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Eugenio Müntz, Escursione da Firenze a Poggio a Caiano

Da Paolorossi

Il viaggio da Firenze a Poggio a Cajano si fa comodissimamente col tram a vapore che si trova a Santa Maria Novella. Le partenze, abbastanza frequenti durante la mattinata e di sera, si sospendono verso la metà del giorno. Siccome il tragitto è alquanto lungo, e un buon numero di località si trova sulla strada, una sola vettura non basterebbe a trasportare tutti i viaggiatori - quasi tutti campagnoli, - così si organizzarono dei veri treni, formati di quattro o cinque carrozze.

Da parecchi giorni delle pioggie torrenziali mi avevano costretto a differire la gita. Ma come aspettare più a lungo ! Mi metto adunque in cammino, sebbene delle nubi nere, foriere di tempesta, oscurino il cielo, ed il vento, un vento umido e freddo, spiri con violenza. Ma forse sarò compensato da qualche nuovo effetto di luce sul paesaggio !

La vallo dell'Arno, invasa dalla nebbia e dal fango, è uno spettacolo che non è dato ammirare molto spesso, specialmente nel mese di settembre. Il tram corre serpeggiando attraverso una quantità di strade, strade al solito ridenti, oggi tristi come lo stesso cielo; raggiunge poscia i sobborghi, e sbocca finalmente in aperta campagna. In quel momento lo sguardo, stanco di tutto quel grigio, scopre con giubilo un fondo di montagne d'un azzurro intenso. La via è del resto abbastanza animata, malgrado il cattivo tempo ; c'è un continuo viavai di carri e carretti, guidati da contadini vestiti, si può dire, tutti di grigio, quasi per non stonare colla tinta del cielo e dell' atmosfera.

Dopo attraversato l' inevitabile torrente Maglione , si arriva al dominio di San Donato, da poco illustrato dai Demidoff; il treno costeggia un magnifico parco, protetto da un semplice cancello, e i cui salici piangenti, i pioppi, i platani riposano lo sguardo dagli eterni ulivi, o dall'oppio (specie di frassino). Più innanzi, esso attraversa dei prati su cui pascola tranquillamente una greggia di pecore. Ora non abbandoneremo più la pianura, sino al termine del nostro viaggio.

A Peretola il tram si ferma sulla piazzetta della chiesa. La locomotiva ci lascia per dirigersi verso Prato, e la nostra vettura si muta in un semplice tram, a cui si attaccano due cavalli. Approfitto di tale sosta per visitare la chiesa, un'umile chiesa di villaggio, ma in cui mi fu indicata un' opera degna d' attenzione , dello studio dei della Robbia, opera sconosciuta a tutti i biografi del maestro.

Ma il conduttore fa schioccare la frusta: bisogna rimettersi in viaggio. Attraversiamo in tutta la sua lunghezza, e non è poco, l' interminabile via di Peretola, o piuttosto diversi villaggi che si succedono senza interruzione e senza che alcuna iscrizione indichi un cambiamento di nome. Nulla di meno pittoresco. La mancanza di marciapiedi e di fossati , le file monotone di casette addossate le une alle altre, l'uniformità dell'architettura, tutto ciò forma il più completo contrasto coi villaggi di montagna osservati nelle nostre precedenti escursioni. Siamo in un sobborgo di Firenze o in aperta campagna ? Si ha diritto d'essere incerti. L'aspetto miserabile delle donne, che, in piedi sulla soglia delle loro grigie casette, lavorano in cappelli di paglia, ci indica che siamo in mezzo ai contadini. Ma allora che significa quest' illuminazione a petrolio, queste iscrizioni baldanzose ?

Il problema diventa specialmente imbarazzante a Brozzi, una località un po' più lontana. Da una parte si vedono dei negozi che portano in lettere maiuscole l'iscrizione (in francese): Au petit salon de la mode e trattasi di un parrucchiere, oppure Brasserie et depôt de glace, o Bureau de loterie, un banco di lotto; mentre poi s'incontrano contadini che portano in mano le loro scarpe, e camminano a piedi scalzi per economia. Che mancanza di logica e di buon senso!

Dopo una nuova sosta, più lunga ancora delle precedenti, il paese si allieta e si anima; ai campi succedono delle praterie; all'eterna pianura delle montagne grandi e piccole, che intercettano il passaggio. Evidentemente ci avviciniamo al termine della gita, e ne è tempo, poiché comincia a piovere, e la via si trasforma ben tosto in una pozzanghera.
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( Eugenio Müntz, brano tratto da "Firenze e la Toscana", Fratelli Treves Editori, 1899 )

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