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Eugenio Müntz, Si va a Pienza

Da Paolorossi

Eccoci in cammino alla volta di Buonconvento, ove mi si assicura sarà facilissimo trovare una vettura per giungere la sera stessa a Pienza. La via, sebbene dirupata, non è paragonabile a quella d'Asciano. Noi non tardiamo molto a perdere di vista il convento: delle siepi di caprifoglio in fiore, e alcune fattorie abbastanza grandi ci convincono della vicinanza di contrade un po' meno aride. In capo ad un'ora giungiamo a Buonconvento. grosso borgo di tremila quattrocento abitanti, le cui mura d' un'apparenza piuttosto imponente, ne ricordano l'antica importanza. (Buonconvento era per l'addietro una delle soste principali del viaggio da Siena a Roma).

Una sorpresa ci attende, sorpresa di cui è felice il mio automedonte, ma che procura a me una gioia ben più limitata: troviamo cioè le vie invase da una folla compatta di cittadini e di contadini; dei saltimbanchi intronano l'aria d'una musica assordante; lunghe file di buoi, dal pelo grigiastro, dalle corna gigantesche, si aprono gravemente un passaggio tra la calca; è giorno di fiera.

Rinunciando ad ammirare lo spettacolo pittoresco, m'informo tosto del come poter giungere a Pienza; ma ricevo ovunque delle risposte poco incoraggianti; bisognerà aspettare la diligenza che giunge da Siena in cui non sempre v' è posto disponibile, oppure rassegnarsi a passare la notte in mezzo allo strepito: e peggio ancora, l'oste presso cui siamo scesi non sa dirmi se ci sarà una stanza per me.

Confesso che in tale confusione, non mi soffermai ad esaminare i monumenti di Buonconvento, se pur ne possiede, e decisi di rimetterne l'esame a un momento più favorevole. Finalmente, dopo aver picchiato a molti usci, il mio cocchiere scopre un industriale, che per una modicissima somma s'impegna a trasportarmi la sera stessa a destinazione. La carrozzella è di misera apparenza; una molla è spezzata; si pensa di accomodarla alla bell'e meglio con corde. Non ci bado, è tardi e mi preme troppo raggiungere una meta più tranquilla.

La strada da Buonconvento a Pienza. è larga, unita, ben tenuta; di tratto in tratto dei cespugli verdi, delle maestose quercie, ravvivano con una nota più calda e più nutrita, questa specie di lungo nastro polveroso. I contadini che ritornano dalla fiera e camminano a frotte, animano il paesaggio che non conserva più nulla della selvaggia grandezza di Monte Oliveto.

Per più d'una lega incontriamo di continuo innumerevoli contadini, vestiti di grigio senz'alcun'originalità pittoresca, e con cappelli molli sul capo: gli uni a piedi, gli altri a cavallo, che si cacciano innanzi delle paia di buoi col campanellino al collo, delle mandre di maiali.

Le donne, d'un tipo abbastanza regolare, si distinguono pel loro cappellone di paglia guernito d' un bel nastro alto. Poca conversazione, nessun canto.

E' un'altra leggenda che se ne va; sia che andiate al nord o al centro, oppure al mezzodì della Penisola, non troverete altro paese in cui si faccia meno musica.

A misura che ci allontaniamo da Buonconvento, i gruppi si fanno sempre più rari, il tintinnio dei sonagli diminuisce, le ombre della sera proiettano delle tinte più cupe sui verdi tappeti; la solitudine ricomincia.

Non è però il deserto che si vede nelle vicinanze di Monte Olivete: a destra sopra un'alta montagna boschiva scorgiamo la cittaduzza di Montalcino, ultimo rifugio della libcrtà senese, più avanti attraversiamo la strada ferrata da Grosseto a Siena, presso alla stazione di Torrinieri.

Una nuova tappa ci conduce al borgo di San Quirico, appollaiato sopra un'altura, in mezzo a boschi d'ulivi d'una straordinaria grossezza. Vi si osservano delle mura colle relative feritoie, una grossa torre, una chiesetta romanza, la cui porta è sostenuta da colonne che poggiano su leoni, e da giganti; il Cicerone non esita ad attribuire codeste sculture a Giovanni da Pisa.

Le vie sono meschine, sebbene una s'intitoli dal glorioso nome di Dante. La gloria del grande poeta fiorentino è penetrata sin qui, in questo lontano borgo, come quella dell'eroe cantato da Virgilio:

Dopo attraversato tutto il bel verde che rende San Quirico una vera oasi, pare che si debba dar un addio ad ogni civiltà ; ci ritroviamo in un vero deserto. Nemmeno un albero lungo il cammino, niuna traccia di coltura; un venticello, che non ha nulla da invidiare al maestrale , soffia in queste steppe italiane.

Il sole è tramontato ; io stò tremando nel nostro veicolo che ci abbandona senz'alcun riparo alle carezze della tramontana; ma il mio "cocchiere", un monello di quindici anni, vestito con miseri calzoni di tela e una sdruscita giacca di cotone, è ancor più da compiangere di me.

Nelle salite discendiamo per riscaldarci un po' camminando. Più avanziamo e più il paesaggio appare arido e selvaggio. Ci saremmo per caso smarriti ?

Il dubbio è possibile, poiché il mio vetturino in erba confessa ch'è la prima volta che va a Pienza.

Ma com'è possibile chiedere qualche informazione circa la via da percorrere in simili luoghi ove non s'incontra un solo viandante, ove non si scorge neppur un lume !

Occorre perciò proseguire fidandoci al caso. Di tratto in tratto mi sento assalito da un vero accesso di scoraggiamento e maledico l'illustre Enea Silvio, il papa Pio II, che fondando Pienza m'ha attirato in questa solitudine.

Dopo lunghe ansie, scopriamo finalmente dei cespugli; il nostro cavallo, non meno impaziente di noi, si mette al galoppo lungo la collinetta boschiva che ci sta innanzi; un contadino in ritardo ci dice che siamo appena ad un mezzo miglio da Pienza. Infatti raggiungiamo prestissimo la meta del nostro viaggio, così ben nascosta dagli alberi della collina, che non la scopriamo che sbucando innanzi alla prima casa.

La nostra carrozzella s'interna in una viuzza che attraversa di corsa: eccoci giunti all'estremità opposta della città, senz'aver avuto il tempo di raccapezzarci; bisogna tornare indietro e cercar 1'indicazione d'un albergo possibile; ma i monelli a cui ci rivolgiamo non ci comprendono, e dobbiamo ricorrere a persone più sagge.

Intanto si va formando un po' di folla attorno a noi; finalmente, dopo molti consulti, ci si conduce innanzi ad una locanda il cui nome è di buon augurio: la Letizia.

Noi avevamo impiegato tre ore e sempre di buon passo per giungere a Pienza da Buonconvento.
[...]

( Eugenio Müntz, brano tratto da "Firenze e la Toscana", Fratelli Treves Editori, 1899 )

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