
“La crisi dell’ Europa deriva oggi anzitutto dalla debolezza culturale dell’ area popolare”, scrive Benedetto Ippolito (“Europa conservatrice ed Europa popolare”, su Formiche di agosto-settembre). Una nota breve e incisiva: “l’iniziativa più urgente adesso è la nascita all’interno del Ppe di una serrata critica
all’ esclusivismo tedesco, al fine di arginare il rischio di un dilagare reattivo degli antichi conservatorismi nazionali”, sostiene Ippolito, dopo aver rilevato la debolezza dell’ attuale proposta popolare, peraltro in un momento in cui deve fronteggiare i conservatorismi lepeniani, salviniani, ecc. Un fondatore del popolarismo europeo come Luigi Sturzo, osserva ancora Ippolito, muoverebbe a queste due “concezioni ideologiche” alternative “un medesimo rimprovero, non dissimile da quello che egli stesso pronunciò duramente contro lo statalismo italiano degli anni Cinquanta. Non è decisivo, in buona sostanza, che il potere europeo sia in mano ai tedeschi o sia la somma di tanti Stati omogenei chiusi in se stessi. Quello che conta, in un ragionamento autenticamente popolare, è che nessun potere sia assoluto e illimitato, e che vi sia uno spazio per una pluralità di soggetti politici attivi, reciprocamente circoscritti e coordinati l’uno con l’altro”.Alla suddetta, profonda riflessione non aggiungiamo supeflue chiose. Ci permettiamo solo una domanda: l’ Udc (a fine settimana dibatterà a San Giovanni Rotondo) e l’ Area autodefinitasi ‘popolare’ hanno voglia e capacità di proposta – e di serio impegno- per l’ Europa? Ovvero per il futuro?Gian Paolo Vitale
