di Stefano Biavaschi*
*teologo
Dal mondo laico ci si aspettava qualcosa di più, ci si aspettava un’etica fondata sulla ragione. Ci si aspettava che chi non ha Dio come punto di riferimento cercasse comunque il vero, il bello, il buono. Invece è stata sfornata una cultura della morte, una cultura in cui perfino l’essere umano non conta più nulla, e può essere eliminato a piacimento in qualsiasi fase della sua esistenza.
L’ultimo episodio dei due “bioeticisti” italiani, Giubilini e Minerva, che sostengono l’eliminabilità dei neonati non graditi, estendendo così la logica dell’aborto a qualche settimana dopo il parto, fa toccare con mano il fallimento di una ricerca che avrebbe dovuto essere fondata sulla Ragione, e non sullo spietato utilitarismo ove l’uomo non è più creatura amorevole al servizio degli altri, ma un mostro a cui tutto il mondo è riferito, prostrato diabolicamente ai suoi piedi. Sì, diabolicamente, perché non c’è più nulla di umano in quello di cui stiamo parlando. E’ possibile chiamare ancora “uomo” chi non avrebbe alcuno scrupolo nell’atto di uccidere nella culla un neonato? Non riusciamo nemmeno a credere che Alberto Giubilini e Francesca Minerva, messi alle strette nella circostanza concreta che hanno teorizzato, si avvicinerebbero davvero a quella culla con un ago avvelenato. Se invece sì, allora ogni dialogo è davvero interrotto, e a quel punto cessa anche il nostro rispetto.
E cessa di essere un possibile soggetto di dialogo anche la Consulta di Bioetica che essi rappresentano; una consulta che dichiara di perseguire “un’etica laica”. Ma se la legittimazione di questi omicidi sono l’ultima conquista della cosiddetta etica laica, allora non abbiamo più nulla da spartire con essa. Il conflitto con l’etica “laica” doveva portare frutti utili, il compito di quest’ultima dove essere quello di sviluppare l’autonomia della ragione, di scoprire a cosa conducessero i preziosi strumenti della ragione umana quando essa sospendeva le verità rivelate. Anche i razionalisti, nel loro limite, avrebbero potuto dare un importante contributo; un contributo che ci sarebbe stato d’aiuto per non scivolare nelle continue tentazioni verso il fideismo. Invece abbiamo perso i nostri antagonisti; abbiamo perso quelli che potevano essere, nella comune ricerca della verità, dei degni rivali. Perché sono come marinai che hanno abbandonato del tutto la nave, lasciando completamente a noi la barra del timone. In un certo senso ne siamo grati: nessuno meglio di loro indica che senza Dio non c’è più morale, che solo Lui può guidare la storia, che l’uomo senza il suo Creatore cessa immediatamente di essere uomo. E’ l’ennesima dimostrazione che l’essere umano non può fare a meno di Dio.
Peter Singer, il filosofo australiano cui quei due “bioeticisti” si sono ispirati, è figlio di una coppia di ebrei scappata durante la Shoah: come è possibile che l’Olocausto non gli abbia insegnato nulla? Che senso ha che scriva libri come “Liberazione animale” accusando l’uomo di “specismo” (razzismo contro gli animali), e poi giustificando l’eliminazione dei neonati indesiderati? O che scriva “Il progetto grande scimmia” per poi praticare di fatto lo “specismo” contro gli esseri umani? “La vecchia morale non serve più”, sostiene Singer. Benissimo, ma è questa la morale alternativa cui si è ridotto dopo tanta ricerca con la sola ragione? E’ la spietata conferma che senza la fede l’uomo non va proprio da nessuna parte. Non trova affatto una via ugualmente bella, ugualmente dignitosa.
E nei rari casi in cui la trova, se ancora la trova, è perché sebbene la sua testa sia girata all’indietro, i suoi piedi camminano ancora sul selciato steso con cura dai suoi padri. Solo Cristo è la luce della storia. Ed anche questa volta il mondo “laico” ce l’ha fatto capire; ancora di più.