Etoanalisi: che cos’è e cosa studia

Creato il 06 dicembre 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno


L’etoanalisi è lo studio dei comportamenti interattivi, e analizza come si comporta il Sé quando entra in contatto con un altro sé all’interno di una qualsiasi relazione; inoltre, analizza cosa accade nello scambio reciproco e quali specifiche strategie vengono messe in atto al fine di affermare o preservare il proprio Sé. Ho selezionato e individuato tre strategie che ogni agente mette in atto quando vuole rispettivamente “predominare”, “prevalere” o “modificare” i limiti di una relazione. Queste strategie costituiscono delle vere e proprie modalità interattive, che ogni agente ha in sé “incorporate” quando entra in contatto con l’altro. Esse si rivelano non soltanto nello scambio con l’altro sé, ma anche nei confronti degli oggetti, del tempo e dello spazio. Ognuna di queste modalità interattive comprende sia uno schema d’offesa, teso all’«affermazione del Sé», che uno schema di difesa, finalizzato alla «preservazione del Sé»; le mosse dell’uno sono coordinate sulle mosse dall’altro. L’interazione diventa il “campo d’osservazione” entro il quale si confrontano o si scontrano i singoli “punti di vista”. L’affermazione o la preservazione del Sé dipende dal “potere” di cui ciascun agente dispone all’interno della relazione, quando vuole “imporsi” sull’altro, quando lo vuole “influenzare” o ”condizionare”, oppure quando vuole lo “suggestionare”. Ognuna di queste strategie ha lo scopo di porre sotto il proprio controllo il comportamento altrui, adeguandolo alle proprie prefigurazioni.

Obiettivo dell’etoanalisi è studiare le origini di queste dinamiche, la loro formazione e il loro sviluppo, e dimostrare come all’interno di ciascuna dinamica interattiva nella vita quotidiana siano operanti delle strategie. L’etoanalisi pertanto non si configura come uno studio sulla personalità o sui caratteri, ma sui processi e sulle dinamiche relazionali. Ogni disciplina parla del proprio oggetto di analisi come una realtà precostituita, come una realtà che s’anticipa all’osservazione, e mette tra parentesi il fatto che la cosiddetta soggettività altro non è che una derivazione dell’azione reciproca. Quanto fondamentale sia il ruolo che degli effetti di azioni reciproche hanno nella vita di relazione è stato messo bene in evidenza da Simmel, il più geniale tra tutti i sociologi e filosofi del suo tempo. Il soggetto, la personalità, o ciò che viene definito come il carattere dell’individuo altro non sono che il risultato di queste azioni reciproche, per cui un individuo prima di essere un soggetto è un agente, cioè un essere che interagisce in una situazione situata.

Coercizione, convenienza o mimesi: sono queste le tre “istanze” fondamentali che muovono l’interagire umano, e intorno alle quali l’etoanalisi intende indagare l’intera struttura del comportamento interumano. L’etoanalisi intende individuare e definire la struttura interattiva del comportamento umano, ossia descriverne la “grammatica antropologica”, proponendosi un duplice obiettivo: da un lato chiarire la costellazione di concetti, cercando di rintracciare in essi somiglianze e familiarità; dall’altro, giacché i concetti altro non sono che schemi per descrivere determinate operazioni, far emergere e descrivere le dinamiche interattive. L’obiettivo dell’etoanalisi è rispondere a una serie di problemi che da tempo impegnano la mente umana : capire la struttura dei rapporti umani; analizzare il potere elementare; infine, ma sottotraccia, profilare una teoria della cultura. Il minimo comune denominatore che sottende questa costellazione di problemi è il concetto di azione reciproca o, più semplicemente, d’interazione. Attraverso il concetto di interazione infatti possiamo in parte ricostruire la scala sulla quale siamo saliti, tentando di volta in volta di metterne assieme qualche piolo, e usarla però, anziché per salire, per scendere. La psicologia ci parla di psiche, la sociologia di società o di relazioni sociali, la psicologia sociale di una psiche socializzata o di una psiche sociale, l’antropologia dell’”homo”. Ognuna di queste discipline parla di ciò che sta alla fine di un lungo e faticoso processo di conoscenza, e dimentica di ciò che è all’inizio; non dicono dove ha inizio la coscienza, la psiche, la società, il cosiddetto “homo”, non dicono che all’inizio di tutto ciò c’è l’azione reciproca, e che senza l’azione reciproca parlare di psiche, di coscienza, di società, di individuo non ha senso.

