Magazine Astronomia

E.T. che sei nei cieli

Creato il 06 maggio 2012 da Stukhtra

A volte tornano. Anzi, non arrivano proprio

di Maurizio Caselli

Fu con 2001: Odissea nello spazio, film di fantascienza del 1968, che l’immagine dell’extraterrestre subì, rispetto a quella che era stata sino ad allora, un drastico cambiamento. Gli alieni invasori, conquistatori e sterminatori dei film degli Anni Cinquanta e Sessanta divennero, con 2001, coloro i quali ci hanno fatto dono del bene dell’intelletto quando eravamo delle povere scimmie e per milioni di anni hanno atteso che la nostra tecnologia raggiungesse quel minimo livello sufficiente per incontrarli e ricevere l’ulteriore (meritato?) bene dell’onnipotenza. E così sia.

Curioso film, 2001. Tratto da un racconto breve dello scrittore-scienziato Arthur C. Clarke, la cui sceneggiatura non poteva essere certo sufficiente per fare un film, fu allungato con il non spiegato episodio di HAL 9000, il calcolatore a bordo dell’astronave che diventa psicopatico e rischia di mandare in fallimento l’intera missione. Questa aveva il compito di scoprire verso chi o che cosa era stato indirizzato il segnale radio che il monolito lunare, sepolto per milioni di anni nel cratere Clavius, aveva inviato verso Giove non appena era stato dissepolto e illuminato dal Sole. Curioso film anche per lo strepitoso e per molti ingiustificato successo che ha avuto, tanto che è tuttora un cult movie. Ma indubbiamente 2001 è una pietra miliare per quel che concerne ad esempio gli effetti speciali, a tutt’oggi credibili, o per la scelta della colonna sonora, non solo per il valzer o per l’Also Sprach Zarathustra di Strauss ma anche per il suono del respiratore che accompagna il protagonista all’interno della tuta spaziale.

Io credo che la trovata principale di 2001 stia proprio nel ruolo di E.T., mai visto prima. Finalmente, quando l’unico sopravvissuto alla follia di HAL, David Bowman (Keir Dullea), entra in contatto con gli alieni (che non si vedono mai), diventa un superuomo e torna sulla Terra per rendere l’umanità partecipe di una nuova era da vivere al fianco del “Padre”. Amen.

Messaggio tranquillizzante: non siamo più minacciati da tecnologie imbattibili, ma anzi lassù qualcuno ci ama, ci ha dato l’intelligenza e ora ci apre le porte dell’universo. Grazie all’E.T. che è nei cieli, in un sol colpo tutti i problemi dell’umanità possono essere risolti. Dopodiché, forse divenuto pure immortale, Homo sapiens potrà iniziare quel viaggio verso nuovi mondi e stupefacenti civiltà, meta verso la quale aveva da sempre mirato.

L’idea piace. E, dopo 2001, nei film dedicati a E.T. egli non sarà più, tranne alcune eccezioni, il mostro contro cui combattere, bensì l’amico, il padre, il compagno che ci attende e che attendiamo per entrare di diritto a far parte della “famiglia cosmica” che scorrazza per i cieli. Alcuni esempi: Incontri ravvicinati del terzo tipo (la rivincita degli ufologi), Cocoon, E.T., M.I.B., Contact e tanti altri titoli, molti di scarsa qualità. Il messaggio è desolatamente monotono: ci sono, ci aspettano, ci amano, ci risolveranno tutti i problemi. E così sia.

Nella tragedia greca, quando le vicissitudini umane diventavano troppo ingarbugliate per attendersi un lieto fine, era necessario l’intervento divino. L’attore che impersonava la divinità entrava volando in scena, sostenuto ovviamente da un qualche macchinario, e in quattro e quattr’otto risolveva e districava, premiava e puniva e fine della storia. Quest’intervento risolutore è indicato dall’espressione latina deus ex machina, con la quale ancora oggi si intende una persona in grado di risolvere un problema in apparenza insolubile. Ed è proprio questo, a mio avviso, il ruolo che il cinema e i media vorrebbero demandare a E.T. E, soprattutto, lasciarlo credere agli spettatori. Guerre, inquinamento, popoli sterminati per fame, risorse in esaurimento, crisi economica (pure) e quant’altro: perché preoccuparsi e prendere provvedimenti? Aspettiamo la Venuta, il deus ex machina, appunto: lui ci risolverà tutti i problemi.

Questo modo di vedere E.T. è comodo e sottrae parte dell’attenzione dai veri problemi del genere umano e del pianeta che lo ospita. Tant’è vero che l’E.T. immaginato mentre sul nostro pianeta non lo fa in mezzo a una favela brasiliana o nel Darfur o fra i resti bruciati della foresta amazzonica, ma in una ricca cittadina americana, entrando in contatto con benestanti e paffuti bambini yankee o arzilli vecchietti annoiati di una qualche casa di riposo. Non so, ma, se io fossi un E.T. e volessi (e potessi) salvare il mondo, scenderei con le mie astronavi dove davvero ce n’è più bisogno.

