a Londra, dove aveva abbracciato il Protestantesimo; e Giovanni Giacinto Achilli, personaggio abbastanza ambiguo ma che era anch’egli passato da Malta dove era stato anzi tra i fondatori della locale chiesa evangelica e redattore di opuscoli religiosi. Tutti erano venuti in contatto con il reverendo Giovan Battista di Menna, che, venuto in Londra qualche anno prima, era stato professore di italiano ad Eton ma soprattutto fu il primo missionario italiano della London City Mission, ente interdenominazionale nato per l’appunto con l’intento di raggiungere i poveri e le classi lavoratrici della città. “L’impostura svelata” sarà poi ripreso pochi mesi dopo la sua pubblicazione dal futuro cardinale Wiseman, che aveva tra l’altro studiato a Roma con il Mapei e non esita, in un lungo articolo sulla cattolica “Dublin Review” ad accusare il suo ex-compagno e gli altri di essere dei prezzolati pagati dalla propaganda protestante per infangare agli occhi degli inglesi il buongoverno papale, di aver gettato la tonaca per amore delle gonnelle e altre amenità. I vari botta-e-risposta che vi furono ebbero l’effetto di fare conoscere meglio agli inglesi il piccolo gruppo di italiani evangelici, e metterli in condizione di assicurare la sopravvivenza dello stabilimento del Ferretti sotto il cappello di una missione, con gli auspici niente meno che di lord Shaftesbury. Inoltre, permise loro di partire con la pubblicazione di un periodico intitolato “L’Eco di Savonarola”, diretto agli italiani d’Inghilterra e d’Italia. Si volle scegliere questo nome proprio per non evocare direttamente il Protestantesimo storico, cui in fondo questi “risvegliati” si sentivano estranei, ma soprattutto per l’idea che anche nel XVI secolo ci fosse stata una Riforma tutta italiana, meno dogmatica di quella nordica e più immediatamente centrata sulla Parola di Dio e sulla comunione tra i credenti. Sul giornale, che dal suo terzo anno di pubblicazione divenne bilingue per procacciarsi finanziamenti inglesi, scrissero anche altri esuli tra cui il poeta Gabriele Rossetti, esule del ’21, professore di lingua italiana al King’s College e tutto convinto di una interpretazione protestante-massonica dei maggiori autori della nostra letteratura, da Dante in poi, il summenzionato a proposito della scuola mazziniana Filippo Pistrucci, tra i più vecchi tra loro e portatore di una commistione tra evangelismo e mazzinianesimo.
L'Eco di Savonarola
La storia dell’Eco arrivò fino al 1855 con un supplemento dal 1856 al 1858: fu un baluardo della possibilità di un’Italia unita, evangelica e libera dal giogo papale in anni in cui l’opinione pubblica inglese era infiammata per gli stessi temi da altri predicatori molto più accesi. Ad eccitare gli animi erano lo stesso Achilli di cui dicevamo e che portò a giudizio nientemeno che il cardinale John Henry Newman proprio negli anni in cui si parlava di “aggressione papale” all’Inghiliterra dopo la restaurazione dei vescovadi sul suolo britannico voluta da Pio IX nel 1851, e il padre Alessandro Gavazzi, ex barnabita bolognese anch’egli esule a Londra e che aveva una cappella da cui tuonava contro il Papa e spronava gli inglesi a non fidarsi mai dei papisti e ad aiutare la causa dell’Unità italiana.
