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Età del rame, il III Millennio a.C. in Sardegna.

Creato il 11 ottobre 2012 da Pierluigimontalbano
La Sardegna nell'età del Rame
di Pierluigi Montalbano

Età del rame, il III Millennio a.C. in Sardegna.
All’inizio del III Millennio a.C. la religiosità appare in tutta la sua monumentalità. A pochi km da Sassari, presso un villaggio frequentato da oltre un millennio, una comunità legata alla Mesopotamia innalza un edificio maestoso, provvisto di rampa d’accesso e sovrastante altare. Era dedicato a una divinità legata al cielo. La volontà di elevare un monumento, dipingerlo con ocra rossa e posizionare nelle vicinanze alcuni grandi massi tempestati di coppelle e vari menhir di grandi proporzioni, dimostra un culto che richiede la partecipazione collettiva. Al fianco della Ziggurat è presente un grande bancone-altare per i sacrifici di buoi. La rampa e la piattaforma del tempio furono ristrutturate e ingrandite intorno al 2500 a.C., proprio nel periodo in cui le domus de janas sono dotate di corridoio antistante (dromos) e abbellite con disegni geometrici e teste taurine stilizzate. Nella zona di Cagliari compaiono pozzetti funerari in cui si aprono piccole celle per l’inumazione di cadaveri. Questa tipologia interrompe il periodo dei sepolcri comunitari. Verso la fine del III Millennio a.C. compaiono poderose muraglie megalitiche, forse per la difesa di quelle ricchezze che i sardi accumularono grazie a un’invenzione straordinaria: il processo metallurgico di separazione dell’argento dal piombo, metallo abbondantemente presente nell’isola. I secoli a cavallo del II Millennio a.C. sono caratterizzati dai contatti della Sardegna con le regioni Mediterranee. Si diffonde una cultura chiamata del vaso campaniforme, dal nome della tipica ceramica a forma di campana rovesciata. I villaggi sono poco frequenti e i manufatti di questo periodo sono scavati quasi esclusivamente in sepolcri. Inizia la stagione dei menhir antropomorfi con una simbologia che vede la presenza della Dea Madre, del pugnale (o scettro) e del tridente, da alcuni identificato con l’uomo capovolto (un defunto). A mio avviso si tratta del simbolo della divinità maschile che accompagna la Dea Madre: un Dio del Mare, lo stesso che, in seguito, i greci, individuarono in Poseidone. Nei sepolcri troviamo corredi caratterizzati da bicchieri fittili, tripodi, pugna letti in rame, frecce in ossidiana e selce, oggetti ornamentali come collanine, denti di cinghiale, monili in argento e pietre dure e resti di animali sacrificati. Le ultime tracce dei popoli che precedono i nuragici mostrano genti nomadi che probabilmente si spostavano con tende. Spariscono i villaggi e le ceramiche sono inornate, di aspetto povero, domestico, realizzate da comunità che testimoniano una società concreta, priva di fronzoli.
Nell'immagine: Pranu Muttedu - Goni

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