Eventi etichettati come “rivolte indù e musulmane” sono stati ricorrenti caratteristiche in India per tre quarti di secolo o più, afferma Paul brass nel suo articolo The Gujarat Pogrom of 2002, (pubblicato il 26 Marzo 2004 sul sito Social Science Research Council, http://conconflicts.ssrc.org/archives/gujarat/brass/).
In India settentrionale e occidentale, soprattutto, ci sono numerose città e cittadine in cui gli scontri sono diventati endemici. In tali luoghi, le rivolte, in effetti, sono diventate una forma orribile di produzione drammatica in cui ci sono tre fasi: preparazione / prove, l’attivazione / attuazione e spiegazione/interpretazione. In questi luoghi di produzione di rivolta endemica, la preparazione e le prove sono attività continue.
L’attivazione e l’attivazione di una rivolta su larga scala avviene in circostanze particolari, soprattutto in un contesto di intensa mobilitazione politica o competizione elettorale in cui le sommosse vengono fatte scaturire come dispositivo per consolidare il sostegno di gruppi etnici, religiosi, o culturalmente altri per sottolineare la necessità della solidarietà di fronte al gruppo rivale. La terza fase segue dopo la violenza in una lotta più ampia per controllare la spiegazione o interpretazione delle cause della violenza stessa. In questa fase, molti altri elementi della società vengono coinvolti, tra cui giornalisti, politici, scienziati sociali e l’opinione pubblica in generale.
In un primo momento, molteplici narrazioni si contendono il primato nel controllo della spiegazione della violenza. Da un lato, le forze sociali predominanti tentano di inserire una narrazione esplicativa nel discorso prevalente di ordine, mentre altri cercano di stabilire una nuova egemonia del consenso che sconvolga le relazioni di potere esistenti, cioè quelli che accettano la violenza come spontanea, religiosa, con base di massa, imprevedibile e impossibile da prevenire o controllare completamente. Questa terza fase è segnata anche da un processo di spostamento della colpa, dove gli scienziati sociali diventano essi stessi coinvolti, un processo che non riesce a isolare efficacemente le persone più responsabili per la produzione di violenza, e invece diffonde ampiamente la colpa, sfocando la responsabilità, e contribuendo in tal modo alla perpetuazione della produzione di violenza in futuro, così come l’ordine che la sostiene.
In India tutto questo avviene all’interno di un discorso di ostilità tra indù e musulmani, che nega il carattere intenzionale e deliberato della violenza attribuendolo alle reazioni spontanee di indù e musulmani ordinari, bloccati in una rete di reciproci antagonismi che si dice che abbia una lunga storia. Nel frattempo, nell’India post-indipendenza, quelli che sono etichettati come scontri tra indù e musulmani il più delle volte si sono trasformati in pogrom e massacri di musulmani, in cui pochi indù vengono uccisi. Infatti, nei siti di disordini endemici, esistono ciò che Brass ha chiamato “sistemi antisommossa istituzionalizzati”, in cui le organizzazioni del nazionalismo militante indù sono profondamente implicate. Inoltre, in questi siti, si possono identificare le persone che giocano ruoli specifici nella preparazione, messa in atto e nella spiegazione dei disordini dopo il fatto.
Particolarmente importanti sono quello che Brass chiama i “custodi del fuoco”, che mantengono vive le tensioni tra indù e musulmani attraverso vari atti infiammatori e provocazioni; gli “specialisti di conversione”, che guidano e indirizzano folle di potenziali rivoltosi e danno un segnale per indicare se e quando la violenza deve iniziare; i criminali e gli elementi più poveri della società, reclutati e premiati per promuovere la violenza; e i politici e i media popolari che, durante la violenza, e nel suo seguito, distolgono l’attenzione sugli autori delle violenze attribuendo le azioni a una massa infiammata dall’odio.
Quando l’operazione ha successo, come di solito accade, i principali beneficiari di questo processo di spostamento della colpa sono il governo e i suoi leader politici, sotto la cui vigilanza di tale violenza si verifica. Anche qui, in seguito, gli scienziati sociali vengono coinvolti quando si sottolineano le difficoltà di una “governance” nelle società dove animosità etniche e intercomunitarie sono presumibilmente dilaganti. Essi stessi vengono allora implicati in un discorso politico che, come Baxi ha ben detto, si preoccupa delle ‘agonie della governance’, piuttosto che della ‘sofferenza’ delle vittime del malgoverno, e quindi normalizza la violenza contro le sue vittime.
