Il Wheeler-Howard Act, noto come Indian Reorganization Act (IRA) del 18 giugno 1934 era un tipico prodotto dei riformatori del New Deal; questa legge capovolse i propositi che si prefiggevano il Dawes Act del 1887, noto anche come General Allotment Act, e la legislazione successiva, compreso l’Indian Citizenship Act del 1924, cioè di amalgamare la popolazione nativa a quella maggioritaria e di dargli la cittadinanza a pieno titolo e, quando possibile, chiudere il periodo di tutela degli indiani. Anche John Collier, il Commissario agli Affari Indiani che volle fortissimamente l’IRA, si proponeva di concludere la tutela degli indiani, ma credeva di favorirne l’autosufficienza e l’autodeterminazione tramite la revitalizzazione della cultura tribale e la costituzione di consigli tribali su modello democratico.
La sec. 19 definisce i termini “indiano” e “tribù”: Il termine “indiano” come è usato in questo Atto includerà tutte le persone di discendenza indiana che sono membri di una qualsiasi tribù indiana sotto giurisdizione federale e tutte le persone che sono discendenti di tali membri che erano, all’1 giugno 1934, residenti entro i presenti confini di una riserva indiana e includeranno ulteriormente tutte le altre persone di metà o più sangue indiano. Per gli scopi di questo Atto, gli eschimesi e altri popoli aborigeni dell’Alaska saranno considerati indiani. Il termine “tribù” ovunque usata in questo Atto sarà intesa come riferita a qualsiasi tribù indiana, banda organizzata, pueblo o indiani residenti su una riserva. Le parole “indiano adulto” ovunque usate in questo Atto saranno intese come riferentesi a indiani che hanno raggiunto l’età di ventuno anni» (Prucha 1990:225).
Il Civil Rights Act dell’11 aprile 1968, al Titolo II – Diritti degli indiani, afferma alla Sec. 201: «Per gli scopi di questo titolo il termine – (1) «tribù indiana» significa qualsiasi tribù, banda o altro gruppo indiano soggetto alla giurisdizione degli Stati Uniti e riconosciuto come possessore di poteri di autogoverno; (2) «poteri di autogoverno» significa e include tutti i poteri di governo posseduti da una tribù indiana, esecutivo, legislativo e giudiziario, e tutti gli uffici, corpi e tribunali tramite i quali sono eseguiti, compresi i tribunali di offese indiane; e (3) «tribunali indiani» significa qualsiasi tribunale tribale indiano o tribunale delle offese indiane» (Prucha 1990:250).
L’Indian Gaming Regulatory Act del 17 ottobre 1988, che regolamenta il gioco d’azzardo nelle riserve definisce così i termini «terre indiane» e «tribù indiana»:
«Sec. 4. Per gli scopi di questo Atto – …
(4) Il termine «terre indiane» significa -
(A) tutte le terre entro i limiti di una riserva indiana; e
(B) qualsiasi titolo terriero che sia o tenuto in amministrazione fiduciaria dagli Stati Uniti a beneficio di una tribù indiana o individuale o tenuto da una tribù indiana o individuo soggetto a restrizione da parte degli Stati Uniti contro l’alienazione e su cui una tribù indiana esercita potere di governo.
(5) Il termine «tribù indiana» significa una qualsiasi tribù indiana, banda, nazione o altro gruppo organizzato o comunità di indiani che -
(A) è riconosciuta come eleggibile dal Ministro (dell’Interno) per gli speciali programmi e servizi forniti dagli Stati Uniti a causa del loro status come indiani, e
(B) è riconosciuta come detentrice di poteri di autogoverno» (Prucha 1990:316).
A proposito dell’uso del termine «indiano» come è usato comunemente Forbes osserva giustamente che «implica che i nativi delle Americhe fossero un solo popolo, il che non è vero, linguisticamente e politicamente» (Forbes 1969:127, enfasi nel testo) e aggiunge che l’intera questione è ulteriormente complicata dal fatto che le organizzazioni tribali esistenti, come gruppi specificatamente costituiti in società anonima (company), sono quasi universalmente la creazione del governo federale e vengono fuori dal modo particolare con cui gli indiani vennero radunati «come bestiame» o divisi e costretti in particolari riserve; mentre le identificazioni trans-riserva esistenti (come i concetti di «apache» o «yokut» o «paiute meridionale») sono la creazione di antropologi, storici o comuni uomini bianchi e, in molti casi, hanno ben poco significato operativo per i nativi.
