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Eugenio Müntz, Pisa – Il Camposanto

Da Paolorossi

Secondo il Vasari , il primo campione dell' architettura gotica in Italia sarebbe stato Niccolò Pisano. In quell'epoca, lo si sa, era cosa rara che un artista si limitasse ad un'arte soltanto; l'insegnamento simultaneo era già sin d'allora in gran voga. [...] Il figlio di Nicolò Pisano, Giovanni, conta invece nel suo attivo una serie di costruzioni del massimo interesse, la facciata della cattedrale di Siena, il compimento della Cattedrale di Prato, e finalmente il celebre monumento di cui ora ci occuperemo, il Camposanto di Pisa.

La costruzione del Camposanto si riannoda, come quella del Duomo, ad una spedizione militare dei Pisani. I cronisti raccontano che l'arcivescovo Ubaldo dei Lanfranchi, capo delle truppe fornite dalla Repubblica pisana alla terza crociata, ebbe l'idea di far trasportare in patria una gran quantità di terra proveniente dal Calvario del Golgota. Ritornato a Pisa, egli acquistò uno spazio di terreno presso il duomo, e lo trasformò in cimitero, dopo averlo riempito, con una nobile ispirazione, di questa terra santa. Questa terra , secondo autori seri , aveva virtù miracolose. Ascoltiamo Michele Montaigne:

"Questo recesso è selciato di marmo come il corridoio, sopra il marmo si mise della terra per l'altezza di una o due braccia, e si dice che questa terra sia stata portata da Gerusalemme nella spedizione che i Pisani vi fecero con un grande esercito. Col permesso del vescovo, si prende un po' di questa terra, che si sparge sugli altri sepolcri."

Come monumento d'architettura, il Camposanto non ebbe principio che molto tempo dopo la fondazione del cimitero. Cominciata nel 1218, la costruzione fu terminata nel 1283. Il Camposanto forma parallelamente al Duomo ed al Battistero, in una linea più vicina ai bastioni (è come situato al secondo piano della piazza), un vasto rettangolo. Punto aperture, come se questo santuario della morte non dovesse avere alcuna comunicazione col mondo esterno. Una serie di false arcate (se ne contano 43 sulla facciata), centinate, come al Duomo, al Campanile ed al Battistero, rialza l'effetto di questi lunghi e nudi muri. All'intersezione di queste arcate, per solo ornamento, una testa in rilievo, d'una espressione strana e d'uno stile originale.

La porta d'ingresso principale è sormontata da un baldacchino gotico ornato di sei statue, fra le quali bisogna indicare la Vergine ed il Bambino di Giovanni Pisano. La semplicità dell'esterno sembra fatta esclusivamente per alimentare l'effetto dell'interno: quando se ne varca la soglia, quale splendore !

Corridoi larghi per lo meno dieci metri e mezzo, una serie di sessantadue arcate traforate, di stile gotico ricchissimo (in realtà sono centinate) da cui penetrano torrenti di luce; nei vani una stupenda serie di sculture antiche; contro la parete, un pittoresco miscuglio di busti, di statue, di gruppi in marmo; sulle pareti, il più vasto ciclo di affreschi del medio evo e del Rinascimento, di cui possa menar vanto un monumento italiano; finalmente, sul suolo, innumerevoli pietre funerarie, le une antiche, le altre rinnovate da mani pietose: certo quello spettacolo è uno dei più grandiosi ed originali fra tutti quelli che ci offre la divina Italia.

Le guide raccomandano di visitare il Camposanto di notte, con un bel chiaro di luna; e non hanno torto. Per godere simili spettacoli, occorre non solo una disposizione di spirito speciale, ma eziandio una luce soprannaturale. A primo aspetto il Camposanto non risponde all'idea che uno può farsi d' un santuario di tal genere. Si crede trovare un vasto cimitero, circondato da strette gallerie, come a Milano, a Bologna, a Genova. Invece, le proporzioni sono invertite e, per conto mio, dal punto di vista artistico, non me ne lagno: il cimitero è microscopico - si compone di quattro aiuole ricoperte d'erba e ornate di pochi fiori, con qualche arbusto qua e là; quattro cipressi agli angoli, e nel centro una colonna, intorno a cui s'avviticchia un rosaio; ma il chiostro che lo circonda è colossale, e questo chiostro, Giovanni da Pisa, che si mostrò qui architetto di genio, lo volle degno dei tesori ch'era destinato a circondare, cioè semplice e monumentale nello stesso tempo. C'era da temere che la ripetizione indefinita del medesimo motivo, le sessantadue arcate aperte, producesse della monotonia.

Per ovviare a tale pericolo, l'architetto pisano, conservando come tema dominante l'arco tondo, imposto dalla vicinanza del Duomo, del Campanile, e del Battistero, lo unì con gran successo all'arco a sesto acuto. Ognuna delle sue arcate, tonda in alto, porta sulla sommità una rosa a sei lobi, sovrapposta ad un pilastro principale, che divide il resto dell'arcata in due grandi finestre a lancetta ; queste finestre che hanno pure una rosa nella sommità, sono alla lor volta suddivise da pilastri più piccoli; dimodoché ogni arcata contiene tre rose, tre pilastri e quattro finestre: disposizione nello stesso tempo ricca ed armonica, che produce la varietà nella regolarità.

Di tombe propriamente dette, di croci, d'emblemi funerari, neppure traccia ; solo i mausolei o i cenotafi hanno il diritto di figurare in questa necropoli ideale.

Poiché, malgrado il suo nome e la sua prima destinazione, il Camposanto è il Panteon delle glorie pisane, anziché un campo di riposo. Gli slanci di fede, i trionfi del patriottismo, le idee d'apoteosi, relegano nell'ombra i sentimenti d'un carattere puramente personale: il dolore d'una famiglia alla morte d'uno dei suoi, oppure lo spettacolo della varietà delle cose di quaggiù.

Nulla di lugubre, eccetto forse le pitture che si attribuiscono ad Orcagna; nulla che ricordi la fine fatale di ogni esistenza; ovverossia i morti non si presentano a noi che nel loro aspetto imperituro, col ricordo di belle azioni, di scoperte brillanti, d'opere di genio. Infatti quale riunione straordinaria di monumenti commemorativi, da quello della contessa Beatrice, madre della famosa contessa Matilde, sino a quello della Catalani, da quello dell'imperatore Enrico VII sino a quello del poligrafo Algarotti, educato a spese dell'economo Federico II di Prussia, o dell' istoriografo Fabroni! E che sorprendente collezione di capi d'opera, dall' insuperabile riunione di sarcofaghi greci e romani, dal vaso di marmo col Bacco indiano, copiato da Niccolò da Pisa, sino alle sculture di Giovanni Pisano ed agli affreschi di Benozzo Gozzoli !
[...]

( Eugenio Müntz, brano tratto da "Firenze e la Toscana", Fratelli Treves Editori, 1899 )

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