(Seconda parte)
Abbiamo già visto che gli Etf sono strumenti finanziari, assimilabili ad un fondo comune di investimento aperto indicizzato, che replicano un indice o un paniere di titoli. Nella pratica una società emittente sceglie un indice di riferimento, e lancia sul mercato il corrispondente Etf, che potrà investire il proprio patrimonio esclusivamente negli stessi titoli, e con le stesse proporzioni presenti nell’indice.
Gli Etc (Exchange Traded Commodity), invece, non possono fare la stessa cosa, perchè non possono immagazzinare enormi quantità, per esempio, di petrolio in attesa che il prezzo salga. Dunque, gli Etc specializzati sul petrolio, e quasi tutti gli Etc quotati nelle Borse mondiali, non comprano petrolio, ma pezzi di carta detti “future”. I contratti future sono delle sorte di scommesse legate al prezzo a termine del bene cui sono collegati. Sono cioè contratti che fissano il
prezzo al quale, ad una certa scadenza, un bene (come un barile di petrolio) dovrà essere consegnato dal venditore al compratore. Sono strumenti soprattutto per chi vuole speculare, perchè consente anche di utilizzare l’effetto “leva” (cioè di comprare quantità del bene fisico di valore superiore a quello della sua liquidità, pagando solo uno scarto di garanzia).
Gli Etc sono in pratica titoli senza scadenza emessi da una “società veicolo” (una specie di scatola vuota) a fronte, teoricamente, dell’investimento in materie prime o, in realtà, in contratti derivati su materie prime.
Di solito nella documentazione pubblicitaria di un Etc specializzato nel petrolio viene specificato che il prezzo dell’Etc è legato direttamente all’andamento del prezzo del petrolio e consente quindi di beneficiare dei previsti rialzi del petrolio stesso. In realtà nessun Etc opera direttamente sulle materie prime (tranne pochi specializzati in oro, che tesaurizzano i lingotti), ma su pezzi di carta che rappresentano la materia prima indicata. Avere scelto, per esempio, l’Etc sul petrolio, significa aver investito su una obbligazione emessa da una banca d’affari che, attraverso i contratti derivati e utilizzando i future (contratti a termine), ha un valore che segue “all’incirca” il prezzo del petrolio sul mercato reale.
Essendo poi l’Etc una obbligazione senza scadenza, mentre i contratti future hanno una scadenza, è obbligatorio rinnnovare continuamente le operazioni, aprendole alle sottoscrizioni e chiudendole se ci sono riscatti. Il che comporta un costo notevole. Infatti il rinnovo continuo (rolling) costa e chi ne beneficia sono solo coloro che emettono gli Etc di “carta”.
Inoltre, siccome l’Etc è una obbligazione emessa da una società, può perdere valore non solo se la materia prima scende, ma anche se la società fallisce. In questo caso l’Etc perde valore anche se il petrolio è salito del 20%, perchè possiede solo un pezzo di carta, non tonnellate di greggio in deposito.
Senza parlare poi degli arbitraggi operati dagli speculatori (comprano, ad esempio, un Etc, e vendono contemporaneamente il petrolio se il prezzo della materia prima è superiore, intascando la differenza, chamata appunto “arbitraggio”). Il piccolo risparmiatore invece può solo comprare e vendere carta.
Attenzione, infine, al fattore cambio. Gli Etc sono quasi tutti quotati in dollari. Se l’euro si rafforza sul dollaro si rischia di avere rendimenti negativi al punto da annullare l’eventuale rialzo del prezzo delle commodity di riferimento.
In definitiva, tutto questo per voler dire che l’Etc è uno strumento più adatto ai grandi speculatori che ai piccoli investitori, per i quali sarebbe più saggio operare con obbligazioni, azioni, fondi comuni ed Etf, e non con l’economia di “carta”.