A questa visione sembrano fare eccezione i film del tipo di Independence Day o La guerra dei mondi, nei quali gli alieni sono solo intenzionati a depredare la Terra, trasformandola in un mucchio di rovine fumanti senza più vita (umana, se non altro). Ma la differenza è solo apparente: in realtà la minaccia degli alieni e la parziale distruzione delle principali capitali mondiali da essi perpetrata sfociano nell’inatteso risultato di unire i popoli della Terra sotto la bandiera della lotta e dell’indipendenza dall’invasore alieno. Un lieto fine con la consapevolezza che l’umanità è salva non solo dall’invasore, ma anche (e soprattutto) da sé stessa, e appropriandosi della tecnologia delle astronavi aliene potrà finalmente solcare lo spazio portando il suo messaggio. E vai con la retorica: il contenuto non cambia.

Certo, stiamo parlando solo di fantascienza, ma nella mia attività di didattica e divulgazione dell’astronomia spesso incontro ragazzi e non di rado anche adulti che prendono questi messaggi troppo sul serio.

D’altra parte accusare 2001 di questo “depistaggio” è esagerato: diamine, era ancora il 1968! Forse voleva soltanto dirci che gli alieni potrebbero anche essere buoni. Eppure gli indizi ci sono tutti, forse non chiarissimi nel film ma palesati nel romanzo di Clarke scritto dopo l’uscita del film. Nelle ultime pagine, quando David Bowman feto e superuomo torna sulla Terra, il suo primo gesto, proprio come un deus ex machina, è quello di liberare il pianeta dalla minaccia nucleare dei satelliti atomici, specie di scudo spaziale ante litteram. Del resto all’epoca, in piena Guerra Fredda, la preoccupazione principale del mondo era il proliferare delle armi atomiche in un’escalation che sembrava non trovare soluzione, mentre l’inquinamento e l’esaurimento delle risorse erano ancora, se non sconosciuti, almeno largamente ignorati.

Comunque stiano le cose, se nel 1968 non si poteva incolpare 2001 di voler manipolare, viceversa il dubbio è più che lecito guardando il pessimo sequel, 2010: l’anno del contatto, uscito nel 1984. Nel 2010 il governo sovietico, del quale nemmeno Clarke poteva prevedere il crollo di lì a un lustro, offre agli Stati Uniti, con i quali è ancora ed eternamente in guerra fredda, la possibilità di una missione di soccorso con equipaggio misto (URSS-USA) su un’astronave sovietica per vedere che fine ha fatto la missione del 2001. Saltiamo il riempitivo centrale e arriviamo dritti al finale: sulla Terra sta per scoppiare la guerra nucleare tra Unione Sovietica e Stati Uniti. A questo punto, quando tutto sembra perduto, gli E.T. tramite il superuomo David Bowman fanno esplodere Giove trasformandolo in una stella abbastanza calda al fine di rendere abitabili le lune galileiane. “Tutti questi mondi sono vostri…” inizia il messaggio degli alieni. Insomma, se non era chiaro con 2001, 2010 lo ribadisce: alle soglie della distruzione totale i nostri “Padri” eviteranno che ci possiamo fare seriamente del male. Ri-amen. Ma i “Padri” (ahimè, dobbiamo convincerci) non ci sono e il nostro destino è solo nelle nostre mani. Nessuno calerà dal cielo a fermarci prima che il delicato equilibrio della nostra esistenza su questo pianeta si spezzi.

L’astronomia poi ci sta mettendo del suo, suppongo in maniera del tutto innocente, avendoci portati alla vigilia della scoperta di pianeti extrasolari adatti a ospitare la vita. Così, incredibilmente, c’è chi pensa: “Ottimo! Esaurito questo pianeta ce ne andremo su un altro”. Ah, sì? E come? Trasportati da ferraglia per migliaia di anni?

Ma forse questo nostro scellerato comportamento ha una sua ragion d’essere che ha a che fare con l’evoluzione. L’attuale civiltà ipertecnologica non potrà sopravvivere alla mancanza di energia, alla scarsità di acqua e di cibo, alla cessazione di cure mediche, anche le più banali. E sarà quindi destinata a soccombere. Eppure c’è chi a queste privazioni è abituato da millenni e ogni giorno lotta per un sorso d’acqua, un pugno di riso e, con le proprie esigue forze, contro malattie ed epidemie. Una parte di questa umanità passerà quasi indenne attraverso la carestia. I popoli migreranno ereditando un pianeta scosso da una civiltà invadente e ottusa che sperava di essere salvata in extremis dal tocco magico di un onnipotente quanto immaginario omino verde.

Lentamente questa antica e nuova umanità, libera dall’ingombrante progresso tecnologico, costretta a un più naturale sistema di vita, tra millanta anni sarà certamente in grado di innalzarsi dignitosamente verso le stelle. E solo allora gli E.T., guardando l’orologio cosmico e il ritardo accumulato, incontrandola diranno: “Era ora!”.


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