La«banda» è stata considerata dagli antropologi il gruppo emblematico delle popolazioni di caccia e raccolta, ma si è andata dissolvendo come concetto unitario e unificante; la banda sarebbe costituita da un insieme di famiglie nucleari economicamente interdipendenti, dove i prodotti della raccolta restano normalmente nell’ambito della famiglia nucleare, mentre quelli della caccia circolano in tutto il gruppo. Per la definizione di «tribù» nelle società di caccia e raccolta non vi è uniformità e il termine è stato usato spesso in modo strumentale dagli etnografi come il più agevole e rapido per indicare un’unità sociale di vaste dimensioni.
«Esistono tuttavia elementi comuni normalmente riconosciuti come caratteristici della tribù. La tribù è un’unità contraddistinta da un linguaggio e da un territorio suoi propri, e dalla frequente interazione, oltre che da un comune senso di appartenenza, dei suoi membri. Non ha molto senso parlare di «autonomia politica» della tribù nelle società di caccia e raccolta, in quanto la tribù non costituisce un’unità politica centralizzata capace di agire come un tutto nei confronti di unità consimili» (Moruzzi 1983:55).
Il numero medio delle bande contigue che formerebbe l’aggregato tribale, l’unità massima di raggruppamento tra i cacciatori-raccoglitori, andrebbe dalle 600 alle 900 persone, che tenderebbero a una omogeneizzazione dialettale e a un alto tasso di endogamia.
Sulla definizione di tribù in termini matrimoniali si sono trovati d’accordo la maggior parte degli studiosi riuniti alla Conferenza sull’organizzazione delle bande tenutasi a Ottawa nel 1965. Vediamo perciò che il termine tribù è molto diverso dall’accezione comune, che vi dà un connotato di centralizzazione politica che non ha. Questo tipo di tribù tipico della caccia e raccolta può essere ritenuto un modello valido anche per i villaggi degli orticoltori, come gli algonchini della Nuova Inghilterra o i pueblo del Sudovest.
«Discontinuità territoriale e discontinuità matrimoniale appaiono dunque gli elementi principali per definire una tribù: gruppo endogamo volto allo sfruttamento di un territorio esclusivo, con il quale ha raggiunto un equilibrio tra popolazione e risorse di lungo periodo» (Arioti 1980:96).
La lingua si è però rivelata un elemento molto incerto nel determinare i confini tribali. I pomo della California, per esempio, hanno variazioni dialettali minori all’interno del gruppo linguistico che conta circa 8000 membri, divisi secondo Kroeber in piccole tribù di circa 240 persone. Le stesse difficoltà si sono presentate per altre popolazioni indiane ed eschimesi.
Quanto alla banda la Arioti giustamente afferma che «è stata sopravvalutata, perché non si è tenuto conto dei fattori che dopo il contatto hanno portato alla stabilizzazione dei gruppi locali intorno ai posti commerciali» (Arioti 1980:66).
La parola «tribù», in ogni caso, deriva dal latino tribus, che designa le 35 suddivisioni della società romana antica e, nel latino ecclesiastico, le 12 tribù di Israele. Gli antropologi inglesi e francesi, da parte loro, hanno utilizzato il termine per le società africane e indù, con significati differenti, che categorizzavano società diverse per caratteristiche economiche, politiche e sociali. (segue)
Prucha, Francis Paul, Sj. (a cura). Documents of United States Policy. Seconda edizione aumentata. Lincoln: University of Nebraska Press. 1990
Moruzzi, Luisa. La terra “padre”. Ecologia e simbolismo nelle società di caccia e raccolta. Torino: Loescher 1983.
Arioti, Maria. Produzione e riproduzione nelle società di caccia e raccolta. Torino: Loescher. 1980.