Europa: mercato auto al tracollo, FIAT -12,1%

Creato il 16 giugno 2012 da Nicola Spinella @ioparloquantomi

I dati riguardanti le immatricolazioni auto nell’area euro restituiscono un mercato annientato dalla sconsiderata austerity imposta dalla Germaina. La FIAT pensa a nuovi tagli: a rischio Pomigliano e Cassino

foto “Quotidiano.net”

C’era una volta un irlandeseEra uno che ti faceva guidare un’auto nuova e veloce, così arrivavi puntualmente a lavoro e senza che un guasto improvviso ti costringesse a fastidiosi ritardi.

C’è un altro personaggio che probabilmente la storia non ricorderà. E’ un po’ tracagnotto, ha una voce antipatica, i capelli grassi ed un maglione blu che stona con qualsiasi altro indumento: è la versione antipatica di Renato Pozzetto, o forse quella 2.0 di Gianni De Michelis. Se lo ricorderanno dalle parti di Palermo, nella periferia di Napoli, forse anche dalle parti di Cassino e non perché con le sue conoscenze ha imposto un nuovo modello industriale, quanto per la miopia manageriale da cui è afflitto in maniera congenita.

Tra questi due personaggi, il primo è passato alla storia, il secondo non andrà oltre le cronache di una crisi economica globale in cui le misure di sfruttamento passano per la delocalizzazione, per effetto della quale si gettano sul lastrico le famiglie del nostro paese, per poter sfruttare quelle di Belgrado.

Ma pagare 300 euro al mese un operaio specializzato serbo che costruisca una 500, ringraziando Marchionne e tributando onori alla Fiat, non salva la casa torinese dal crollo delle immatricolazioni che nel mese scorso ha toccato quota 12,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Non ci vuole Henry Ford per capire i motivi di questi esiti: la politica di austerità che sta demolendo l’Europa ha creato sfiducia e disoccupazione. Per l’Italia questo discorso potrebbe chiamare in causa un altro miope famoso, quell’exSupermario che vedremmo bene a ritoccare i prezzi in una pompa di carburanti, essendo le accise l’unico segno tangibile di una politica governativa che ha distrutto la società italiana. Con il carburante a €1,85, l’iva prossima al 23% e i balzelli bocconiani, cambiare l’automobile è un passo che pochi possono permettersi, con buona pace delle campagne sconto di Eni, Fiat, e Q8.

Ma di sole accise non si campa e la ripartenza è ben lontana dall’essere una realtà. Quello che il super manager italo canadese non riesce a capire (ma che l’Europa tutta ha ben compreso da tempo!) è che non è distruggendo il mercato che si possono realizzare profitti: Marchionne va in Serbia perché vuole l’uovo oggi, senza accorgersi di avere sterminato il pollaio che avrebbe potuto farlo entrare nell’industria avicola, tra qualche anno. 

Se fossimo un po’ più maliziosi, penseremmo che si tratta di una strategia di asservimento passivo: comprati la macchina, fatti schiavizzare da rate e finanziamenti. Ma non vogliamo crederci, forse.

E’ inutile prendersela col mercato e con le inversioni di tendenza che non arrivano: meglio rivedere scelte imprenditoriali che vorrebbero generare il profitto dal nulla, dimenticando che de Lavoisier ci aveva messi in guardia sul fatto che nulla si crea e si distrugge, ma tutto è destinato a trasformarsi.

L’AD di Fiat dovrebbe comprendere che l’unico modo per realizzare un effettivo rilancio del paese, in chiave economica e sociale, passa anche per Torino e per le fabbriche che hanno fatto grande l’Italia: Roma non fu costruita in un giorno, chiudere gli stabilimenti italiani non garantirà la salvezza del marchio nel medio e lungo periodo.

L’altro grande colpevole di questa grottesca situazione  è Mario Monti, lo stesso che qualche settimana fa difese le scelte di delocalizzazione di FIAT in tv: uno così, potrebbe fare lo strozzino, il commerciante, l’imprenditore. Ma nessuno deve avergli spiegato la differenza che c’è tra il dirigere un’azienda votata al profitto, e la gestione dello stato che è in primis composto da persone che necessitano di tutele e servizi sociali.

Forse Marchionne sta ancora riflettendo su come trasformare l’industria automobilistica italiana in un deserto. Senza una clientela cui vendere, senza nessuno disposto ad acquistare, con la domanda affossata dai continui aumenti di carburante (che stanno mettendo in seria difficoltà anche il settore petrolifero, causando la chiusura di diversi reparti in varie raffinerie) e dalla pressione fiscale che impone scelte drastiche sui bilanci familiari,  l’intero settore potrebbe subire pesantissimi ridimensionamenti che andrebbero a coinvolgere altri stabilimenti italiani, rientranti nel piano di riduzione investimenti di circa 500 milioni di euro che il gruppo vorrebbe effettuare a breve.

Per poter poi rilanciare la produzione in Serbia, dove un operaio specializzato deve lavorare circa otto anni per potersi pagare una macchina che non ne durerebbe più di dieci.

C’è però un marchio del gruppo Fiat che non risente del calo vendite: pare infatti che le “JEEP” si vendano bene.

E se le uniche macchine che si vendono bene costano dai venticinquemila euro in su, vorrà pur dire qualcosa. O anche questa è una congettura da complottisti conclamati?


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