In ‘Nirvana Is Tomorrow’ Paul R. Brass (www.outlookindia.com/…/Nirvana-Is-Tomorrow/2…) riprende il discorso di Walter Bagehot, che riteneva che la gran parte della popolazione dell’Inghilterra, o di un qualsiasi altro paese, in effetti, cioè il “tipo di uomini più rozzi”, fosse incapace di rispondere in modo significativo a null’altro che alle varie forme di mistificazione che egli chiamava “gli elementi teatrali” di governo, quelli che fanno appello ai sensi, piuttosto che alla mente, si rivolgono al mistico, all’occulto, all’oscuro, e allo specioso, e a quegli elementi che sembrano promettere “palpabili … risultati”. Nella misura in cui ciò riguarda l’India, ci sono molti elementi per sostenere la sua tesi: l’influenza iniziale di leader carismatici da Gandhi a Nehru a Indira Gandhi; l’arrivo successivo sulla scena politica indiana di stelle del cinema di Bollywood, per non parlare della Hollywood americana, viste come incarnazioni di dei e dee; l’ideologia dello ‘sviluppo’ menzionata altrove, che promette, ma non fornisce mai risultati “tangibili” per la maggior parte delle persone, solo quel tanto che basta per sostenere il minimo raggio di speranza; e, sempre importante, ma ora più importante che mai, l’ideologia della “nazione”, la nuova grande nazione indù, ispirato dalla sua “Induità” alla grandezza.
Questa nuova ideologia dell’Hindutva, l’ideologia di orgoglio nel popolo indù, implica anche il differimento di speranze, ma in questo caso attraverso il loro spostamento verso la grande nazione indù. Le speranze del popolo per una vita migliore adesso devono ancora una volta essere differite fino a quando la nazione indù raggiungerà l’unità e la forza e conterrà o demolirà i suoi nemici interni ed esterni (musulmani indiani, ribelli Kashmiri e Pakistan in particolare). Il percorso Hindutva e il percorso di liberalizzazione,di globalizzazione e di economia di mercato che elimina o riduce sussidi e altri benefici statali concessi ai poveri per amore di un futuro di crescita che si “solleva tutte le barche” sono del tutto compatibili.
In India, i leader indù militanti in ascesa negli ultimi 15 anni hanno ingannato sè stessi così come hanno ingannato gli altri. Hanno scritto e hanno detto a Brass che li intervistava che hanno volutamente “giocato la carta Hindu” nelle elezioni attraverso varie forme di mobilitazione della comunità indù, che comprendeva retorica anti-islamica e anti-Pakistan, così come la violenza contro le popolazioni musulmane del paese effettuata dai loro quadri locali in numerose città e cittadine in tutto il paese durante la loro ascesa al potere. Ma credono anche che tutto questo sia necessario per consolidare e unificare la nazione indù.
Questo consolidamento non ha lo scopo di fornire in ultima analisi, i mezzi per soddisfare i bisogni umani fondamentali delle sue centinaia di milioni di poveri e svantaggiati, ma, al contrario, è progettato per acquisire il rispetto delle altre grandi nazioni del mondo, in particolare degli Stati Uniti. Tutte le speranze e i bisogni che richiedono programmi e risorse di grande impegno e ampiezza devono essere differiti e l’attenzione della gente spostata sulla marcia della nazione verso la grandezza, mettendo i musulmani al loro posto, mostrando durezza e forza militare contro il Pakistan, e costruendo un arsenale nucleare pienamente operativo. Il vecchio governo del Partito del Congresso in India non si impegna a trasformare i musulmani in capri espiatori, ma nessun governo indiano sarà disposto a fare qualsiasi compromesso sul Kashmir che soddisfi il Pakistan, anche se può assumere una posizione più conciliante nella Valle stessa per cooptare leader militanti locali. Né c’è da aspettarsi alcun cambiamento nella politica nucleare dell’India, che rappresenta la sua aspirazione al riconoscimento come una grande potenza militare.(segue)