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Eugenio Müntz, Pienza

Da Paolorossi

Io son portato a credere che ben pochi viaggiatori prima di me abbiano visitato Pienza (queste linee sono state scritte nel 1882), eppure questa piccola borgata colla sua spiccata fisionomia quattrocentista, i suoi ricordi storici, il suo bellissimo palazzo, le opere d'arte ammucchiate nella chiesa, può rivaleggiare con più d'una città celebre.

Commosso dell'abbandono in cui si trovava la patria e la residenza favorita di Enea Silvio, che durante il suo soggiorno in Germania avea fatto tanto per la causa del Rinascimento, uno scrittore tedesco, il barone di Rumohr, si sforzò di rimettere Pienza in onore. Nelle sue Ricerche italiane, pubblicate nel 1827, egli considera principalmente l'arte con cui l'architetto ha stabilito la, proporzione relativa dei diversi monumenti, e li ha collegati alle piazze e alle vie, sì da farne un insieme ricco ed armonico. La perorazione di Rumohr non rimase senz'eco; una quarantina d'anni fa, infatti, un inglese, certo Newton, pensò di stabilirsi in questo borgo remoto; vi comperò un palazzo, che la sua famiglia abita ancora, e divenne una specie di re del paese. Senza spingere tant'oltre il culto della storia, un certo numero d'artisti tedeschi intraprese il pellegrinaggio di Pienza, pellegrinaggio ben meritorio, poiché nel 1858, come riferisce uno di essi, l'architetto Nohl, il luogo non possedeva ancora un albergo, e bisognava ritornare la sera stessa a Montepulciano o a Siena per avere alloggio.

Oggi la spedizione richiede meno eroismo; oltre all'Albergo Letizia, c'è a Pienza un albergo presso la porta della città, capace almeno d'offrire alloggio per una notte. Anche le comunicazioni sono più facili: grazie all'ottima manutenzione delle strade si può giungere a Pienza in sette ore da Siena, e in due ore soltanto da Montepulciano. Non terminerò questo capitolo senza una parola per l'umile, ma ospitale albergo Letizia.

Tutto è strano in queste borgate italiane, i cui costumi sono così diversi da quelli delle grandi città della Penisola. Al pianterreno una privativa di sale e tabacco; sulla scala una bandiera con un'iscrizione latina, composta da qualche fabbricatore d'acrostici del paese, e le cui iniziali riunite delle diverse parole formano il nome Vittorio (Emanuele): "Viri Integritate, Tanta Tantus Ortus Rerum Italiæ Ordo".

La sala da pranzo, le cui finestre guardano sullo splendido palazzo Piccolomini, di cui ci occuperemo tosto, è decorata da quattro ritratti del secolo XVIII: un cardinale, un generale, un poeta o un artista e una signora. Queste tele, che non sono capolavori, fanno dimenticare un po' la nudità dei muri coperti d'una semplice tinta.

Aspettando la cena, per la quale mi si promise una bistecca di maiale, esamino la tavola, il coperto. Potenza dell'industria moderna ! Il famoso piatto chinese, con figure turchine sul fondo bianco, è riuscito a penetrare sino in quest'angolo remoto !...

Vi ritrovo a destra la pagoda ombreggiata dagli alberi dal convenzionale fogliame ; nel centro i tre Chinesi che attraversano un ponte ; poi più in là la barca su cui stanno i fuggitivi, e finalmente i due uccelli che si slanciano teneramente l'uno verso l'altro.

Pare che questa bizzarra composizione nasconda, a quanto mi fu detto, una commovente storia d'amore: due amanti costretti a fuggirsene, ottengono dal cielo il favore d'esser mutati in colombe.

Ad ogni modo l'anonimo inventore può esser contento : i suoi piatti hanno fatto il giro del mondo ; essi hanno assicurato l' immortalità ai fortunati fabbricanti ch'ebbero la cura di apprendere ai posteri la parte da essi presa alla loro esecuzione, coll'iscrizione: "F. Primavesi and Son. Cardiff and Swansee".

Nessun capo d'opera, dai tempi più antichi, ha mai ottenuto un tal successo di popolarità !

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( Eugenio Müntz, brano tratto da "Firenze e la Toscana", Fratelli Treves Editori, 1899 )

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