Note (↵ returns to text)- «Pio IX, per le sue tendenze a tornare a un ordine di cose detestato, si ritrova ad essere senza dubbio il più attivo agente di Mazzini in questo momento. […] Così la linea di condotta seguita dal Papa porterà ad un disordine ancora più formidabile, che invece di essere politico sarà sociale, e avrà per triste conseguenza la distruzione del sentimento religioso. Mazzini, a sua volta legato alle società bibliche d’Inghilterra e d’America, sta attivamente lavorando per portare a questo deplorevole risultato.» in Le relazioni diplomatiche fra il Regno di Sardegna e la Gran Bretagna. 3. serie, 1848-1860 – 3: 1 gennaio 1850-28 febbraio 1851, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, Roma 1964 p. 30, Memorandum sardo sull’Italia Centrale, allegato a lettera di Massimo d’Azeglio, presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, al Ministro plenipotenziario a Londra, Emanuele d’Azeglio, da Torino, le 6 janvier 1850 [originale in Archivio Ministero Affari Esteri Roma, Legazione Gran Bretagna, busta 70]↵
- Autrice, tra l’altro, di Risorgimento da riscrivere: liberali e massoni contro la Chiesa, Ares, Milano 1998; di L’altro Risorgimento: una guerra di religione dimenticata, Piemme, Casale Monferrato 2000 e di Risorgimento anticattolico: la persecuzione della Chiesa nelle memorie di Giacomo Margotti, Piemme, Casale Monferrato 2004. Lettura tra l’altro ufficialmente consigliata ai giovani dal presidente del Consiglio dei ministri on. Berlusconi il 9 settembre 2009 nell’ambito della prima festa nazionale delle giovanili del suo partito. Così, per capirsi.↵
- Sarà solo con le lettere patenti del 17 febbraio 1848 a seguito dello Statuto Albertino che nel regno di Sardegna si compirà l’emancipazione dei sudditi di fede valdese, seguite a breve distanza da quelle riguardanti le comunità ebraiche. Da quella ricorrenza origina la richiesta, giacente in Parlamento da varie legislature, di istituire in Italia una “Giornata della Libertà religiosa” per quella data.↵
- Il riferimento esatto è Giorgio Spini, Risorgimento e protestanti, ESI, Napoli 1956: più volte ristampato e tuttora disponibile. Notevole come il volume di Spini si collochi sì in continuità con altri studi dell’epoca, come quelli emersi nel V convegno storico toscano del 1952 o il XXXIII congresso di Storia del Risorgimento del settembre 1954, ma sia stato pionieristico per un intero filone di ricerca.↵
- Un altro luogo da prendere in esame e qui omesso per ragioni di spazio sarebbe l’America del Nord con gli Stati Uniti e il Canada, dove infatti si svilupparono fermenti analoghi.↵
- Per un approfondimento sul ruolo e le strategie della SBBF e consimili, Lesocietà bibliche e l’Italia: un episodio ignorato del Risorgimento e Ancora sulle società bibliche e l’Italia del Risorgimento, in G.Spini, Studi sull’evangelismo italiano tra Otto e Novecento, Claudiana, Torino 1994, pp.49-98.↵
- Se vi suona familiare, è perché lo è. Il buon Camillo di Cavour lesse Vinet fin dalla gioventù e anche dalle sue idee, oltre che per via dei suoi viaggi nei tolleranti paesi nordeuropei, corroborò le sue laiche convinzioni; (per il rapporto tra religione e politica come Cavour iniziò a pensarlo negli anni della sua formazione, cfr. Ettore Passerin d’Entrèves Jean-Jacques de Sellon (1782-1839) e i fratelli Gustavo e Camillo di Cavour di fronte alla crisi politica europea del 1830, in Ginevra e l’Italia: raccolta di studi promossa dalla Facoltà Valdese di Teologia di Roma, a cura di Delio Cantimori, Sansoni, Firenze 1959). Il testo capitale del Vinet è stato finalmente edito dalle edizioni GBU nel 2008 con il titolo di Libere chiese in libero stato: memoria in favore della libertà dei culti (1826), a cura di Stefano Molino.↵
- Il testo in assoluto più completo per quanto pertiene alla storia del Risveglio anglo-svizzero è Timothy Stunt, From awakening to secession: radical evangelicals in Switzerland and Britain, 1815-35”, T&T Clark, Edimburgh 2000. Sulla categoria di Risveglio si vedano Massimo Rubboli, Il Risveglio come fenomeno transatlantico, in Riforma, Risorgimento e Risveglio, a cura di Simone Maghenzani e Giuseppe Platone, Claudiana, Torino 2011 e Mario Miegge, Che cos’è la coscienza storica?, Feltrinelli, Milano 2004.↵
