Scrisse il poeta «essenziale ed esistenziale nel suo senso finale e più alto», e qui mi fermo, un sol attimo.
Oggi per alcuni ragazzi è incominciata la scuola, non oso pensare oggi, quanti di questi ragazzi sanno chi sia, chi è (dipende) Eugenio Montale, colui per alcuni fu il Poeta.
Le immagini e le figure di Montale tendono però ad assumere un significato esistenziale fin dai tempi di Ossi di seppia , dove il paesaggio non è soltanto se stesso, ma rappresenta anche la realtà mentale del poeta.
L’allegoria, come mezzo per attribuire al mondo delle apparenze i segni di cose invisibili, è, storicamente e nella sua essenza, uno strumento della fede. La ricerca esistenziale di Montale, il tentativo di liberarsi dai confini dell’io, è in fondo un dramma spirituale, e anche se il poeta lotta strenuamente contro «lo splendore del cattolicesimo», la fede tradizionale alla fine lo sconfigge: Clizia in ultimo è «consumata dal suo Dio»; il suo essere assorbita dall’altruismo cristiano la allontana da lui, abbandonandolo al suo corpo terreno, corruttibile, di non credente sconfitto dalla fede. Il poeta rimane separato dal Dio con la D maiuscola. Qui la differenza nel sentirsi uomo, vulnerabile, semplice poeta al servizio della poesia, semplice servo che serve, forse a nessuno, forse a sè stesso, ma poi nemmeno eppure un grazie, noi tutti ancora oggi glielo dobbiamo.