Dall'8 maggio 2012 l'obbligo di segnalare sull'etichetta la presenza di "parti non tessili di origine animale"
Dopo aver parlato degli allevamenti degli animali "da pelliccia" e dell'orrore della cattura in natura, è venuto il momento di cercare di fare un po' di chiarezza sull'etichettatura dei capi d'abbigliamento realizzati con parti di animali.
Pare infatti che dall' 8 maggio 2012 l'Unione Europea sancirà l'obbligo, per le industrie dell'abbigliamento, di indicare sull'etichetta la presenza di "parti non tessili di origine animale [...] al fine di consentire ai consumatori di operare scelte informate" (dal Regolamento UE n° 1007 del 2011).
Una conquista importante, se si pensa che, come fa notare la LAV, "ad oggi, i consumatori italiani ed europei leggendo l'etichetta non sono in grado di riconoscere se un prodotto tessile è confezionato con pelliccia animale" (fonte: Virgilio Go Green).
Va comunque fatto notare che i capi d'abbigliamento "vecchi", ovvero sprovvisti dell'etichettatura informativa riguardanti le parti di origine animale, potranno continuare ad essere venduti fino a novembre 2014: come sempre, l'importante è che industrie, aziende, rivenditori e chiunque commerci in pelle e pellicce non subiscano danni e contraccolpi!
L'etichettatura obbligatoria non ci mette al riparo dal rischio di acquistare pellicce di cane e gatto
Questo dovrebbe interessare soprattutto quella strana categoria di "animalisti" che, nel loro amore per gli animali si fermano a cani e gatti, deliziandosi poi di nutrirsi di maiali, mucche e agnelli e di abbigliarsi con pellicce di coniglio, ermellino, castorino ecc.
E' bene che questi consumatori sappiano che l'etichettatura obbligatoria non li pone affatto al riparo dal rischio di acquistare pellicce di cane e gatto - presenti in quei capi d'abbigliamento provenienti dalla Cina e da tutti quei Paesi che praticano questo genere di commercio. La normativa europea, infatti (sia nell'introduzione sia all'articolo 12), menziona unicamente l'obbligatorietà della dicitura "Contiene parti non tessili di origine animale". Nel dubbio, quindi, sarebbe dunque ausplicabile astenersi dall'acquistare qualunque capo d'abbigliamento realizzato con parti di animali - a meno che non si voglia correre il rischio di indossare un bel collo in pelliccia, realizzato con i vostri amatissimi beniamini - cani o gatti che siano.
A tale proposito va ricordato che l'etichettatura di questo genere di pellicce è molto spesso volutamente ingannevole: ecco, di seguito, le diciture che "nascondono" l'utilizzo di cani e gatti:
Le atrocità compiute negli allevamenti di cani e gatto
Nella carrellata di Natividad sulla realtà del commercio di pellicce, non poteva mancare questo macabro paragrafo, riguardante l'orrore dell'uccisione di cani e gatti negli allevamenti cinesi.
Molti di questi allevamenti si trovano nel nord del Paese e possono arrivare a contenere un centinaio di gatti e fino a 300 cani.
Gli animali sono costretti a vivere in gabbie anguste, esposti al freddo e alle intemperie affinché sviluppino una folta pelliccia. Vengono quindi uccisi all'inizio dell'inverno. I cani stretti al callo con un fil di ferro e quindi pugnalati all'inguine dai loro aguzzini - espesso scuoiati mentre sono ancora vivi. Per i gatti, invece, si procede in maniera diversa: vengono appesi per il collo e nelle loro bocche aperte viene introdotta dell'acqua, finché non affogano. Visto il trattamento riservato loro, c'è davvero da sperare che affoghino in fretta.
La loro pelle viene quindi trattata chimicamente (parleremo presto anche dell'impatto ambientale delle pellicce!) e rivenduta per adornare giacconi e cappotti, acquistati (anche) da quei consumatori che viziano il loro Fido o la loro Micia con ogni genere di prelibatezze e comodità, nel salotto di casa...