Per compiere questo lavoro di ricostruzione, ho inseguito un preciso filone di pensiero, che ha al suo centro il concetto di interazione o di reciprocità: ho preso le mosse dalla filosofia sociologica di Simmel, con le sue ramificazioni nicciane, ho attraversato l’opera di Georg Herbert Mead e di altri interazionisti (Blumer, Goffman), approdando alla riflessione metodologica di Norbert Elias, del quale ho meditato il saggio di Coinvolgimento e distacco; alla fenomenologia sociologica di Berger e Luckmann, all’antropologia filosofica di Gehlen e alla riflessione di Galimberti; alla teoria sociologica di Luhmann; alla teoria dell’attaccamento di Bowlby; al pensiero di René Girard e alla riflessione sul potere di Popitz; alle intuizioni originali di Elias Canetti, contenute in Massa e potere, sulla «paura di essere toccati». Infine, alla “teoria delle catastrofi” di René Thom e alla “teoria dei giochi” di John Nash. Ho recuperato qualche piolo di fondamentale importanza attingendo all’opera di Gregory Bateson e agli studiosi della Scuola di Palo Alto, che hanno fatto compiere alla “pragmatica del comportamento” dei passi avanti decisivi, soprattutto utilizzando il loro concetto di “punteggiatura” degli eventi interattivi.

Attraverso questi filoni l’etoanalisi vuole riportare in superficie aspetti incastonati nella vita quotidiana, che soltanto un’eccessiva addomesticazione sociale ha finito con il non riconoscerli. Quando si parla di comportamento reciproco si ritiene che in questo campo le uniche regole da rispettare siano quelle socialmente codificate, e che, al di là dei rituali interattivi, agli attori sociali sia riservato soltanto un residuo di spontaneità o di improvvisazione. Siamo indotti a credere che pratiche quali la prevaricazione, la competizione o la seduzione siano aspetti o tratti del carattere o della personalità, e che nulla hanno a che fare con i comportamenti interattivi. Eppure, ad un’analisi più attenta è del tutto evidente che queste pratiche interattive siano modalità duali e non indivi-duali. Se parlo di un atto prevaricatore devo presupporre per forza che se da un lato abbiamo “chi” prevarica dall’altro abbiamo un “chi” che patisce la prevaricazione. Così se faccio riferimento alla competizione presuppongo la presenza di due rivali, e così accade anche nel caso della seduzione. E non si può parlare di prevaricazione senza riferirci alla coercizione, non possiamo parlare di competizione senza riferirci alla compensazione di un vantaggio e di seduzione senza riferirci a un processo di mimesi.

È difficile sradicare l’idea che senza il concetto di individuo non esista unità d’analisi. Parlare di individuo, di società o di rapporti tra l’individuo e società vuol dire parlare di problemi che stanno in cima alla scala, e questa osservazione potrebbe valere anche nel caso della psicoanalisi. L’individuo o la società, per limitarci solo a questi due concetti, di per sé non hanno alcuna realtà, o, più precisamente, sono soltanto il risultato di un processo di reificazione delle relazioni sociali: noi non incontriamo mai l’individuo o la società, noi interagiamo con gli altri e gli altri interagiscono con noi. E ciò che l’altro è io posso saperlo soltanto attraverso scambi interattivi. Ed è da questo fascio enorme di rapporti reciproci e di relazioni che s’intrecciano i fili che danno corso alla personalità, individualità o al cosiddetto carattere; contatto dopo contatto, legame dopo legame, relazione dopo relazione, i fili si annodano, fino ad acquistare quella concretezza che a noi appare sotto forma di ciò che definiamo “personalità”, e questa ci appare sempre più stabile e consistente, acquista appunto una sua “realtà oggettiva”, ma in realtà sono i fili, cioè le interazioni o gli scambi reciproci, a intrecciare la trama della nostra vita, a dare ad essa quello spessore consistente tale da farle assumere, ai nostri occhi, i cosiddetti tratti o caratteri della personalità.


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