Europa, i conti non tornano

Creato il 26 maggio 2014 da Albertocapece

Ciò che sta accadendo è confuso, caotico, ma al tempo stesso chiarissimo: l’Europa del trattato di Roma, delle speranze germogliate nel dopoguerra, è definitivamente defunta. In due grandi Paesi storici ,Francia e Gran Bretagna ha vinto la voglia di andarsene da un consesso sempre più a guida bancario tedesca.  In altri, Grecia, Spagna, Portogallo, Austria, Danimarca, Polonia vincono o aumentano fortemente le forze critiche sia di sinistra radicale che di destra o di protesta. Dappertutto, salvo che in Svezia e in Portogallo dove ci sarebbe anche la possibilità di un governo tutto a sinistra, perdono le socialdemocrazie colpevoli di essersi appiattite sulla politica dell’austerità e dei massacri e in qualche caso di esserne divenute persino protagoniste.

Insomma la Ue è contestata ovunque tranne che in Germania, Olanda, Belgio e Finlandia che godono in qualche modo dei benefici delle politiche monetarie e austeritarie: una situazione che dovrebbe spingere a ripensare tutta la costruzione continentale e le filosofie che l’hanno guidata quantomeno nell’ultimo decennio. Ma invece, segno inequivocabile di uno squilibrio mortale, ci troviamo di fronte a un paradosso: che le forze conservatrici alla radice del disastro sociale e della stessa ostilità all’Europa, avranno ancora più forza, almeno quella organizzata, nel cosiddetto parlamento di Strasburgo, grazie soprattutto alle ambigue democrazie dell’Europa dell’ est  dove dominano incontrastati oligarchi, corruzione, protofascisti e ufficiali pagatori della Nato. Sono i fascio conservatori delle repubblichette baltiche o balcaniche che permetteranno alla Merkel e ai poteri finanziari di continuare a comandare a bacchetta, insomma la destra buona da utilizzare, nascondere e non demonizzare. Con conseguenze che rischiano di diventare drammatiche se davvero a Bruxelles ci si trincererà dietro un parlamentarismo da operetta e una commissione Ue guidata dal conservatore Juncker, peraltro espressione di un semi paradiso fiscale come il Lussemburgo .

L’Italia è in qualche modo una infelice sintesi di questo panorama grottesco pur rimanendo nello stesso tempo estranea ai movimenti storici che si stanno evidenziando, segregata nella prigione dei suoi vizi nazionali, primo fra tutti il gattopardismo amorale delle elite e l’insopprimibile istinto alla subalternità dei suoi cittadini, pronti a baciare la mano a chi getta la monetina nel cappello. Siamo a parte la Grecia, le vittime designate e tuttavia i più europeisti. La vittoria di Renzi, pur in un contesto di voto poco al di sopra del 50%, ma che sarebbe stato assai al di sotto se non si fosse contemporaneamente votato per due Regioni e 4000 comuni, da una parte testimonia del magma che si sta accumulando al di sotto della pelle politica e dall’altro, pacifica il Parlamento come espressione corporativa della classe dirigente. Il guappo di Firenze, peraltro formidabilmente aiutato dai media di regime, ossia da quasi tutte le tv e i giornali, prende il voto dei vecchi militanti del Pci legati ad antiche appartenenze ormai prive di senso e quelli dei berlusconiani  che vedono in lui – certamente non a torto – il nuovo Cavaliere. Insomma ha prosciugato il suo avversario, quello che avrebbe dovuto essere l’altro corno di un sistema bipolare, mettendo le basi per un’oligarchia di osservanza berlinese e finanziaria.

D’altra parte la sinistra è scomparsa, ormai la si vede solo al microscopio e del resto nemmeno si iscriverà al gruppo della gauche, ma qualunquemente a quello di Schulz, mostrandosi sempre più indefinita nella sua narrazione. Berlusconi assieme alla sua banda di magliari è in declino inarrestabile dovuto all’età, all’inconsistenza ipocrita dell suo messaggio peraltro sempre più fagocitato da Renzi, vicino alla resa dei conti, mentre il M5S ha perso l’occasione di dotarsi di una vera struttura politica all’altezza del suo successo, rimanendo fermo alla mitologia della rete e affidato completamente all’estro di Grillo o alla stravaganza non solo estetica di Casaleggio che francamente non sono il massimo in fatto di affidabilità. Così nonostante il buon lavoro svolto dai parlamentari del movimento, l’idea rimane quella di una amalgama di protesta.

In conclusione ciò che accade è che Renzi è molto più forte sul piano interno, dove potrà manomettere la Costituzione, fare l’Italicum e rimangiarsi le promesse, ma molto più debole sul piano esterno dove non può accampare scuse di gestione politica nei riguardi della troika e delle sue richieste: Francia, Spagna, Gran Bretagna, Grecia e Portogallo  riusciranno a strappare qualcosa proprio a causa dell’instabilità politica e del pericolo che tirando troppo la corda davvero l’Europa finisca per saltare come una supernova. Per di più entra in un rapporto complicato se non ostile con i partner critici e presumibilmente oggi più disponibili a far fronte comune per cambiare i trattati.  Così l’Italia che si è scoperta così prona e disposta ad essere tosata per una mancia, così timorosa e confusa, sarà il cavallo di Troia per ottenere la sua stessa depredazione. E sarà l’implacabile punitrice di se stessa.


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