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Eugenio Müntz, Firenze – Palazzo Strozzi

Da Paolorossi

Gli Strozzi, dopo aver per qualche tempo brillato alla testa dell'aristocrazia fiorentina (aristocrazia composta di mercanti e non di uomini d'arme), avevano dovuto prendere la via dell'esilio, in seguito alla loro opposizione alle imprese dei Medici. Mentre il nobile Palla Strozzi, coltivando le lettere a Padova, tentava consolarsi della perdita della sua patria, i figli di suo cugino Matteo tentavano ricostituire la loro fortuna a Napoli. Vi riuscirono; ed il principale tra essi, Filippo, ottenne finalmente, dopo lunghi anni di relegazione, di rientrare nella sua città natale.

Per non impressionare i suoi ombrosi concittadini, egli cominciò a muover lamenti sulla ristrettezza della sua abitazione, e sull'estensione della famiglia. Avendo fatto venire dei maestri nell'arte dell'edificare, egli chiedeva loro dei progetti, poi fingeva rinunciarvi, come spaventato della troppa spesa. Finì poi col persuadere i conoscenti d' esser stato trascinato dai suoi architetti molto più lontano di quanto aveva voluto, mentre invece la sua ambizione era di superare, possibilmente, Luca Pitti, che si era fabbricato il palazzo più grandioso che Firenze avesse sin allora veduto. Siffatte precauzioni non erano così superflue come si potrebbe credere: infatti apprendiamo da una deliberazione del consiglio dei Priori, che l'autorizzazione di quest'assemblea era indispensabile per permettere allo Strozzi di procedere a lavori che dovevano modificare tutto un quartiere di Firenze.

Il Palazzo Vecchio di Firenze è il modello a cui si ispirò Benedetto da Majano, ma mitigando con ingegnose combinazioni quel certo che di ruvido e di austero che è proprio dell'oscuro edifizio della piazza della Signoria. Al pianterreno, panchine di pietra destinate ai passanti, poi le inevitabili finestre quadrate, basse e ad inferriata, vere feritoie. Al primo piano, finestre bifore, ornate delle mezzelune degli Strozzi; al secondo piano, altre finestre bifore.

Su questa facciata, cosi imponente e così aggraziata, è fatta una sola concessione all'ornamentazione: trattasi delle lanterne in ferro lavorato. Come il palazzo, esse pure hanno la loro leggenda : l'artista che le ideò, Niccolò Grassi, dovette ad una mania il suo nomignolo di Caparra : concludendo un contratto egli esigeva sempre che il suo cliente, chiunque egli fosse, gli versasse una somma qual pegno. Un'insegna appesa alla porta del suo studio rappresentava dei libri che bruciavano : voleva significare con ciò che non faceva credito, poiché non avrebbe potuto iscrivere i suoi debitori sui libri che il fuoco stava divorando. Quest'uomo originale conservava la sua franchezza anche innanzi a Lorenzo il Magnifico: avendogli questi chiesto una volta di farlo passare prima di alcuni clienti poveri, il Caparra ricusò brutalmente, dicendo che i primi venuti dovevano essere i primi serviti.

Più fortunati di molte altre famiglie patrizie di Firenze, gli Strozzi abitano ancor oggi il palazzo per essi eretto con tanto amore dai loro antenati. Molte delle ricchezze già riunite in questo palazzo, disgraziatamente non vi si trovano più: il busto di Filippo Strozzi, dovuto allo scalpello di Benedetto da Majano, è ora al Louvre; il busto conosciuto sotto il nome di Manetta Strozzi, e il ritratto della figlia di Roberto Strozzi, eseguito dal Tiziano, sono nel museo di Berlino. Persino la celebre chiave, un capolavoro di gusto e di finezza, prese la via dell'estero, essa appartiene al barone Adolfo Rotschild che la pagò, dicesi, 30.000 lire. La si potè ammirare in diverse esposizioni di Parigi, fra le altre a quella del 1878.

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( Eugenio Müntz, brano tratto da "Firenze e la Toscana", Fratelli Treves Editori, 1899 )

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