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Europa. Ingenuità e ipocrisia nella società civile

Creato il 26 gennaio 2014 da Albertocapece
di Bill Viola

di Bill Viola

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non si può negare che le “pre condizioni” di Alexis Tsipras, candidato della sinistra radicale, per la costituzione  di un’eventuale lista unitaria  che dovrà rappresentare  il carattere di rappresentanza della “cittadinanza”, di  coalizione di forze politiche e sociali sane e radicate territorialmente, pecchino di ingenuità,  nella convinzione che a un’Europa oligarchica, crudele e rapace si contrapponga una società civile virtuosa, che aspira attivamente al ripristino delle democrazie nazionali.

Suona ingenuo soprattutto se si pensa che la raccolta di firme eccellenti che lo sostiene in Italia campeggia sulle pagine del giornale più “allineato”, più entusiasticamente e irriducibilmente europeista, parterre de roi sotto l’ala benevola di De Benedetti, e che fa sospettare l’esistenza di candidature inevitabili e dinastiche, le icone più lontane per nascita, carriera e rendite di posizione dai “normali” cittadini.

Per carità non ci sarebbe nulla di male, anzi, nella morta gora di un dibattito politico appiattito sul monologo a una voce Renzi-Berlusconi, ben venga chi agita le acque. Ma ha ragione il Simplicissimus nel sottolineare la differenza tra chi limita la critica alle perversioni, alle aberrazioni di un sistema e non all’ideologia, alla cultura, alla teocrazia che ha dato loro luogo e chi invece sa sulla pelle del suo paese, come dovremmo sapere noi, che l’Europa che ci governa, decide delle nostre vite, condiziona le nostre esistenze private e di cittadini, quella che uscirà dalle elezioni, ubbidisce a un disegno precostituito di espropriazione della sovranità di popoli e Stati.

È che l’entrismo è una tentazione irresistibile, che travia menti illuminate e libere, che convince ad esempio le donne che sperano in un fronte europeo a difesa del diritto più amaro che esista, o i difensori dei beni pubblici dalle privatizzazioni che si augurano di fare una casa comune per l’accesso e il godimento delle risorse, dimentichi che l’Europa approva petizioni oscurantiste in barba alla sua Carta, sprona gli Stati a svendere le proprie ricchezze, lancia sussiegose raccomandazioni salva-clima ma dà licenza al rischiosissimo fracking, censura chi non dichiara e pratica accoglienza, ma respinge e riduce alla fame i suoi popoli e partecipa a missioni esplicitamente belliche contro paesi terzi.

E così la retorica dei padri fondatori ampiamente traditi, il sogno di una cosa, mai realizzato, ha il sopravvento sulla realtà di un colpo di stato sugli stati, del sopravvento dell’autoritarismo sul federalismo, della differenza e della disuguaglianza sulla coesione, del sistema finanziario sull’economia. C’è poco da girarci intorno, l’Unione Europea non è riformabile e è difficile che possa essere recuperabile. Esattamente come si è dimostrato che è impossibile addomesticare il capitalismo tramite riforme, aspettarci che perda i caratteri di rapacità, l’indole allo sfruttamento, temperandolo con Mozart, riducendolo alla ragionevolezza con regolamentazioni correttive o moralizzatrici, costringendolo a redistribuzioni che ne emendino l’istinto alla disuguaglianza.

La crisi che non è stata certo imprevedibile, che non è uno tsunami, e nemmeno un incidente occorso a un sistema perfettamente funzionante, le politiche di austerità che hanno preso quasi esclusivamente la forma di tagli allo stato sociale e previdenziale, del peggioramento delle condizioni di lavoro, della cancellazione di garanzie e diritti, ha messo in luce la volontà di transizione all’oligarchia nell’Ue e di espropriazione della democrazia degli stati e dei popoli.

Quello che è avvenuto non ha contorni chiari, almeno per quanto riguarda le responsabilità: è vero che il sistema finanziario ha preso il potere imponendosi alla politica, ma è altrettanto vero che la finanza ha ricevuto un robusto sostegno nella sua opera di sopraffazione proprio dai governi nazionali, dando vita a una bestia crudelmente suicida, un uroboro che si dà la morte senza sapersi offrire una rinascita. E che si arrivasse a questo era largamente prevedibile a partire dal Trattato dell’Unione, da quello di Lisbona, che hanno deciso sul ruolo della Bce, autorizzandola a prestare denaro alle banche commerciali, ma non ai governi e favorendo già così e prima del patto di stabilità e degli altri capestri, le condizioni per la progressiva e inarrestabile perdita di sovranità democratica.

Se Tsipras è ingenuo, altri sono ipocriti o illusi se pensano che istituzioni  permeabili alla prepotenza finanziaria e impermeabili alla richiesta di autodeterminazione dei popoli  cedano alla pressione della democrazia, rovescino quella tendenza alla redistribuzione al contrario che ha sempre più beneficato i pochi già ricchi, togliendo ai molti già poveri, se non le ha convinte la paura o se non le ha persuase un istinto di sopravvivenza a lungo termine, di chi dovrebbe vedere in un’unità politica la difesa di una identità messa a rischio da nuovi e vecchi protagonisti mondiali.

Personalmente mi convince la ricetta ardua – comunque meno spaventosa non del declino dell’occidente ormai inevitabile, ma della cancellazione, dell’oblio di interi paesi e della loro storia e identità, ridotti a un Terzo Mondo che insieme alla fame soffre la perdita – di un’uscita dall’euro che si collochi in un progetto di ricostruzione, su nuove basi, del processo d’integrazione europea.  È una strada impervia perché impone di non cedere a  lusinghe isolazioniste, a inevitabili combinazioni di protezionismo e di autarchia. E perché richiede governi capaci. Capaci di promuovere politiche monetarie. Capaci di introdurre misure fiscali improntate all’equità e in grado di ridurre speculazione e evasione. Capaci di impegnarsi in manovre di bilancio che promuovano investimenti sociali e occupazione, grazie alla restituzione allo stato del ruolo di manager delle vere e utili grandi opere, quelle del riassetto del territorio, come della valorizzazione del patrimonio culturale, dell’istruzione e della ricerca. Si, capaci, se la capacità significa anche la volontà di contenere, contenere idee, principi, speranze, aspettative.

Non occorrerebbero dei giganti per sostituirsi agli gnomi delle banche, basterebbero delle persone, delle intelligenze, delle volontà, che nella nebbia retorica della “società civile” è probabile ci siano e che forse stanno lavorando tutti i giorni, studiando tutti i giorni, arrabbiandosi tutti i giorni. Non abbiamo più tempo, è necessario che si facciano avanti.

 


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