- Per quanto riguarda l’emigrazione internazionale a Londra, è da poco uscito un corposo testo riassuntivo: Enrico Verdecchia, Londra dei cospiratori, Tropea, Milano 2010 (in particolare i capitoli da I a XIX). Per un altro ottimo testo, specifico sugli italiani, vedi Maurizio Isabella, Risorgimento in exile: italian émigés and the liberal international in the post-Napoleonic era, Oxford University Press, 2009 (in corso di traduzione in italiano). Rimane ancora utile il vecchio testo di Margaret C.W. Wicks, The italian exiles in London, 1816-1848, Manchester University Press, Manchester 1937. Per la naturale simpatia di molti letterati inglesi nei confronti del nostro Risorgimento, vedasi Harry Rudman, Italian nationalism and English letters: figures of the Risorgimento and Vicorian men of letters, Allen&Unwin, Londra 1940.↵
- Nello specifico: l’ufficio del Ministero dell’Interno che aveva tra l’altro -anche se solo teoricamente- il compito di vagliare le richieste di asilo, cioè l’Alien Office (a scanso di equivoci, si ricordi che “alien” in inglese ha anche il significato di “immigrato”) viene profondamente riformato nel 1836, quando anche l’Alien Act (voluto nella forma di seguito descritta da Sir Robert Peel) viene modificato e il periodo di 7 anni che doveva passare durante il quale gli stranieri erano tenuti ‘sotto sorveglianza’ – che stette ad esempio parecchio stretto a Giuseppe Pecchio e in virtù del quale fu aperta la corrispondenza di Mazzini – viene ridotto a tre. Il Primo ministro aveva il potere legale di prendere misure individuali di espulsione. In Parlamento lo scontro si accese poi proprio a partire dal nodo della restrizione della libertà personale nei confronti degli esuli. Misure più restrittive saranno poi prese nel ’48 ed applicate nel ’49.↵
- Sugli anni passati da Mazzini in Inghilterra esiste una buona letteratura, che sta ultimamente conoscendo una discreta rifioritura.↵
- Vale a dire Agostino e Giovanni Ruffini e Angelo Usiglio.↵
- Scrive Ruskin al padre in una lettera del 20 luglio 1845: «In vita mia non avevo mai visto niente di così spaventoso come lo stato in cui si è ridotta l’Italia. In questo paese non ho mai incontrato nessuno, fra la gente del posto, che sembrasse una creatura della mia stessa specie [...] il giorno del Giudizio deve essere senz’altro prossimo, ma se fossi il diavolo, non comprerei questi italiani per arrostirli nemmeno per un quarto di penny: esalano già un fetore repellente!» in John Ruskin, Viaggi in Italia 1840-1845, Passigli, Firenze 1985, p. 179.↵
- Carlo Beolchi, Reminescenze dell’esilio, Bianciardi, Torino 1853, p. 200↵
- Per lo studio approfondito del fenomeno, John E. Zucchi, I piccoli schiavi dell’arpa: storie di bambini italiani a Parigi, Londra e New York nell’Ottocento, Marietti, Genova 1999, in particolare il capitolo 3. Lo stesso Charles Dickens, che sapeva l’italiano, si ispirò alle storie di alcuni piccoli girovaghi per creare i personaggi dei suoi romanzi e fu tra i promotori di una petizione che chiedeva una legge più severa contro la mendicità e gli sfruttatori .↵
- Si segnala, tra questi, quello dell’italiano, esule piemontese, Antonio Gallenga, che si anglicizzò al punto di diventare corrispondente estero del Times: il racconto è “Morello”, contenuto in Luigi Mariotti (questo era il suo pseudonimo), The Blackgown papers, Willey, London 1846.↵
- Citiamo dal dialoghetto Il Missionario e il figurista, contenuto in Angelo Tacchella, Il prete italiano in Londra, s.e., Londra? 1849, p. 6 in nota.↵
- Lo studio insieme più recente e più completo sulla scuola è quello di Michele Finelli, Il prezioso elemento: Giuseppe Mazzini e gli emigrati italiani nell’esperienza della scuola italiana di Londra”, Pazzini, Verucchio 1999, che cita anche i problemi avuti con la cappella cattolica sarda diretta dal reverendo Baldacconi.↵