E’ ironico come il lavoro del tecnico informatico sia decisamente più sottovalutato di quello del medico dal punto di vista etico. In entrambi i casi accade che una persona, il cliente o paziente che sia, confida o rilascia volontariamente proprie informazioni personali nelle mani di un’altra persona, con la consapevolezza che queste informazioni rimarranno “confidenziali”. La differenza sostanziale è che nel primo caso, il dottore è tenuto al segreto professionale. Un tecnico informatico è anarchia sotto questo punto di vista, soggettività allo stato puro.
Ma lo stesso identico problema morale si pone anche in campo religioso, con il “sigillo sacramentale” (grazie a Wikipedia ho imparato una nuova parola oggi) che vieta ai parroci di rilasciare anche in Tribunale le informazioni delle confessioni confidategli dai fedeli. Se io domani commettessi un omicidio e andassi a confessarlo in Chiesa, il povero prete sarebbe costretto a dormire notti insonni per portarsi il fardello nella tomba.
Se domani mi arrivasse un cliente con il PC palesemente pieno di materiale pedo-pornografico, per ipotesi, pesano di più la normativa sulla privacy e la riservatezza dei dati del cliente oppure la mia necessità psicologica di denunciare il tutto a chi di competenza?
La stessa questione si pone per quanto riguarda l’utilizzo di software contraffatto. Io mai e poi mai installerò programmi pirata nei PC della clientela, prediligo l’open-source o in alternativa obbligo l’acquirente alla licenza. Ma il 50% dei clienti che entrano in negozio per farsi riparare i PC, statisticamente parlando, non sono in regola nemmeno un po’. Dovrei forse segnalarli o denunciarli tutti con uno strumento simile a questo? L’ipotesi ha veramente poco senso, perché dal mio punto di vista significherebbe masochismo allo stato puro: perdita immediata del potenziale cliente di ritorno, e ripercussioni sull’immagine stessa del negozio. C’è da dire anche che io di quel cliente non so veramente nulla… chi mi dice che non lo faccia in buona fede, per quello “stato di necessità” descritto da G. Francione nel suo libro “No copy no party – Sentenza anticopyright prima e dopo”?
Al di là dei miei dubbi e delle mie perplessità, che sicuramente troveranno una risposta in ambito legislativo di cui ancora sono all’oscuro, il concetto chiave che volevo esprimere in questo post è che i dati digitali non sono meno importanti delle confessioni o di qualsiasi altro tipo di informazione sensibile. Tenetelo a mente, qualsiasi cosa facciate col vostro computer o, perché no, smartphone. E soprattutto qualsiasi cosa trasmettiate a terzi online, perché la rete non dimentica e non perdona.